cattivi scienziati
A che serve la matematica e perché è così irragionevolmente efficace
Il nostro linguaggio ordinario è insufficiente per descrivere la varietà di relazioni esistenti nel mondo che ci circonda. Mentre le espressioni ottenibili attraverso la matematizzazione non introducono ambiguità e consentono di compattare e rendere molto più efficiente la descrizione di ciò che abbiamo appreso
A che serve la matematica? Sin da quando i pitagorici e Platone posero alla base della realtà l’esistenza stessa della geometria, postulando che essa sia la vera essenza delle cose, e Galileo dichiarò che il gran libro della natura è scritto usando numeri, molti pensatori si sono interrogati sul perché la sua più potente descrizione sia quella matematica, e sul perché, alla fine, la realtà, una volta che si ammetta la sua indipendenza dall’osservatore, sia matematizzabile. Nel 1921, questo punto di vista portò Einstein a chiedersi: "Come può essere che la matematica, che è dopotutto un prodotto del pensiero umano indipendente dall'esperienza, sia così mirabilmente appropriata a descrivere oggetti della realtà?" Successivamente, nel 1959, Wigner parlò di “irragionevole efficacia della matematica", proprio per sottolineare questa inattesa proprietà di ciò che possiamo cogliere dell’universo intorno a noi.
Senza rispondere a questo tipo di domande, è forse difficile giustificare perché per descrivere al meglio il mondo fisico serva la matematica e non qualche sistema diverso e completamente indipendente – una pretesa, quest’ultima, condivisa da molti sostenitori di ogni sorta di pseudoscienza vitalistica.
Io vorrei qui ricapitolare alcuni punti che, un secolo dopo la domanda formulata da Einstein, sono fra quelli che trovo più convincenti. Innanzitutto, invece di chiederci se e perché la struttura dell’universo sia matematica, cioè se in fin dei conti non avesse ragione Platone, possiamo chiederci se per un osservatore l’utilizzo di una descrizione matematica della realtà fisica non presenti qualche speciale vantaggio, rispetto per esempio all’utilizzo della poesia o di altri mezzi puramente intuitivi e qualitativi.
Immaginiamo quindi un poeta che voglia descrivere al mondo il colore della rosa che intende regalare alla sua amata, e ci parli del rosso intenso che simboleggia il suo amore. Molti lettori saranno trascinati dalle parole e dall’immagine, ma fra questi potrebbe esservi una lettrice daltonica; con grande orrore del poeta, potrebbe essere pure la sua amata, anche se è un caso raro che le donne siano in tale condizione. Come potrebbe spiegarsi il poeta, dopo aver dichiarato il proprio amore in modo più accorto, se la sua amata fosse davvero curiosa di capire cosa intendeva? Potrebbe mostrarle che la luce riflessa dalla rosa che le ha regalato ha una lunghezza d’onda compresa fra 620 e 760 nanometri, come il sangue che le dona vita.
Rispetto all’uso della parola “rosso”, è evidente il vantaggio nell’usare una misura per descrivere una proprietà particolare degli oggetti fisici: non vi è ambiguità fra due osservatori distinti circa gli oggetti che mostrano quella proprietà. Se quindi è necessario creare una visione del mondo condivisa, il modo migliore che abbiamo a disposizione per eliminare le ambiguità nella descrizione che creiamo è quello di partire dalla misurazione accurata di ciò che ci interessa. Poiché siamo una specie sociale, noi viviamo continuamente comunicando qualcosa del mondo fisico agli altri; la riduzione dell’ambiguità in questa comunicazione è dunque essenziale, ma perché dobbiamo arrivare fino al punto di utilizzare numeri, invece che parole più ambigue, ma più comode? Possiamo per esempio benissimo avvisare un bambino che toccare una fiamma è pericoloso, perché scotta; non abbiamo bisogno di comunicargli la sua temperatura, per fargli intendere il pericolo, ed è invece sufficiente una descrizione del mondo in cui le fiamme scottano, perché quel bambino ne sappia abbastanza da essere relativamente al sicuro quando è vicino ad un fornello a gas. Certo, vi sono casi in cui ci serve contare, ed in quei casi è ovvio il vantaggio di effettuare una misura; ma perché mai conviene descrivere l’intero universo attraverso la matematica, invece che affidarsi ad un sistema alternativo?
Qui arriviamo ad un punto davvero importante: "matematizzare" un problema non significa misurare e calcolare, ma rivelare uno scheletro nascosto di relazioni concettuali che collega le proprietà osservabili dell’universo. La matematizzazione consiste appunto nel formulare l'idea sottostante al collegamento fra proprietà fisiche apparentemente diverse in un linguaggio matematico astratto. Anche queste relazioni, per essere afferrabili da tutti e poter divenire patrimonio condiviso, devono essere espresse in modo non ambiguo; ma ciò che soprattutto conta è che il sistema assiomatico-deduttivo della matematica è il più potente di cui disponiamo, quando vogliamo descrivere e investigare le relazioni esistenti tra proprietà misurabili della realtà, cioè esprimibili mediante numeri. Il nostro linguaggio ordinario è assolutamente insufficiente al compito di descrivere anche semplicemente la varietà di relazioni esistenti fra le proprietà fisiche del mondo che ci circonda, mentre le espressioni ottenibili attraverso la matematizzazione hanno l’espressività che serve, non introducono ambiguità e, in molti casi, consentono di compattare e rendere molto, molto più efficiente la descrizione di ciò che abbiamo appreso.
La nostra variegatissima esperienza del mondo fisico può così essere ricondotta alla scoperta e allo studio delle relazioni fra variabili misurabili, che descrivono bene le proprietà di ciascun oggetto fisico che possiamo incontrare; queste relazioni ci consentono non solo di descrivere ciò che percepiamo, ma anche di fare previsioni circa lo stato di ciò che ci interessa nel passato, nel futuro o in luoghi distantissimi da noi, perché qualche variabile che riusciamo a misurare può essere in relazione matematica con lo stato del sistema fisico che noi intendiamo studiare pur se lontanissimo nello spazio e nel tempo. Il processo di matematizzazione di ciò che sperimentiamo funziona così bene, che la nostra intera conoscenza scientifica del mondo oggi riposa sul valore determinato di poche decine di costanti fondamentali, dalle quali, tramite le relazioni che abbiamo scoperto, siamo in grado di derivare tutta la descrizione di qualunque fenomeno sia stato sin qui spiegato dalla scienza. Questa descrizione non è completa, e non è detto che lo sia mai, per ragioni che potrebbero essere intrinseche addirittura allo stesso processo che usiamo per costruirla; almeno per adesso, però, non siamo dotati di nulla di meglio per esplorare il nostro universo, rispetto ad un cervello in grado di matematizzarlo e alla mente collettiva che abbiamo creato con la nostra società globale.
E qui arriviamo a poter, finalmente, rispondere alla domanda iniziale, sul perché questo strumento sia così irragionevolmente efficace. Forse, dopotutto, è semplicemente sbagliato giudicare della sua ragionevolezza a partire dall’ampiezza del suo successo, allo stesso modo in cui è sbagliato stupirsi della perfezione dell’occhio e quindi invocare un intervento divino per la sua esistenza: dato qualche legame fra le proprietà delle parti che compongono il mondo fisico, a partire dalla quantificazione di tali proprietà mediante computazione (un processo che avviene anche a livello di singole cellule) si è evoluto un modo di esprimere quei legami come relazioni quantitative fra le misure effettuate. Questo processo è alla base dei processi logico-matematici che abbiamo successivamente formalizzato e condensato in ciò che chiamiamo matematica.
Non è l’universo ad essere irragionevolmente matematico, ma la nostra ragione ad essere matematica, e dunque universale, per il vantaggio evolutivo che ciò comporta in una specie sociale, ove meglio consente la condivisione e l’esplorazione collettiva di una descrizione del cosmo. E chi fa matematica, scopre relazioni che potrebbero sempre trovare applicazione per descrivere e farci comprendere qualche nuovo pezzo della realtà, che oggi ci sfugge; è la descrizione matematica di quelle relazioni che ci permetterà nuove e più fruttuose prove collettive di comprensione dell’universo, ed è per questo che l’esercizio dell’esplorazione mentale nei verdi pascoli matematici è fra le più importanti attività del nostro intelletto.
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