Foto di Boris Smokrovic, via Unsplash 

Cattivi Scienziati

Un vaccino per proteggere le api. Un'altra parte della rivoluzione scientifica

Enrico Bucci

I piccoli impollinatori non hanno anticorpi. La convinzione era che fosse impossibile proteggerli dalla loro peste. La scienza ha invece creato un metodo totalmente nuovo per vaccinarle, aprendo così a possibilità inedite anche per curare l'uomo

Le api sono uno degli animali simbolo della lotta per la preservazione dell’ambiente, usate come sono nelle campagne comunicative contro i pesticidi per simboleggiare i danni che antiparassitari ed erbicidi possono arrecare all’ambiente e quindi a noi stessi.

 

Qui non mi interessa discutere i numerosi aspetti antiscientifici di questa comunicazione, che non si fa scrupolo di inventare bugie o esagerare certi aspetti per promuovere i pur nobili scopi che si prefissa; mi interessa invece mostrare al lettore cosa si sta facendo per preservare la salute delle api domestiche da uno dei peggiori parassiti degli alveari, un batterio che causa la cosiddetta peste americana delle api.

 

Questa malattia, causata dalle spore di Paenibacillus, è altamente infettiva e distruttiva e colpisce le larve delle colonie di api mellifere. Appena schiuse, esse vengono inavvertitamente alimentate con spore batteriche, che germinano e si replicano nell'intestino medio provocando setticemia e producendo oltre 1 miliardo di nuove spore per ogni larva infetta. Man mano che le larve morte vengono rimosse dalle loro celle dalle api operaie, le spore vengono disseminate in tutti i prodotti dell'alveare, tra cui miele e cera, nonché nei telai e nella scatola che lo racchiude. Le spore sono resistenti alle condizioni ambientali e ai trattamenti chimici ed è stato segnalato che mantengono l'infettività anche per cinquanta anni.

 

Di fronte a una malattia infettiva così dannosa e contagiosa, è naturale pensare a un vaccino; bisogna tuttavia sapere che il sistema immunitario delle api e degli altri insetti non possiede anticorpi, e dunque fino ad un decennio fa si riteneva che fosse in grado di montare solo una risposta di tipo naturale, cioè non specificamente “addestrabile” a riconoscere un determinato agente patogeno.

 

In realtà, negli ultimi dieci anni si è scoperto un fenomeno importante: i patogeni mangiati dalla regina finiscono per provvedere immunità alle uova, perché gli antigeni che essa ha processato, trasportati dalla vitellogenina, sono usati per addestrare il sistema immunitario delle larve in maniera specifica. Non si sa ancora quale sia la componente del sistema immunitario degli insetti che viene “istruita” dagli antigeni trasportati nelle uova; tuttavia, è stato riscontrato sperimentalmente che le larve che schiudono da uova deposte da regine trattate con specifiche antigeni erano poi relativamente protette nell’incontro con i patogeni da cui quegli antigeni provenivano.

 

A questo punto, si è pensato di nutrire le regine con spore inattivate del batterio che causa la peste americana, fornendo loro la pappa reale opportunamente addizionata con tale preparato, e si è riscontrato che le larve derivanti dalle regine trattate erano resistenti al patogeno quando vi erano esposte.

 

Tenendo conto che gli antibiotici sono inefficaci contro l’agente della peste americana, e visto che invece non solo il vaccino è risultato efficace ma anche non tossico, si è proceduto rapidamente allo sviluppo industriale di un preparato utile a indurre l’immunità nelle larve tramite l’alimentazione delle regine, grazie a una collaborazione fra l’università della Georgia e una piccola azienda dedicata.

 

È una prima assoluta: per la prima volta, cioè, si è ottenuto un prodotto efficace per stimolare una difesa immunitaria basata su un sistema completamente diverso dal nostro, e in parte sconosciuto, dimostrando in un colpo solo la robustezza della ricerca di base che ha contraddetto un assunto dato per scontato, basato sul pregiudizio generato dall’assenza di anticorpi negli insetti, ma anche aprendo una via per la produzione di successivi vaccini in grado sperabilmente sia di difendere meglio gli alveari sia di diminuire l’impiego di farmaci per trattare gli animali.

 

Ecco un nuovo, splendido esempio di come la ricerca di base per rispondere a quesiti di apparente poco interesse per l’uomo – in questo caso come fanno gli insetti a difendersi dai patogeni – può portare a progressi notevoli, con vantaggio per tutti – anche per i piccoli, simpatici impollinatori al centro delle campagne ambientaliste.

 

Un vaccino anche per loro contro la peste che le affligge: questo è il regalo che la ricerca scientifica, in collaborazione con un’azienda privata e le agenzie regolatorie, ha portato a tutti noi e agli apicultori in particolare.

 

E speriamo che tra questi ultimi non ci siano cultori delle balzane idee su autismo, sieri sperimentali, nanoparticelle, cancri ed altre stupidaggini che sentiamo circolare a proposito dei vaccini per uso umano.

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