Una tromba d'aria ad Anadarko, Oklahoma (Wikipedia)

La scoperta di Edward Lorenz

Come la teoria del caos ha rivoluzionato il meteo e la scienza moderne

Massimiano Bucchi

La storia che ha portato il matematico a formalizzare uno dei fondamenti della scienza del secondo Novecento. Fino alla celebre conferenza del 1972, dove si chiedeva se una farfalla potesse scatenare un tornado in Texas

Una delle scoperte più importanti e una delle immagini più celebri – e travisate – della scienza nasce in modo piuttosto singolare. Si è nel bel mezzo del gelido inverno del 1961, nell’area di Boston la temperatura scende fino a -17 gradi centigradi. Il matematico e meteorologo Edward Norton Lorenz sta lavorando nel suo studio al Massachussets Institute of Technology. “Mild mannered” lo descrivono i biografi. Un uomo tranquillo, dedito al proprio lavoro, affascinato dai cambiamenti nel meteo fin da bambino, quando dalla casa di famiglia a West Hardford, Connecticut è rimasto impressionato da un’eclisse solare totale. Da allora, ha passato i pomeriggi a misurare e registrare le temperature massime e minime, a risolvere problemi matematici e a giocare a scacchi contro il padre e la madre, battendoli entrambi. Durante la guerra ha lavorato al servizio meteo nell’aviazione militare. Sebbene siano disponibili dati sempre più accurati, all’epoca le previsioni del tempo sono ancora perlopiù “congetture intuitive”.

 

L’avvento dei primi computer ha offerto nel frattempo a Lorenz l’occasione che aspettava: unire le sue due grandi passioni, matematica e meteorologia, e costruire un modello matematico del meteo. Così ha installato nel proprio ufficio un Royal McBee LGP-30 che agli occhi dei perplessi colleghi pare un bizzarro incrocio tra una macchina da scrivere e una fotocopiatrice, capace di ben sessanta operazioni al secondo (un portento all’epoca, una bazzecola rispetto a qualunque smartphone odierno). Con quella macchina ha creato un pionieristico programma per simulare l’andamento del meteo a partire da dodici equazioni che esprimono i rapporti tra variabili quali temperatura, pressione, velocità del vento. Quel giorno Lorenz vuole ripetere una simulazione già fatta in precedenza su circa due mesi di condizioni atmosferiche. Stavolta però decide di inserire manualmente i dati di partenza. Forse per risparmiare tempo, forse per risparmiare carta, arrotonda una variabile al terzo decimale, da 0.506127 a 0.506, tanto che differenza può fare? Poi fa partire il programma e dato che ci vorrà un po’, nel frattempo, per scaldarsi, va a farsi un caffè nella lobby dell’istituto. Quando torna un’ora dopo, si gratta la testa perplesso. “I numeri sulla stampante non avevano nulla a che fare con quelli ottenuti in precedenza”.

 

Lorenz pensa dapprima che ci sia uno dei soliti guasti alle valvole del computer e chiama i tecnici. Mentre aspetta che arrivino, controlla i calcoli. “Presto ho capito che la causa era che i numeri immessi non erano gli stessi di quelli originali, ma numeri arrotondati”. In quel sistema di equazioni deterministico, a un punto di partenza leggermente diverso dovevano corrispondere condizioni meteo leggermente diverse. E invece no. “La piccola differenza tra qualcosa con sei cifre decimali e la stessa cosa arrotondata a tre decimali si era amplificata nel corso di due mesi di simulazioni atmosferiche, finché la differenza risultava grande quanto il segnale stesso. Per me questo implicava che se l’atmosfera reale si comportava in questo modo, allora semplicemente non potevamo fare previsioni sui due mesi seguenti. I piccoli errori di osservazione si sarebbero amplificati fino a divenire enormi […] Oggi lo chiameremmo caos”.

 

Attenzione al termine però, perché qui si rischia già di divergere come i calcoli dell’ansimante Royal McBee. Con “caos” Lorenz non intende completa casualità ma la sensibilità di un sistema, nel lungo periodo, a piccole variazioni nelle condizioni iniziali: il centro della sua ricerca è quindi il tentativo di risolvere la difficoltà di ottenere modelli previsionali soddisfacenti. È una scoperta importante – anzi, in seguito la si descriverà come “una delle più grandi rivoluzioni scientifiche del secondo Novecento” – ma non sono ancora i tempi della scienza sotto i riflettori, tantomeno per la meteorologia. Lorenz la espone in un articolo di dodici pagine dal titolo assai poco appariscente, “Deterministic Nonperiodic Flow”, pubblicato sessant’anni fa sul Journal of Atmospheric Sciences. Ci fossero anche stati i social, all’epoca, cauto com’era, è assai dubbio che l’avrebbe twittato. Sicché, e pur essendo ricco di spunti per molti ambiti di ricerca, al di fuori del proprio settore specifico in quegli anni l’articolo raccoglie la miseria di tre citazioni. In quello stesso anno però Lorenz pubblica anche un altro articolo in cui espone la propria idea con alcuni esempi concreti, tra cui la possibilità di prevedere le alluvioni. E nelle ultime righe butta lì un’immagine suggestiva, che peraltro non è neanche un’idea sua, con la cautela e l’understatement tipici di un paper scientifico. “Un meteorologo ha notato che se la teoria fosse corretta, un battito d’ali di gabbiano sarebbe sufficiente ad alterare il corso del tempo per sempre”. 

 

Passano gli anni, e si arriva così all’inverno di cinquant’anni fa. A Washington DC si tiene la 139esima riunione dell’American Association for the Advancement of Science, un importante appuntamento di discussione e incontro tra scienziati di varie discipline. Un collega meteorologo, Philip Merilees, ha convinto Lorenz a intervenire alla sessione “Nuovi approcci al meteo globale”. Siamo a fine anno, e Lorenz si dimentica di mandare il titolo del proprio discorso. Sicché tocca a Merilees sceglierne uno. Alle 10 di mattina del 29 dicembre 1972, Lorenz prende la parola partendo da un titolo suggestivo: “Prevedibilità: il battito d’ali di una farfalla in Brasile può scatenare un tornado in Texas?”. “Prima di sembrare frivolo anche solo nel porre la domanda del titolo, e men che meno suggerire che la risposta sia affermativa, lasciate che la ponga nella giusta prospettiva […] Se un solo battito d’ali di una farfalla può generare un tornado, lo stesso possono fare tutti i successivi battiti d’ala di quella farfalla e i battiti di milioni di altre farfalle, per non menzionare le attività di innumerevoli e più possenti creature, incluse quelle della nostra specie. In termini più tecnici, il comportamento dell’atmosfera è instabile rispetto a perturbazioni di piccola ampiezza? La connessione tra questa domanda e la nostra capacità di predire il tempo atmosferico è evidente”. 

 

Come venne in mente a Merilees di sostituire al gabbiano una farfalla? Forse l’idea gli fu suggerita dalla forma di un grafico pubblicato dallo stesso Lorenz, poi divenuto noto come “attrattore di Lorenz, che tracciava una distinta forma a doppia spirale, rassomigliando proprio a una farfalla con le sue due ali”. Forse l’ispirazione gli venne anche da un racconto di fantascienza dello scrittore americano Ray Bradbury, Rumore di Tuono (1952). Nel racconto, un gruppo di facoltosi gitanti del 2055 fa un viaggio indietro nel tempo fino alla preistoria. La guida li ammonisce severamente a non danneggiare alcuna specie animale per non rischiare di alterare irreversibilmente il corso degli eventi. Un topolino in meno potrebbe lasciar morire di fame una volpe e quest’ultima un leone “e se manca un leone, intere specie di insetti, avvoltoi, infiniti miliardi di forme viventi vengono gettate nel caos […] cinquantanove milioni di anni dopo, un uomo delle caverne, uno della dozzina esistente in tutto il mondo, va a caccia di cinghiali selvaggi o di tigri per nutrirsi. Ma lei, amico, ha schiacciato col piede tutte le tigri di quella regione, schiacciando un solo topo. E così l’uomo delle caverne muore di fame […] distruggere quell’unico uomo significa distruggere una razza, un popolo, un’intera storia di vita. Forse Roma non sorgerebbe più sui suoi sette colli. Forse l’Europa resterebbe in eterno una foresta buia. Schiacci un topo col piede e abbatterà le Piramidi […] gli Stati Uniti potrebbero non esistere affatto”.

 

Uno dei viaggiatori esce però involontariamente dal percorso stabilito, calpestando muschio fresco. Al ritorno nel 2055, il gruppo scopre che si parla una lingua diversa e vige un regime dittatoriale. “Frugò convulsamente nello spesso fango che gli incrostava gli stivali. No, non può essere! Non una cosa così piccola, no! Incastrata nel fango, emettendo un luccichio verde, dorato e nero, c’era una farfalla, molto bella e molto morta […] la farfalla cadde sul pavimento, una cosa squisita, una piccola cosa che poteva sconvolgere gli equilibri e abbattere una fila di piccole tessere del domino e poi di grandi tessere e poi di gigantesche tessere, giù giù per gli anni attraverso il tempo”. L’espressione “effetto farfalla” di cui tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta, anche se magari a sproposito, è definitivamente consacrata e resa popolare dal bestseller divulgativo di James Gleick, Chaos. Making a New Science (1987). In quegli stessi anni l’articolo originale di Lorenz del 1963, precedentemente quasi ignorato, diventa uno dei paper scientifici più citati di tutti i tempi. 

 

Secondo il collega dell’Università di Oxford Tim Palmer, l’avvento della teoria del caos nella seconda metà del XX secolo ha portato “una rivoluzione da cui quasi ogni disciplina scientifica (tanto in campo fisico quanto biologico) è stata toccata. Nella sua essenza, questa rivoluzione ha portato un cambio di paradigma che rivaleggia con la teoria dei quanti o con la teoria della relatività. In parole povere, il cambiamento è questo: se un sistema presenta un comportamento altamente complesso o apparentemente casuale, questo non implica che la dinamica del sistema sottostante sia essa stessa altamente complessa, o casuale”. Più concretamente, secondo un articolo apparso sulla rivista dell’American Physical Society, “dopo la scoperta di Lorenz, i modelli al computer sono riusciti a trasformare la meteorologia da un’arte a una scienza. E tuttavia oltre due o tre giorni, anche le migliori previsioni sono ancora speculative, e oltre una settimana non hanno praticamente valore”.

 

Da allora l’effetto farfalla diventa anche un ingrediente assai diffuso della fiction – anche se spesso interpretato in un senso deterministico diametralmente opposto a quello di Lorenz, ovvero come capacità di tracciare connessioni impercettibili a grande distanza e perfino di alterare opportunamente il corso degli eventi – come avviene nel film The Butterfly Effect (Eric Bress e J. Mackye Gruber, 2004) o nella celebre sintesi che se ne fa in Jurassic Park (Steven Spielberg, 1993, tratto dal romanzo di Michael Crichton), con la battuta del matematico e “caosologo” Ian Malcolm: “Una farfalla batte le ali a Pechino e il tempo cambia a New York”. 
Brasile, Texas, Pechino, New York: in un articolo ironico pubblicato nel 2007 sulla rivista Annals of Improbable Research, lo scienziato della University of California Ron Hassner si è divertito a tracciare su una mappa del globo i voli della farfalla di Lorenz e indovinate un po’: ne viene fuori una forma che assomiglia a un attrattore di Lorenz, nonché alla farfalla amazzonica Heliconius erato. Non poteva mancare la versione dei Simpson, i cui autori sono sempre attenti al mondo scientifico. In un episodio del 1994 (Time and Punishment), nel tentativo di riparare un tostapane, Homer lo trasforma in una macchina del tempo che lo porta avanti e indietro dalla preistoria. Qui schiaccia una fastidiosa zanzara, si siede goffamente su un pesce e stermina con uno starnuto schiere di dinosauri, alterando il corso della storia per ritrovarsi poi in un presente dominato da una dittatura o in cui non sono mai state inventate le ciambelle…

 

Ma ancor più singolare è che una considerazione molto simile a quella di Lorenz si trova nel dialogo L’egoista dello scrittore (e ingegnere) italiano Carlo Emilio Gadda: “Se una libellula vola a Tokio [sic], innesca una catena di reazioni che raggiungono me”. Il testo di Gadda è del 1954, quasi dieci anni prima dell’articolo di Lorenz (in cui la farfalla peraltro, come si è detto, non è citata) e quasi vent’anni prima della conferenza in cui lo scienziato usò per la prima volta l’espressione. La prima edizione italiana del racconto di Bradbury è del 1964. Gadda aveva forse letto il racconto dello scrittore americano nella versione originale? La coincidenza è impressionante, anche se lo stesso Lorenz, in seguito, rintracciò analogie tra la propria idea e temi della cultura popolare che risalgono fino al XIV secolo, come il detto tradizionale inglese, equivalente dell’italiano “Per un punto Martin perse la cappa”:

Per mancanza di un chiodo il ferro da cavallo è perso.
Per mancanza di un ferro da cavallo il cavallo è perso.
Per mancanza di un cavallo il cavaliere è perso.
Per mancanza di un cavaliere il messaggio è perso.
Per mancanza di un messaggio la battaglia è persa.
Per mancanza di una battaglia il regno è andato perso.
E tutto per la mancanza di un chiodo da cavallo.

Si può davvero perdere un regno per colpa di un chiodo? Può dunque una farfalla causare un tornado? “Ancora oggi, non sono sicuro di quale sia la risposta”, commentò Lorenz nel 2008, poco prima della sua scomparsa.