Cattivi Scienziati
La musica è il "collante sociale" per eccellenza. Ma perché esiste?
Uno stimolo per il successo riproduttivo? Sì, secondo Darwin. Un bene per il rapporto genitore-figlio. Un modo per intensificare a tutto tondo i rapporti umani. Il percorso dall'uomo di Neandertal al rock dei Maneskin
"Ogni genere ha diritto di esistere, ma quando si fa musica, non quando si urla e basta". È quello che Uto Ughi ha dichiarato a proposito dei Maneskin, innescando una ovvia polemica; e così, chi non sta già litigando per il vino, può sempre farlo per il significato del rock e della musica in genere.
Ora, visto che l’argomento è ritenuto così importante da costruirvi una animata polemica pubblica, val forse la pena di sollevarsi un po’ più in alto delle parole di questi giorni e provare a interrogarci su qualche questione forse più interessante: perché abbiamo la musica? A cosa serve, e perché è diffusa in ogni cultura umana? È una capacità unicamente della nostra specie, magari prodotta dalla nostra storia culturale recente?
Alcuni anni fa è diventato popolare affrontare tali questioni da una prospettiva evoluzionistica, ipotizzando che la musica abbia avuto un ruolo nella nostra sopravvivenza come specie e proponendo che la musicalità – intesa come capacità di produrre e consumare musica - derivi dalla selezione naturale in senso ampio o da quella specificamente sessuale.
L’iniziatore di questo tipo di interpretazioni evoluzionistiche è addirittura lo stesso Charles Darwin: egli suggerì per primo un ruolo della selezione sessuale nelle origini della musica, visione questa che è stata ripresa ed elaborata negli ultimi anni. Per Darwin, la musica non aveva benefici diretti in termini di sopravvivenza, ma offriva un mezzo per impressionare potenziali partner, contribuendo così al successo riproduttivo – proprio come avviene per il canto degli uccelli e di altri tipi di animali. Egli, come altri studiosi successivi, sosteneva addirittura che nella linea evolutiva che ha portato alla nostra specie le vocalizzazioni musicali precedessero il linguaggio.
Un’altra teoria riconduce le origini della musica alle vocalizzazioni degli adulti in presenza dei bambini, vocalizzazioni più o meno melodiose e nenie che si pensa migliorino il legame genitore-figlio e promuovano il benessere e la sopravvivenza del bambino. Questo tipo di comportamento protomusicale, con parole ripetute ritmicamente, si pensa possa anche essere particolarmente utile a promuovere l’apprendimento del linguaggio da parte dei bambini.
Un ulteriore punto di vista sottolinea il ruolo della musica nel promuovere e mantenere la coesione del gruppo. Si pensa che la musica sia il "collante sociale" che migliora la cooperazione e rafforza i sentimenti di unità costituite da un numero vasto di individui. Secondo Dunbar, i canti e le danze di gruppo nei nostri antenati ominidi hanno sostituito lo spulciamento sociale (grooming) come mezzo per mantenere le connessioni sociali man mano che i gruppi si espandevano di dimensioni. Come elemento a rinforzo di questa interpretazione, si è dimostrato che canto e danza imitano gli effetti neurochimici dello spulciamento sociale nei primati non umani, incluso il rilascio di endorfine, con importanti conseguenze sociali.
Nelle interpretazioni appena presentate e in altre a esse connesse, la musica e la musicalità della nostra specie hanno significato adattativo: sono cioè tratti sottoposti a selezione naturale che hanno conferito vantaggio ai portatori, per poi diffondersi nell’intera popolazione umana, risultando un adattamento favorevole.
Tuttavia, recentemente sono emerse interpretazioni “non adattative”, ovvero sono stati formulati dei meccanismi che non prevedono un aumento della fitness o del successo sessuale alla base dell’origine e della diffusione della musica e della musicalità. Un'importante visione non adattazionista considera la musica come una tecnologia o "invenzione trasformativa" che fa uso di abilità esistenti e ha conseguenze importanti per la nostra cultura e biologia. Questa nozione ha parallelismi con il controllo trasformativo del fuoco da parte dei primi esseri umani, che rese possibile la cottura del cibo e l'ottenimento di calore, con importanti conseguenze culturali e biologiche. Vista in questo modo, la musica è una exaptation, ovvero sottoprodotto evolutivo di altri tratti biologici di una specie.
Steven Pinker è probabilmente il più importante esponente di questa interpretazione della musica come adattamento: egli ha scritto che la musica “è una tecnologia, non un adattamento”.
Vorrei far notare che, dal punto di vista del significato attuale della musica, ovvero di collante sociale, di elemento di selezione sessuale e di stimolo della parola nel bambino, i dati ottenuti sono compatibili tanto con una visione in cui il vantaggio conferito agli individui “musicali” è stato tale da favorire l’espansione del tratto nella popolazione, tanto con la visione in cui la musica sarebbe non un tratto su cui ha agito la selezione, ma un sottoprodotto fissato nella nostra cultura per la sua piacevolezza – un po’ come l’uso di alcool, tanto per accennare ad un’altra polemica in voga in questi giorni.
In tutti i casi, la musica si è rapidamente diffusa in tutte le nostre culture, ma la cosa interessante è che ciò potrebbe essere avvenuto in un tempo molto remoto anche in altre specie umane. Se i suoi scopritori hanno ragione, circa 50.000 anni fa, in quella che oggi è la Slovenia un Neandertal ricavò dal femore sinistro di un giovane orso delle caverne un flauto, il quale costituirebbe il più antico esempio di strumento musicale sin qui noto. Anche in questo caso è divampata una polemica senza fine, che ancora oggi deve vedere la sua soluzione, fra i sostenitori dell’esistenza di strumenti musicali fra i Neandertal e chi invece crede che quello che a noi appare un flauto, che è stato dimostrato può produrre musica, sia in realtà il prodotto della masticazione casuale di un osso da parte di una iena; ed è curioso che mentre i paleontologi si dilaniano circa il fatto che la cultura Neandertal potesse produrre musica fra antiche rocce, il rock dei Maneskin è aggredito da Uto Ughi perché sarebbe “un insulto alla cultura”.
Il binomio inscindibile di musica e cultura continua a produrre battaglie identitarie: musica è quella che fa solo la nostra specie, oppure no, musica è quella che fa solo il nostro gruppo culturale, oppure no; in attesa che la polvere si posi nuovamente, non resta che procurarci una nuova scarica di endorfine ascoltando il nostro disco preferito.
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