cattivi scienziati
C'è stata una foresta in Groenlandia: lo rivela lo studio del Dna. Cosa ci dice sul clima
Dove oggi c'è un deserto polare, due milioni di anni fa c'erano piante e animali. La scoperta apre la possibilità di campionare il passato della vita sul nostro pianeta ricostruendo i flussi di specie e di ecosistemi durante milioni di anni
Ogni volta che un antico codice viene decifrato, restituendoci istantanee di vita in un tempo così remoto da essere per noi inconsueto e difficilmente immaginabile, la curiosità del pubblico per il remoto e il fantastico riceve nuova soddisfazione, perché si apprendono particolari di epoche remote che hanno il vantaggio di essere veri, invece che frutto dell’immaginazione di qualche studioso che si azzardi a ipotizzare quello di cui non si ha prova diretta.
Il codice di Hammurabi, per esempio, ci ha mostrato quali fossero le leggi nel 1750 a.C., permettendoci di conseguenza di capire molto di come fosse organizzata la società che lo produsse e le preoccupazioni degli antichi abitanti della Mesopotamia, così come la Tabula Cortonensis ci illustra l’economia agraria e i diritti di proprietà di certe famiglie etrusche di Cortona, o le più antiche iscrizioni egizie testimoniano della vita nel 3000 a.C.
Dai codici antichi, ricostruiamo vita, persone, interessi e paesaggi; ma cosa accadrebbe se potessimo decifrare codici di milioni di anni fa, ovvero codici che racchiudono informazioni sulla vita molto prima della comparsa della nostra stessa specie?
Questa domanda oggi ha una risposta precisa, perché esiste un codice in particolare, iscritto in “caratteri chimici”, che può fornirci risposte sulla vita antichissima, umana e non: è il codice iscritto nel genoma di ogni essere vivente, sotto forma di sequenza di basi nucleotidiche. Quella sequenza permette di identificare la presenza di un determinato organismo vivente, e l’abbondanza delle tracce di un dato Dna consente di stimarne l’abbondanza in un dato luogo, in una certa epoca; questo perché ogni organismo vivente dissemina nell’ambiente il proprio Dna, sia per il semplice fatto che muore, sia anche perché perde cellule di continuo, nel caso degli organismi pluricellulari. L’esame del Dna in campioni ambientali, quindi, è da tempo diventato un potente alleato degli ecologi, permettendo di stimare la composizione in termini di specie di un singolo ecosistema, oltre che la loro abbondanza relativa. La cosa interessante, tuttavia, è che ci si è resi conto che tracce di questo Dna, in particolari condizioni, possono persistere per milioni di anni, per esempio in campioni congelati e assorbiti a particolari minerali che ne prevengono la degradazione.
Così, è appena stato pubblicato un affascinante lavoro su Nature, che ci restituisce un’istantanea di un particolare ambiente di 2.000.000 di anni fa, ovvero delle specie che lo frequentavano, con un dettaglio e una completezza che non sarebbero possibili altrimenti. Nel periodo compreso fra 3,6 a 0,8 milioni di anni fa, la Terra sperimentò periodi climatici simili a quelli previsti come conseguenza futura del riscaldamento in atto. Molte zone del nostro pianeta attraversarono pesanti crisi, con desertificazione e aumento del livello dei mari, mentre nella regione polare artica si sono ricostruite a partire da dettagliati dati sperimentali temperature medie annuali di 11–19 °C al di sopra dei valori contemporanei.
Una serie di campioni di ghiaccio, datati a circa 2 milioni di anni fa, prelevati nel nord della Groenlandia, in quello che è attualmente un deserto polare, offrono un’istantanea corrispondente ad una lussureggiante foresta. Mentre in molte parti del mondo gli ambienti divennero più inospitali, l’analisi di questi campioni di ghiaccio ha restituito i più antichi frammenti di Dna mai esaminati, permettendo ai ricercatori di esaminare quali specie si trovassero in una zona oggi quasi disabitata. Il paesaggio artico di questa epoca remota non ha equivalenti moderni: non è né foresta boreale, né foresta temperata. Betulle, cedri, equiseti, piante erbacee e molte altre specie vegetali, per un totale di oltre 100, costituivano una comunità unica, che profittava del lungo fotoperiodo estivo artico e del clima temperato. Di queste si nutrivano diverse specie di insetti, fra cui antiche formiche, il cui Dna è arrivato fino a noi; ma anche i vertebrati abbondavano, con nove specie mai prima identificate in Groenlandia, fra cui i mastodonti – cioè i mammut americani – roditori, conigli e anatre dello stesso gruppo delle nostre oche canadesi. Persino il Dna delle pulci che affliggeva questi animali è arrivato fino a noi; e poi, cosa sorprendente, il Dna di animali marini, che sulle coste di quella antica foresta sono vissuti, fra cui limuli, vari componenti del plankton e microalghe, tutti oggi diffusi solo molto più a sud.
Il risultato del lavoro va tuttavia oltre il racconto della vita groenlandese di milioni di anni fa: si apre infatti la possibilità di campionare il passato della vita sul nostro pianeta in epoche e luoghi diversi, ricostruendo i flussi di specie e di ecosistemi che hanno caratterizzato la sequenza di ambienti e di climi durante milioni di anni.
Specie che con le variazioni climatiche favorevoli sono fiorite, per poi scomparire più o meno definitivamente in condizioni avverse alla loro biologia, lasciando il posto ad altre; la storia che può raccontarci il codice degli antichi Dna non è solo il racconto di un eden meraviglioso, ma dovrebbe racchiudere un insegnamento che ci riguarda da vicino e che chiunque non è cognitivamente cieco dovrebbe essere in grado di cogliere.
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