Cattivi Scienziati
Non bisogna "credere" nella scienza, ma fidarsi del metodo scientifico
Troppo spesso si sente la parola "credo" riferita alle indagini degli scienziati, le quali però non possono essere oggetto di credenza. È corretto invece parlare di fiducia nel modo di procedere della ricerca. Un ragionamento sul perché
Ogni tanto, credo sia necessario ripartire dalle basi. Questo è quanto mi accade di pensare quando, avendo esposto il significato di un ennesimo articolo scientifico che porta alla luce risultati interessanti su qualche tema socialmente controverso – vaccini, ogm o altro – immancabilmente qualcuno si rifugia dietro un commento tipico. “La scienza è dubbio” – si dice - e “non si può credere nella scienza”. È vero: alla scienza non si può e non si deve credere, ma semplicemente perché non ha senso parlare di credenza nella scienza, più di quanto ne abbia credere nell’aritmetica. Quel verbo, parlando di scienza, semplicemente non si applica.
Vi è dunque un profondo fraintendimento, dovuto al fatto che noi vorremmo prendere il risultato di un’indagine scientifica e stabilirne il contenuto di verità, trattandolo come se esso rappresentasse una qualunque asserzione sul mondo fisico, e non una proposizione dotata di una stima probabilistica e collegata a certe assunzioni e certe misure che ne delimitano il campo di applicazione in modo preciso (anche a causa del modo in cui certi scienziati comunicano i loro risultati). Si confonde il risultato di un’indagine scientifica con il metodo che a quel risultato ha portato; e in un metodo, quale è per estensione l’intero procedimento scientifico, si possono scoprire al massimo errori, ma esso non può essere oggetto di credenza.
Quindi no, non si può credere alla scienza, come non si può abitare la chimica: il verbo, semplicemente, non si applica all’oggetto.
La cosa interessante, tuttavia, è che, pur dovendo rinunciare a credere, possiamo fidarci di un metodo, quello scientifico, per il modo in cui esso procede, come cercherò di illustrare brevemente.
Tutti gli esseri viventi – persino i più semplici fra i batteri – acquisiscono informazione dal mondo fisico, nel senso che, utilizzando particolari modi di sentire l’ambiente, sono in grado di individuare condizioni favorevoli o avverse, e di indirizzare il proprio comportamento di conseguenza. Questa abilità può essere innata, quando l’evoluzione ha forgiato attraverso la selezione la capacità di distinguere fra stati ambientali significativi per la propria sopravvivenza e proliferazione, oppure appresa e culturalmente trasmessa, per gli organismi dotati di sistemi adatti allo scopo; in ogni caso, tuttavia, il punto è che la capacità di scoprire l’associazione fra determinati indizi e il verificarsi di certe condizioni ambientali è fra i tratti più vantaggiosi per ogni forma di vita. Poiché, inoltre, per la maggior parte non è a priori stabilito quale sia l’indizio utile a rivelare a un organismo una data condizione ambientale, il comportamento esploratorio risulta anche esso un tratto favorevole, se inteso come la ricerca di nuove relazioni, attraverso il meccanismo del rinforzo associativo tra la comparsa di un indizio e il verificarsi di una certa circostanza.
Per scoprire queste relazioni, può essere necessario attendere molto tempo, e potrebbe darsi che non sia sufficiente; oppure, si può volontariamente riprodurre un dato evento un numero sufficiente di volte, individuando le relazioni che collegano fra loro certe grandezze osservabili e il risultato finale. Supponiamo, per esempio, che io sia sospettoso circa il fatto che un dado sia truccato; potrei mettermi a osservare quale numero esce ogni volta che, casualmente, esso rotola spinto da un forte vento o una potente scossa sismica, oppure potrei lanciare il dado un numero sufficiente di volte, fino a verificare se davvero qualche numero esce con frequenza diversa dagli altri. Questo è, in sostanza, il metodo sperimentale; come si può notare, per testare la mia ipotesi ho dovuto riprodurre l’evento in questione, in modo controllato, e ho dovuto contare, cioè ho dovuto matematizzare le mie osservazioni. Se il dado non è truccato, osserverò che tutti i numeri escono a frequenza via via più simile, solo all’aumentare del numero di lanci; difficilmente accadrà che, dopo soli 6 tiri, io osservi uscire una volta ciascun numero, ma dopo 1000 tiri, sarà grosso modo così. Quanto e cosa osserverò, con quale frequenza: questo è il campo della statistica, che, come si vede, trova applicazione anche nell’analisi di ipotesi direi quasi banali circa il mondo fisico – se un dado sia o meno truccato.
Ora, il problema è che quasi mai sono nella condizione di fare una verifica sperimentale di una data ipotesi, o di derivarne una verifica per via matematica; molto più spesso, ho davanti una serie di scienziati, ciascuno dei quali afferma qualcosa circa il grado di verità di quella ipotesi, anche in modo contrastante l’uno con l’altro. Di nuovo, non ho necessità di credere a nessuno. Supponiamo che io non abbia accesso al dado di cui sospetto, nell’esempio precedente: potrei chiedere a dei giocatori che sono provvisti di dadi identici a quello (gli scienziati con i loro apparati sperimentali) di riportarmi i loro risultati. Potrebbe darsi che, dopo dieci tiri, un giocatore abbia osservato uscire solo il numero 4, e mi dica che il dado è truccato; ma se chiedo a molti scienziati, ciascuno in grado di condurre indipendentemente un esperimento lanciando il dado un certo numero di volte, potrò verificare se, dati tanti giocatori indipendenti e tanti lanci di dado, alla fine i numeri escono o meno con la stessa sequenza. Questa è la verifica del consenso scientifico, che ognuno di noi può qualitativamente effettuare cercando quanti scienziati indipendentemente sostengono una data tesi, o che può essere invece essere quantitativamente effettuata attraverso particolari studi che sono le metanalisi, in grado di dedurre l’accordo su un certo problema di interesse, investigato da più scienziati diversi.
Lo scienziato-giocatore che ha ottenuto solo 4 continuerà a strillare che i dadi sono truccati, ma a valle della verifica effettuata la sua tesi sarà falsificata; devo invece evitare il comportamento di chi, fin dall’inizio sospettoso sui dadi, scelga proprio quello scienziato, ignorando gli altri, e presenti la sua analisi come prova del proprio sospetto. Certo, potrebbe darsi che tutti i dadi siano truccati allo stesso modo – cioè che tutti gli scienziati siano soggetti a qualche bias, mentale o sperimentale, che ne deformi l’analisi – e dunque potrebbe aver ragione quell’unico genio indipendente che vuol metterci sull’avviso; ma, poiché questa è un’ipotesi ovviamente improbabile, per convincercene dovremmo trovare prima cosa non va nelle misure degli altri.
Non vi è credere nel procedimento illustrato; vi è solo aggiornare quel che si conosce del mondo, sulla base di un metodo incrementale, che ha limiti solo nell’umana capacità di seguirlo.
No, non credo nella scienza; applico un metodo, lo stesso alla base delle computazioni molecolari che ci fanno vivere, e ne traggo conseguenze più o meno salde.
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