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Cattivi Scienziati

Dalle formiche agli umani. Come la prevenzione influenza la riproduzione dei virus

Enrico Bucci

Il trattamento dei membri infetti di una collettività ha un impatto sui patogeni. Un atteggiamento di difesa dalle malattie a livello di comunità, "l'immunità sociale", mantiene un insieme più variegato di ceppi infettivi che sono in generale meno aggressivi 

Per prevenire la diffusione di un patogeno pericoloso, sia i vertebrati che gli invertebrati sociali adottano diverse misure comportamentali, volte a minimizzarne la diffusione nel gruppo e i conseguenti effetti negativi. In particolare, il trattamento dei membri infetti di un gruppo è un segno distintivo della difesa collettiva dalle malattie in un ampio insieme di animali sociali. La cosa, naturalmente, è particolarmente evidente negli esseri umani, ove il trattamento dei soggetti infetti ha un doppio scopo: la cura dell’individuo, ma anche la prevenzione della diffusione dell’infezione, come abbiamo potuto tutti ben osservare durante la pandemia ancora in corso.

 

Eppure, nonostante siano prevedibili, gli effetti di questa sorta di “immunità sociale” di tipo comportamentale sul successo riproduttivo dei patogeni – cioè gli effetti in grado di influenzarne l’evoluzione naturale, a causa della pressione selettiva dovuta ai comportamenti sociali di contrasto degli ospiti – sono ancora in gran parte sconosciuti. Utilizzando insetti sociali, ovvero formiche, e funghi patogeni, un nuovo studio ha per la prima volta identificato in maniera molto chiara la presenza e il tipo di effetti che l’immunità comportamentale sociale ha sull’evoluzione dei patogeni.

 

Le formiche, come altri insetti sociali, oltre all'immunità individuale hanno sviluppato difese cooperative contro le malattie. In particolare, gli individui appartenenti a un nido puliscono i membri della colonia esposti ai patogeni, rimuovendo e disinfettando le particelle infettive prima ancora che possano causare infezioni. Gli agenti patogeni che infettano i loro ospiti attaccandosi e penetrando nella superficie corporea, come le spore di molti funghi parassiti, sono quindi sottoposti a una forte selezione per contrastare l'impatto negativo che la cura reciproca dei loro ospiti sociali ha sulla loro probabilità di replicazione. In particolare, sebbene la pulizia riduca uniformemente il numero di spore in grado di infettare con successo un ospite, il grado di questo effetto può variare anche tra specie fungine strettamente correlate, a seconda delle loro specifiche proprietà.

 

Questo effetto è stato provato dagli autori dello studio in questione, che hanno mostrato come ceppi di funghi parassiti differenti, quando le loro spore sono utilizzate per infettare una formica, hanno un successo differente a seconda se la formica esposta ai patogeni è poi sottoposta alla pulizia da parte dei suoi compagni di nido o meno. Se una formica non è ripulita, ha immediatamente successo un dato ceppo fungino, che estingue per competizione l’altro; se, invece, il normale comportamento di “immunità sociale”, ovvero di ripulitura, è attuato, allora tutti i funghi decrescono il proprio successo, ma anche i ceppi normalmente più svantaggiati riescono a riprodursi.

 

Il comportamento di prevenzione delle infezioni da parte delle formiche, cioè, favorisce il mantenimento di una comunità di patogeni a livelli più bassi, ma più variegata: questo, nel caso specifico, accade perché il fungo che normalmente sarebbe estinto in assenza di comportamento di ripulitura sociale, ha nella propria membrana quantità molto più basse di un componente chimico che le formiche sono in grado di individuare, e che quindi sfavorisce i ceppi più aggressivi di patogeni. Inoltre, sotto la selezione dell'immunità sociale, i patogeni risultano produrre un maggior numero di spore, ma meno virulente; questo perché la stessa sostanza chimica, l’ergosterolo, che risulta ridotta favorendo l’evasione al comportamento di pulizia reciproco, è anche positivamente correlata alla patogenicità delle spore. L’insieme di questi complessi effetti selettivi e di evoluzione darwiniana, sia sui singoli ceppi fungini che sull’intero ecosistema di parassiti che interagiscono fra loro, è sì stato riscontrato specificamente sul modello di insetti e funghi patogeni, ma appare ovviamente non vincolato a quel sistema ospite-parassita.

 

Se pensiamo, per esempio, a cosa è successo dopo l’applicazione su larga scala dei test di rivelazione di Sars-cov-2, che hanno favorito quelle varianti meglio in grado di evaderli, abbiamo un esempio omologo alla selezione di patogeni con meno ergosterolo in membrana da parte delle formiche, che usano quella molecola per identificare le spore fungine. Allo stesso modo, i complessi effetti co-evolutivi che i nostri comportamenti di difesa da un patogeno hanno avuto su altri patogeni ricordano quanto osservato per i diversi ceppi fungini nel lavoro appena descritto: la co-ecologia dei patogeni produce l’adattamento non solo di una singola specie bersaglio dei trattamenti, ma anche di una miriade di popolazioni di patogeni diversi, dai batteri resistenti agli antibiotici ai più diversi altri agenti infettivi.

 

Il concetto di “one health”, fin troppe volte usato per connettere la nostra salute a quello dell’ecosistema in cui viviamo, va quindi inteso in modo ancora più ampio, nel senso di considerare un’ampia rete interconnessa di specie parassite, le quali rispondono in modo coordinato ai nostri comportamenti difensivi nei confronti di una qualunque di esse; ed è per questo motivo che misure ad ampio spettro, come quelle illustrate su queste pagine, sono quelle che massimamente dovremmo attuare.

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