cattivi scienziati
Così i vaccini a mRNA possono aiutare a combattere i tumori
Uno studio di Moderna e Merck fornisce dati preliminari positivi sull'efficacia di un terapia congiunta fatta di vaccino sperimentale e immonoterapia. Ecco perché potrebbe essere una svolta per la personalizzazione dei trattamenti oncologici (ma abbiamo bisogno di conferme)
Un vaccino a mRNA sperimentale personalizzato in combinazione con l’immunoterapico pembrolizumab ha ridotto il rischio di recidiva o morte per melanoma nei pazienti che avevano già subito un intervento chirurgico. I risultati preliminari di uno studio di fase 2b sono stati condivisi in un comunicato stampa da Moderna e Merck e non sono stati sottoposti a revisione paritaria o pubblicati. Le società hanno affermato che pubblicheranno i dati completi in futuro e condivideranno i risultati in una prossima conferenza. Siccome non esiste ancora una pubblicazione revisionata dei risultati presentati, conviene separare le notizie certe da quelle che inducono a ben sperare, ma che non sono state verificate dalla comunità scientifica, e trarre qualche conclusione solo sulla base delle prime.
Cominciamo quindi dai fatti certi. Secondo i dati di Epicentro, il melanoma, considerato fino a pochi anni or sono una neoplasia rara, mostra una incidenza in crescita costante in tutto il mondo. A livello mondiale, si stima che nell’ultimo decennio il melanoma cutaneo abbia raggiunto i 100.000 nuovi casi l’anno: un aumento di circa il 15% rispetto al decennio precedente. Il melanoma cutaneo è, in particolare, decine di volte più frequente nei soggetti di ceppo europeo (caucasici) rispetto alle altre etnie. In Italia la stima dei melanomi, e dei decessi ad essi attribuiti, è tuttora approssimativa: si aggira attorno a 7.000 casi l’anno.
Lo studio randomizzato appena presentato ha incluso 157 pazienti con melanoma in stadio 3 o 4 che avevano già subito un intervento chirurgico. Alcuni pazienti hanno ricevuto nove dosi del vaccino sperimentale contro il cancro prodotto da Moderna e l'immunoterapia prodotta da Merck ogni tre settimane per circa un anno, e alcuni hanno ricevuto solo l'immunoterapia. Si tratta del primo caso in cui uno studio di vaccinazione a RNA viene riportato come efficace contro una condizione oncologica quale il melanoma, sebbene questo tipo di studi sia iniziato molto prima dello sviluppo dei vaccini a RNA contro SARS-CoV-2. Nei fatti, nonostante le baggianate varie che si sentono a riguardo, la tecnologia a RNA per i vaccini è in sviluppo da oltre un decennio; e lo studio appena comunicato è stato preceduto da diversi studi di fase 1, i quali tutti avevano già dimostrato la sicurezza della tecnologia.
Il vaccino a RNA di Moderna è fatto per operare in sinergia con l’immunoterapico pembrolizumab di Merck, attivando il sistema immunitario dei pazienti per generare una risposta ai loro tumori specifici. Queste le certezze; vediamo ora i due risultati più importanti che sono stati comunicati in conferenza stampa dalle aziende produttrici. Per quel che riguarda l’efficacia, il trattamento con il vaccino sperimentale in combinazione con l'immunoterapia ha ridotto il rischio di recidiva del cancro o morte del 44% rispetto alla sola immunoterapia. Questa affermazione incoraggiante è tutta da verificare, e non è possibile al momento accettarla prima di vedere i dati e controllare la procedura utilizzata; in attesa di una o più pubblicazioni, il giudizio va sospeso.
Per quanto riguarda la sicurezza, Moderna e Merck hanno affermato che gravi eventi avversi correlati al trattamento si sono verificati nel 14,4% dei pazienti che hanno ricevuto il vaccino e l'immunoterapia nello studio e nel 10% dei pazienti che hanno ricevuto solo l'immunoterapia. Pembrolizumab in particolare presenta alcuni rischi noti per gravi effetti collaterali, per cui la seconda di queste percentuali può essere confrontato con quanto noto per l’immunoterapeutico utilizzato: se ne ricava una conferma, il che conferisce una certa affidabilità a quanto comunicato, il quale peraltro non presenta variazioni di rilievo rispetto a quanto già emerso in fase 1. Si nota come la combinazione sembra presentare maggiori effetti collaterali: senza però un’analisi statistica appropriata e in assenza dei dati primari, non possiamo sapere quanto questa differenza sia significativa. Diciamo che, considerato l’interesse delle aziende, i dati comunicati possono essere intesi come livello minimo di tossicità, fatta salva una appropriata verifica successiva alla pubblicazione dei dati.
Possiamo quindi trarre qualche conclusione almeno temporanea. La medicina a RNA, a quanto sembra, ha raggiunto dopo oltre un decennio un grado di maturità sufficiente a fornire prodotti diversificati, almeno in quelle condizioni ove sia possibile istruire il nostro sistema immunitario a combattere una patologia. Rispetto a quanto utilizzabile in precedenza, in particolare in campo oncologico il vantaggio non è solo quello di una potenziale maggiore efficacia, ma soprattutto quello della personalizzazione del vaccino a partire dallo specifico tumore di uno specifico paziente; si tratta quindi di un approccio che, insieme a quello dei linfociti CAR-t, è davvero e nel pieno senso della parola personalizzabile per ogni paziente (o per meglio dire per il suo specifico cancro).
Infine, per la sua intrinseca natura, questo approccio può inseguire le mutazioni di tumori resistenti ad altri trattamenti o di recidive, potenzialmente evitando il problema dell’esaurimento dei farmaci di fronte all’evoluzione darwiniana di un tumore: ad ogni sua mutazione, può corrispondere un nuovo vaccino, purché la diagnosi e la tipizzazione del tumore siano sufficientemente rapide.
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