Una fotografia del progetto a fusione nucleare Iter a Caradache, in Francia (foto Ap)

l'analisi

Negli Stati Uniti la fusione nucleare ha compiuto un salto rivoluzionario

Umberto Minopoli

I risultati raggiunti dal Livermore Laboratory sono una svolta per lo sviluppo della tecnologia a confinamento inerziale. Ma ci sono buoni segnali anche per la prosecuzione dei test sul confinamento magnetico, dove l'Italia può essere in prima linea. Il ruolo che questa scoperta potrebbe giocare nella transizione climatica

Un nuovo annuncio sulla fusione nucleare. Che rafforza le speranze che questa tecnologia possa giocare un ruolo nella transizione climatica, riuscendo a produrre energia elettrica nella seconda metà di questo secolo. Stavolta l’annuncio viene dagli Stati Uniti dove, presso il National Ignition Facility, al Livermore Laboratory, in California, si conducono esperimenti sul filone tecnologico della fusione nucleare detta a confinamento inerziale: potenti fasci laser comprimono un guscio millimetrico di deuterio e trizio, isotopi dell’idrogeno, determinando uno stato di plasma di questi due nuclei atomici che, per pressione, si fondano tra loro rilasciando un grande ammontare di energia termica. Che sarà trasformata in energia elettrica

 

 

Quello inerziale – militare all’origine e, dunque, condotto in particolari condizioni di segretezza e riservatezza – è assurto, per scelta del Doe, il Dipartimento Usa dell’Energia, a esperimento energetico ed è un modello di fusione alternativo, tecnologicamente, al filone definito del confinamento magnetico. Quest’ultimo è condotto con macchine tokamak: reattori di fusione di forma toroidale, in cui il plasma (lo stato del combustibile, nuclei di atomi leggeri, comune a ogni esperimento di fusione) è governato da potenti campi magnetici. Le immagini di questo reattore ci sono ormai familiari per il fatto che la tecnologia del tokamak non ha sofferto delle restrizioni militari e prevale in esperimenti di fusione assai diffusi nel mondo. E dove l’Europa – con il Joint European Torus (Jet), il più grande reattore tokamak esistente, nel Regno Unito, e con altri reattori in Germania e in Italia stessa – compete con strutture sperimentali analoghe in Cina e in Giappone. 

A un impianto dimostrativo in Europa lavora Eni, con il suo tokamak compatto, una sorta di small reactor della fusione magnetica, frutto della collaborazione con l’Mit americano. E in Europa infine è in via di completamento (a Cadarache nel sud francese) il reattore tokamak Iter, il prodotto del consorzio delle sette grandi potenze industriali: Cina, Usa, Europa, India, Corea, Giappone e Russia. E’ strategico perché sperimenterà, a partire dal 2025, la fattibilità della fusione magnetica alla scala di una futura grande centrale termica (500 MW di potenza). L’annuncio Usa è di quelli che, in termini di avanzamenti tecnologici, realizza un salto innovativo. Il Livermore, ma si attendono i dati ufficiali del Doe, avrebbe realizzato un guadagno netto di potenza energetica rispetto alla potenza immessa nel reattore per ottenere la fusione. E’ l’obiettivo chiave dei reattori di fusione, il cosiddetto punto Q: una potenza in uscita dal reattore almeno pari a quella immessa in ingresso. Condizione per realizzare il gain, il guadagno di energia: un volume di energia, detta attiva, in eccesso, rispetto a quella passiva, spesa per alimentare il plasma.  La gara tra le due tecnologie è ambiziosa. Basti pensare che Iter ha l’obiettivo di produrre energia attiva superiore di un fattore 10 rispetto a quella passiva richiesta dal sistema. E questo perché, nell’economia di una futura centrale energetica, qualunque sia la tecnologia della fusione, è a questa scala che si deciderà l’efficienza dell’impianto. Vedremo i dati del Livermore. 

In conclusione, due considerazioni intanto sono d’obbligo. Primo: la fusione nucleare ha davvero svoltato. Nel senso che ha superato quel proverbiale residuo di diffidenza per cui, per 70 anni, a ogni avanzamento sperimentale, si diceva comunque che le mancassero 30 anni per realizzarsi. Stavolta, il traguardo sembra davvero stare in questo perimetro di tempo. In Europa e negli Stati Uniti, sugli esperimenti di fusione c’è una sorprendente corsa agli investimenti privati. Che scommettono sulla dimostrazione (il passaggio da macchine sperimentali a reattori dimostrativi allacciati alla rete elettrica) entro la metà del secolo. E il mercato sembra crederci ed essere pronto a scommetterci.

Secondo: l’annuncio Usa sul confinamento inerziale non deve deprimere la corsa, europea e mondiale, alla realizzazione del confinamento magnetico. dove l’Italia è posizionata in modo assai incoraggiante. C’è da dire, peraltro che, rispetto al confinamento inerziale, i progetti tokamak, a confinamento magnetico appaiono un passo avanti. Essi, infatti, sono più vicini alla fase della dimostrazione tecnologica: il salto dalle macchine sperimentali, che devono verificare la fisica e la tenuta del plasma da fusione, ai dimostratori, la realizzazione delle prime macchine a dimensione di impianti elettrici allacciabili alla rete. Questa fase appare, ancora, non vicinissima negli esperimenti a confinamento inerziale, dove c’è bisogno di laser molto più potenti, e ancora allo studio, per generare le potenze richieste da un impianto a scopi energetici. Comunque, la corsa alla fattibilità della fusione nucleare si è fatta davvero avvincente.

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