La scienza fa paura, ma solo perché non riusciamo a capirla fino in fondo
Il conflitto con le credenze popolari e i social network. Il nuovo libro di Enrico Pedemonte spiega perché le teorie antiscientifiche sono sempre più diffuse
Un libro pieno di dubbi e di domande quello che Enrico Pedemonte, giornalista da decenni impegnato su temi scientifici e lui stesso fisico di formazione, ha pubblicato per Treccani. “Paura della scienza” è il titolo e l’autore cerca di spiegarne le cause con dovizia di casi, ricostruzioni storiche e domande sul futuro. Senza alcun dogmatismo, ma cercando di capire. Forse ha ragione Shtulman, docente Psicologia cognitiva, citato nel volume, quando afferma che la complessità della scienza e il suo livello di difficile comprensione sono arrivati a un punto tale per cui l’uomo medio non possiede più gli strumenti per comprendere e quindi regredisce inevitabilmente verso certezze che rafforzino la sua visione del mondo. Anche se contrastano con l’evidenza scientifica. Certo questo non spiega perché negli Stati Uniti ci siano decine di milioni di persone che sono convinte che la Bibbia vada presa alla lettera, che la Terra abbia solo qualche migliaio di anni e che la vita sia ripartito da zero dalle specie stipate da Noè in un battello di 150 metri. Fa ridere, ma mica tanto visto che questi signori muovono centinaia di milioni di dollari di donazioni, influiscano sugli elettori e censurano i programmi scolastici degli Stati Uniti d’America.
Questo è un caso estremo. Ma il conflitto fra scoperte scientifiche e contrapposte credenze popolari si è andato estendendo in questi ultimi decenni, potenziato inoltre dall’uso dei social network. La discussione non riguarda, se non in casi estremi, tutta la scienza. Non ci sono tribù armate contro la forza di gravità o la relatività di Einstein. Parliamo piuttosto di tutte quelle applicazioni, derivate dalla ricerca scientifica, che hanno a che fare con la nostra vita o che producono tecnologie che con essa interferiscono positivamente o negativamente, a seconda dei punti di vista. Il riscaldamento globale, i vaccini, le biotecnologie, gli Ogm, il 5G, l’intelligenza artificiale.
E qui le cose si fanno più complicate fra certezze, principio di precauzione, conflitti di interesse. Questi ultimi in particolare. E’ difficile che lascino completamente estranei scienziati e ricercatori. Ma non solo loro. L’industria è un grande finanziatore della ricerca scientifica. Per molti motivi legittimi e facilmente riscontrabili, ma talvolta anche per cercare di influenzarne i risultati quando essi cozzano contro il loro interesse economico. Ma questo può anche accadere in senso opposto. Wakefield, che ha sollevato per primo il problema dell’autismo legato alla vaccinazione trivalente, poi smentito da numerose ricerche, era in realtà dentro un immenso conflitto di interessi avendo ricevuto fondi importanti dalle famiglie di bambini autistici per fare causa alle Big Farm. Ci sono casi tuttavia evidenti, come i tentativi dell’industria del tabacco di rinviare la sentenza definitiva usando un argomento poi utilizzato in molti altri casi: ” non esistono prove sufficienti…”.
Usiamo allora il principio di precauzione, si chiede. Niente di nuovo fino a quando non siamo sicuri al 100 per cento della sua non nocività. Sembra buon senso, ma non ci precludiamo così la possibilità di avere a disposizione benefici importanti disponibili da subito? E’ per esempio il caso del “golden rice”, una varietà di riso geneticamente modificato per contenere vitamina A supplendo così a una carenza strutturale nelle popolazioni che hanno il riso come cibo principale e che a causa di questa carenza sviluppano deficit e malattie importanti, fra cui la cecità, fra i bambini. Greenpeace gli fa la guerra in nome del principio di precauzione, ma siamo sicuri che Greenpeace stia dalla parte dei consumatori o non sia piuttosto un’agenzia di comunicazione che si autofinanzia spacciando emozioni forti e spesso con poco fondamento? Intanto la sua produzione è stata ritardata e nessuno valuta quante malattie e morti si sarebbero potute evitare se tempestivamente coltivato. La scienza insomma è divenuta in molti casi un campo di battaglia in cui è spesso difficile, per l’uomo comune, distinguere torti e ragioni, costi e benefici, rischi affrontabili e danni possibili. La paura della scienza, dice Pedemonte, è destinata a restare fra di noi a lungo e bisogna capirne fino in fondo le ragioni.
Cattivi scienziati
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