cattivi scienziati
Così la selezione naturale ha operato sul nostro sistema immunitario
Un gruppo internazionale di ricercatori, fondato sulla paleogenomica, ha permesso di dimostrare che gli eventi di forte selezione sono avvenuti in concomitanza e in periodi di tempo ristretti, in parallelo a momenti importanti della nostra evoluzione sociale
Fin da quando, negli anni ’50 del secolo scorso, Haldane collegò la diffusione in Africa delle mutazioni responsabili per l’anemia falciforme alla protezione fornita da queste anomalie contro la malaria, un'infezione endemica che miete milioni di vittime, è stato suggerito che la pressione selettiva esercitata dai patogeni è fra le più importanti forze evolutive ancora attive sugli esseri umani.
Da allora, una messe di studi ha confermato le previsioni di questa teoria, ma è di questi giorni uno studio globale che, in maniera molto elegante, è riuscito a dare una panoramica di come e quando la selezione abbia operato sul nostro sistema immunitario.
L’approccio sperimentale utilizzato da un gruppo internazionale di ricercatori, fondato sulla paleogenomica, ha infatti permesso di dimostrare che gli eventi di forte selezione sono avvenuti tutti concomitantemente e in periodi di tempo ristretti, in parallelo a momenti importanti della nostra evoluzione sociale. La paleogenomica è la disciplina che si occupa di studiare i Dna di antichi esseri viventi; per i contributi forniti allo studio del Dna fossile e antico, Svante Pääbo ha ricevuto il Nobel per la Medicina nel 2022.
Nello studio appena pubblicato sulla rivista Cell Genomics, gli scienziati hanno analizzato i genomi di oltre 2.800 individui vissuti in Europa negli ultimi dieci millenni, un periodo che copre il Neolitico, l’età del bronzo, quella del ferro, l’età classica, il medioevo e giunge quindi fino a noi.
Ricostruendo l'evoluzione nel tempo di centinaia di migliaia di mutazioni genetiche, i ricercatori hanno identificato mutazioni che aumentavano rapidamente di frequenza in Europa, indicando che erano vantaggiose. Queste mutazioni che si sono evolute sotto selezione naturale detta "positiva" si trovano principalmente in 89 geni, in cui sono particolarmente rappresentati funzioni relative alla risposta immunitaria innata. In altre parole, quando si sono verificati importanti e rapidi effetti di selezione sul patrimonio genetico delle popolazioni europee, il grosso dei geni interessati sono risultati essere geni collegati a quella parte della risposta immunitaria che ci difende ad ampio spettro e non specificamente contro una grande varietà di patogeni.
Fra questi sono soprattutto risultati selezionati geni di un gruppo detto Oas che, in presenza di un’infezione virale da virus a Rna, è attivato per produrre molecole in grado di indurre selettivamente la degradazione del genoma virale, e il gene che determina il gruppo sanguigno AB0, collegato da tempo alla suscettibilità a certi tipi di infezione. Sorprendentemente, la maggior parte di questi eventi di selezione positiva, che dimostrano un adattamento genetico ai patogeni ambientali, sono iniziati molto recentemente, all'inizio dell'età del bronzo, circa 4.500 anni fa. Nello stesso periodo la popolazione umana ha iniziato una forte crescita, e patogeni come la peste hanno incominciato a dare origine a diffuse epidemie, esercitando una pressione selettiva difficilmente possibile nelle precedenti popolazioni umane, più disperse e di minori dimensioni.
Vi sono poi state altre varianti geniche la cui frequenza è diminuita in modo significativo negli ultimi dieci millenni. Ancora una volta, questi eventi di selezione sono iniziati nell'età del bronzo. Molte di queste varianti svantaggiose eliminate o in forte calo nella popolazione dopo l’età del bronzo si trovano anch’esse in geni associati alla risposta immunitaria innata, come TYK2, LPB, TLR3 e IL23R, e la ricerca sperimentale precedente aveva già mostrato che esse hanno un effetto deleterio in termini di rischio di malattie infettive.
Infine, i ricercatori sono andati alla ricerca di effetti simili a quelli descritti originariamente da Haldane, cioè effetti di selezione di varianti geniche che sono state selezionate perché, nonostante possano predisporre ad altre patologie, sono comunque protettive nei confronti di agenti infettivi e parassiti.
Studiando le poche migliaia di mutazioni note per aumentare la suscettibilità in primo luogo alla tubercolosi, all'epatite, all'Hiv o al Covid-19, e in secondo luogo all'artrite reumatoide, al lupus eritematoso sistemico o alla malattia infiammatoria intestinale, hanno osservato che quelle associate a un aumentato rischio di disturbi infiammatori, incluso il morbo di Crohn, sono diventate più frequenti negli ultimi 10.000 anni, mentre la frequenza di quelle associate a un rischio di sviluppare le malattie infettive sono diminuite. Questi risultati suggeriscono che il rischio di disturbi infiammatori è aumentato negli europei dal periodo neolitico a causa di una selezione positiva di mutazioni che migliorano la resistenza alle malattie infettive.
I risultati ottenuti dimostrano quindi che la nostra propensione a condizioni di infiammazione patologica è aumentata negli ultimi 10.000 anni, in una parte sostanziale come scotto da pagare per ottenere una migliore protezione dai parassiti; i “salti” evolutivi sono avvenuti in breve tempo, in corrispondenza soprattutto dell’età del bronzo e degli eventi di riorganizzazione sociale ed aumento della popolazione umana connessi a quell’epoca, che hanno favorito il propagarsi di infezioni vecchie e nuove su scala precedentemente ignota.
Anche oggi, sappiamo che alcune varianti genetiche influenzano il rischio di sviluppare Covid-19 severo; e anche oggi i parassiti, e in primis i virus, possono diffondersi come mai prima in una popolazione umana che ha effettuato un rapido incremento nelle sue dimensioni e nella sua connettività.
Ecco perché, guardando a quanto successo anche in passato, non dovremmo stupirci se dovremo affrontare una nuova, importante fase di epidemie diversa dalle precedenti, avendo però la speranza che grazie alla scienza e alla tecnologia non si verifichi nuovamente un evento selettivo della popolazione, come quello documentato nell’età del bronzo dallo studio qui discusso.
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