In un pettine le origini dell'alfabeto

Enrico Bucci

Una minuscola scritta su un pettinino d’avorio testimonia l’avvenuta conquista del miglior mezzo sinora scoperto per rappresentare e rendere durevoli le nostre parole, 3,800 anni prima di Cristo

Quando pensiamo a una parola, al giorno d’oggi tendiamo a visualizzarla immediatamente come composta da lettere, cioè da simboli che corrispondono a determinati suoni (fonemi). Questo perché, millenni fa, nell’area del Mediterraneo e dell’Africa del Nord è stata sviluppata una delle più importanti tecnologie alla base della nostra evoluzione culturale, ovvero l’alfabeto fonetico. Quando questo è avvenuto, la scrittura già esisteva, ma utilizzava ideogrammi, cioè simboli associati a intere parole/concetti, non a singoli suoni; tutti gli alfabeti fonetici, invece, sono costituiti da simboli associati a suoni, che di per sé non hanno significato. Ogni concetto corrisponde a una combinazione lineare di simboli fonetici, che traducono in scrittura una parola; invece, nell’antiquato e complesso sistema ideografico, una parola corrisponde ad un solo simbolo. Questo ha un’importante conseguenza: mentre nel sistema ideografico, derivato dalla rappresentazione grafica stilizzata dei singoli oggetti/concetti, è necessario un conoscere un numero sterminato di simboli per esprimersi – al limite uno per ciascuna parola/idea – nel sistema che noi usiamo, quello fonetico basato su un alfabeto, ogni parola si compone usando un sottoinsieme derivato dalle due decine e passa di simboli/suono che costituiscono l’alfabeto.

 

Associare simboli a suoni, invece che a parole intere, è il segreto che fu diffuso nell’antichità nella nostra area geografica; e la ragione della diffusione sta nel fatto che una scrittura fondata su un alfabeto fonetico può essere facilmente appresa da tutti, può essere usata per rappresentare ogni parola – anche quelle sconosciute nel significato – e, in generale, coincide con una “democratizzazione” del principale e più potente strumento di trasmissione culturale, in grado di espandere ben oltre la memoria individuale la conservazione e lo scambio di dati, cultura e arti, senza che in linea di principio vi siano barriere di apprendimento tali da richiedere il mantenimento di una casta di sacerdoti dedicata allo scopo.

  

L’origine dell'alfabeto fonetico è rimasta fino a oggi largamente misteriosa a causa della mancanza di prove archeologiche. Non è nemmeno chiaro esattamente quando sia stato inventato l'alfabeto: molti ricercatori sostengono che ciò è avvenuto in una data intorno a 3.800 anni fa, ma ci sono alcune prove che esso fosse in uso già 4.300 anni fa. Inoltre, è in gran parte poco chiaro come si usassero i primi alfabeti, perché i più antichi testi alfabetici che abbiamo trovato sono brevi e difficili da decifrare, corrispondendo in genere a nomi dei proprietari degli oggetti su cui sono iscritti. Ora una straordinaria scoperta ci restituisce un'intera frase in cananeo, risalente proprio a circa 3.800 anni fa, incisa su un pettine d'avorio ottenuto da una zanna di elefante, portato alla luce nell’antica città cananea di Lachis. La scritta comprende 17 lettere, due delle quali danneggiate. Hanno una forma arcaica, corrispondente alla prima fase dell'invenzione della scrittura alfabetica. Formano sette parole in un’antica lingua cananea, che recitano: "Possa questa zanna sradicare i pidocchi dei capelli e della barba". Il gruppo di ricerca ha analizzato il pettine e ha trovato resti di pidocchi sul secondo dente. Poiché l'avorio era un materiale molto costoso e probabilmente un oggetto di lusso importato, vista l’assenza di elefanti in Cananea, ne deduciamo che chi lo usava era di elevato rango sociale, ma comunque non immune dai parassiti.

  

Nonostante le sue piccole dimensioni, l'iscrizione sul pettine di Lachis ha caratteristiche molto particolari, alcune delle quali sono uniche e colmano lacune nella nostra conoscenza della cultura nell'età del bronzo. Per la prima volta abbiamo un'intera frase verbale scritta usando un antico alfabeto. In secondo luogo, l'iscrizione sul pettine mette in luce alcuni aspetti della vita quotidiana dell'epoca, finora scarsamente attestati, come la cura dei capelli e il trattamento dei pidocchi. Terzo, questa è la prima scoperta nella regione di un'iscrizione riferita allo scopo dell'oggetto su cui era scritta, in opposizione alle iscrizioni dedicatorie o di proprietà. Inoltre, l'abilità dell'incisore nell'eseguire con successo lettere così minuscole (1–3 mm di larghezza) supera quanto prima noto per l’età del bronzo, ed indica una tecnologia più avanzata di quanto sin qui registrato.

 

Lachis era una delle principali città-stato cananee nel secondo millennio a.C. Per quel che ne sappiamo, la città è stata il principale centro per l'uso e la conservazione dell'alfabeto per circa 600 anni, dal 1.800 al 1.150 a.C.; è in questo senso straordinario quanto dobbiamo a un nucleo così piccolo di esseri umani, se si pensa che dall’alfabeto proto-cananeo, con cui è composta la scritta appena ritrovata, è derivato quello fenicio, e da questo il greco, quindi il latino e tutti i nostri alfabeti fonetici.

  

Una minuscola scritta su un pettinino d’avorio, una sorta di incantesimo contro i pidocchi, testimonia, nella prosaica immagine di antichissima vita quotidiana che ci restituisce, l’avvenuta conquista del miglior mezzo sinora scoperto per rappresentare e rendere durevoli le nostre parole, confortando le nostre teorie su quando, dove e come questo sia avvenuto.

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