una lettera di Natale
Qualche consiglio a Giorgia Meloni da un fisico sperimentale
Il primo: la pacificazione degli italiani, che è punto fermo. Poi: fermare il treno delle Cop, smascherare i manipolatori di Greta, non demonizzare la CO2. E puntare sulla ricerca
Il professor Franco Prodi questa settimana ha scritto una lettera di Natale per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Gent.ma presidente del Consiglio, verso la fine di novembre del 2021 ho ricevuto una sua telefonata di invito ad Atreju (6-12 dicembre 2021), “Il Natale dei conservatori”, per un dibattito. Mi precisava che sarebbe stato aperto a tutti i contributi, non riservato al suo partito, e mi preannunciava che sarebbe intervenuto anche Enrico Letta, segretario del Pd. La ringraziai e le risposi che ci avrei pensato. La telefonata seguente fu la mia, sempre di persona a lei, senza intromissione di segretarie, per declinare l’invito. Sarebbe stato un po’ complicato, per il fratello del fondatore dell’ulivo, del Pd etc., anche se apprezzavo di essere invitato solo come scienziato del clima. Lei mi disse in modo molto cortese che comprendeva le motivazioni del mio rifiuto. Notai subito con piacere che era stata la prima telefonata nella mia vita ricevuta direttamente da un capo politico.
Da allora molte cose sono successe per lei e per il paese. Per lei un successo elettorale pieno, ed è ora alla guida del governo. Un successo che per la prima volta nella storia le consente di governare tutta la legislatura, almeno sulla carta. Sta già tessendo relazioni internazionali importanti e prendendo decisioni altrettanto importanti. Quindi mi sembra che molto saggiamente lei si muova pensando a tempi lunghi e sia molto prudente, con passaggio graduale verso una fase che lei ha certamente in mente ma prepara senza scossoni drammatici: sicurezza dei conti sul piano nazionale, un quadro internazionale di alleanze saldamente confermato, sia verso l’Europa che verso la Nato e il principale alleato, gli Stati Uniti. Al momento lei è molto impegnata nel varare la cosiddetta manovra, ed è più criticata per le modeste novità che per gli sfracelli che tanti temevano, e non ci sono; anzi è proprio questa relativa modestia degli obiettivi che le viene rimproverata.
Il momento è quindi opportuno perché io mi aggiunga ai tanti che le danno consigli, uno più o uno meno, e senza pretendere che lei li segua; figuriamoci, non ho mai fatto politica nel senso che si intende comunemente. L’ho fatta di necessità, cercando di fare al meglio il mio lavoro di ricercatore per il paese, ma questo è un altro discorso. O un altro libro; tutti scrivono libri, ma chi li legge?
Come fisico sono uno sperimentale e rimango tale anche nel dare consigli, nel senso che quanto dico viene dalla mia esperienza diretta, non per sentito dire, non accodandomi al pensiero di altre persone e men che meno di partiti. E il bello è che quanto le suggerisco è a costo zero, anzi molto risparmioso, cosa che di questi tempi, di debito pubblico crescente, non è poco.
Il primo, e più importante, e che è in suo pieno potere conseguire, è la vera pacificazione degli italiani, intima, profonda, condivisa, senza riserve, senza diffidenze. Riconciliazione vera. Non è possibile che dopo 77 anni ogni 25 aprile, data fondante della Repubblica, si sentano ancora discorsi che lasciano intravedere ferite non rimarginate. Il mio amico storico Sandro Spreafico nel suo “Cristianesimo e intelligenza della storia” a pagina 265 ricorda “la lettera del 2 gennaio 1946 ad Elsa Paderni, madre di un giovane milite componente il plotone di esecuzione, nella quale, ricordando il figlio don Pasquino (Borghi) – e per la pacificazione degli animi da lui auspicata – Orsola del Rio offre il proprio perdono a Sergio Paderni, giustiziere forzato, e ottenne dalla madre di questi parole da meditare: due lettere di due madri che potrebbero degnamente aprire una raccolta di documento sulla riconciliazione”. Dobbiamo tutti insieme guardare avanti.
Il secondo è di osare l’inosabile nella storia d’Europa intera, che da anni è stagnante dopo che i referendum in Francia e Olanda ne hanno bloccato la naturale evoluzione. Il suo lodevole afflato nazionale va esteso all’Unione. Ci vuole fantasia e coraggio, per un nazionalismo continentale, qualcosa di più dell’Europa delle patrie di gollistica memoria. Le vicende tragiche dell’attuale guerra in Ucraina, sempre sull’orlo di di un’escalation dalle conseguenze inimmaginabili, dovrebbe portare tutta l’umanità al disarmo totale e assoluto. Ma solo l’Europa unita col suo patrimonio incalcolabile di cultura, arte, valori laici e religiosi può proporsi come partner di pace mondiale con Cina, Stati Uniti e la Russia che rimarrà. In fondo sarebbe una sublimazione a livello superiore del nazionalismo (non populismo) che sicuramente la ispira.
Passo al terzo suggerimento, sul terreno che sento mio e sul quale lei potrebbe fare la bella figura da statista che anticipa i tempi, senza tema di sbagliare, tanto si è andati irragionevolmente in là nella quantificazione della responsabilità, 98 per cento antropica, nel riscaldamento del pianeta. Intanto si comincia a cambiare nel lessico. Si ritorna al “cambiamento climatico” (sotto gli occhi di tutti, è incontrovertibile, tutta la scienza lo dice, bla bla bla) non più “riscaldamento globale”. Il cambiamento climatico è connaturato al clima, che non può non cambiare, la sua storia lo insegna. Non funziona più dare del negazionista a destra e a manca a tutti i pochi che ancora fanno appello alla ragione, oltre che alla scienza vera. Prenda l’iniziativa di fermare il treno delle Cop, prenda le distanze dai manipolatori di Greta e dei giovani dei venerdì e innalzi la bandiera della protezione dell’ambiente planetario.
Cerchi di capire quali sono le forze della finanza mondiale che spingono l’Europa un questa direzione suicida della demonizzazione della CO2, non inquinante e necessaria alla crescita delle colture agrarie. L’Europa tutta ne produce meno del 9 per cento. Partire da una valutazione delle risorse fossili rimaste – qualcuno sa come stanno le cose – e da un uso concordato delle risorse stesse; questo deve essere l’oggetto degli accordi mondiali. I modelli che l’Ipcc usa per produrre previsioni catastrofiste trattano le nubi e l’aerosol fuori da nube in maniera grossolana. I risultati sono solo scenari da non prendere sul serio, non sono previsioni affidabili. Le lascio immaginare le conseguenze, sull’energia, sobrietà e non, le rinnovabili e la tutela del paesaggio, la transizione ecologica, tutto da ridiscutere.
Col quarto suggerimento mi muovo ancora nel campo mio: università e Cnr. C’è una ragione per il flusso verso l’estero dei giovani migliori, inarrestabile e per l’assenza di ingresso contrario di giovani stranieri verso le nostre università e istituti di ricerca. Il governo deve mettere in campo le energie giovani, non lasciarle scappare. Si è mai chiesta perché i nostri se ne vanno? L’università e il Cnr dove sono? L’università coi suoi concorsi, o familistici o decisi da gruppi di potere interni con gerarchie stabilite, non si sa da chi. Nei fisici, in alto, l’Infn e particellari, poi i teorici, poi i solidisti, poi struttura della materia, poi gli astrofisici, poi i geofisici, nel fondo, se rimane qualche briciola.
Nella mia vita sono stato presidente di un solo concorso per un posto di ricercatore. Il vincitore dopo tre mesi è stato chiamato dall’Università di Amburgo alla cattedra di Climatologia, professore ordinario. Se si vuole il merito lo si riconosce a vista. Gli ottomila ricercatori del Cnr sono male guidati da decenni. L’ultimo grande presidente è stato Luigi Rossi Bernardi, e parliamo degli anni Ottanta. Ho servito il Cnr ininterrottamente dal 1° gennaio del 1966. L’Inaf si salva perché si è staccato in tempo dal Cnr. Ecco perché i giovani migliori se ne vanno verso paesi che sanno capire chi ha voglia di fare. Anche qui, costo zero. Ma che richiede tanto coraggio. Che penso lei possieda.
Auguri di Buon Natale e di buon lavoro.
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