Cattivi scienziati
Il lato più importante della scienza sono i suoi benefici sulla società. Ricordiamocelo
È sempre più spesso concepita come fine a sé stessa, e le persone la vedono lontana. Invece bisogna riscoprire che le scoperte e la fiducia nel sapere scientifico si formano anche grazie alla collettività. Un richiamo
Molto spesso, si esamina l’aumento di sfiducia nelle istituzioni scientifiche e nei ricercatori, e di conseguenza nell’intera impresa scientifica, in termini di cattiva comunicazione dei metodi e dei risultati della ricerca scientifica e sempre più povera possibilità di comprensione da parte del pubblico, a causa dell’incremento di analfabetismo funzionale e al decremento della qualità della formazione scolastica universale.
Vorrei qui provare ad argomentare una posizione diversa, una posizione che ritengo debba essere il punto di partenza per una presa di coscienza da parte dei miei colleghi ricercatori o, se si preferisce, della comunità scientifica nel suo complesso.
Non certo in alternativa, ma in cercare le radici della sfiducia pubblica nella scienza a partire da deficit di comunicazione e di formazione, vorrei qui richiamare l’attenzione sugli sforzi che la comunità scientifica, particolarmente attraverso le proprie istituzioni, dovrebbe fare per aumentare la propria credibilità e affidabilità guardando alla dimensione etica e all’impatto di ampio spettro che la ricerca può avere sulla società nel suo complesso.
Dopo molti anni e molti sforzi, anche del sottoscritto, i ricercatori sono oggi giustamente preoccupati dell’aumento della frode scientifica e delle sue cause, e si sono intraprese una varietà di azioni per promuovere l'integrità della ricerca, la sua trasparenza e la disponibilità dei dati; uno sforzo titanico, il cui successo è certamente cruciale per la credibilità e la validità epistemica della conoscenza scientifica, ma che è ostacolato dal corrente mercato della pubblicazione scientifica e dal connesso sistema di valutazione bibliometrica.
Tuttavia, nessuno ancora sembra sufficientemente preoccuparsi di un fatto molto semplice: la fiducia del pubblico ed il suo favore richiedono non solo competenza e integrità tecnica, ma anche la chiara evidenza del beneficio che l’impresa scientifica, in ogni suo stadio ma specialmente e precipuamente quando è vicina all’applicazione, può arrecare alla società nel suo complesso e anche a chi è più strettamente coinvolto, come partecipanti alle ricerche, pazienti, istituzioni partner e così via.
La chiara identificazione di questo beneficio, quando è richiesta, è oggi ristretta a qualche paragrafo nelle domande di finanziamento per fondi come quelli europei; non è invece comunicato al pubblico se non a posteriori, in forma enfatica e spesso stereotipata, sotto forma di titoli di giornale di cui il prototipo è il sempre vivo “più vicini alla cura per il cancro X”.
Se guardo al mio settore, in modo da parlare di ciò che meglio conosco, posso dire che da troppo tempo le persone sono trattate come oggetti anonimi della ricerca, invece che soggetti cointeressati e collaboratori indispensabili all’avanzare della conoscenza. Troppo spesso, inoltre, si promuovono la commercializzazione e la privatizzazione della conoscenza in un modo che non può non ingenerare il sospetto, giustificato o meno, che in realtà si contravvenga al bene pubblico e si diriga lo sforzo pubblico a vantaggio di interessi privati.
Ma soprattutto – questo è il punto che ritengo più critico – si prioritizza l’obiettivo epistemico della ricerca, delegando successivamente e solo quando “burocraticamente” costretti, la sua giustificazione a eticisti o esperti di scienze umane (quando va bene, quando cioè non si coinvolgano i religiosi). Se pensiamo a ciò che sta avvenendo nei domini di applicazione dell’intelligenza artificiale, in quelli che riguardano il controllo delle funzioni cerebrali attraverso strumenti quali (ma non solo) l’optogenetica, nella generazione di organoidi in grado di computare e in futuro di esprimere funzioni cognitive superiori e in mille altri settori, nella ricerca volta a correggere il dna difettoso di esseri umani, osserviamo ovunque lo stesso, desolante, panorama: tutti sono ben coscienti dei rischi etici e pratici di ciò che si sta facendo, ma la vera riflessione approfondita sulle conseguenze possibili è devoluta a persone diverse e avviene in tempi diversi rispetto a chi è coinvolto e a quando si opera in prima battuta.
Come beneficerà il pubblico di ciò che avviene nei laboratori di Google, in collaborazione con università pubbliche? Dove potrebbero portare le ricerche in tema di biointelligenza artificiale? Quanto è possibile oggi leggere e controllare l’attività di un cervello, magari in remoto, e quali sono i benefici ottenibili?
Non è tanto importante che le risposte date dagli scienziati finiscano nei questionari dell’Unione europea o in simili pozzi burocratici, quanto il fatto che questo tipo di domande diventino parte integrante del pensiero creativo dei ricercatori, nel momento in cui formulano le loro idee progettuali su ricerche future.
Equità, giustizia, pubblico bene, dovrebbero essere temi ben presenti nella testa almeno di quei ricercatori che già oggi si preoccupano di integrità della ricerca scientifica e buone pratiche; in altre parole, non è solo l’etica della ricerca che va tenuta presente, insieme alle responsabilità verso gli altri ricercatori, ma, nel suo complesso, la responsabilità verso l’intera società.
Ecco: io credo che se il pubblico potesse condividere questo senso di condivisione e appartenenza comune dello sviluppo scientifico, forse, al netto di ovvie deviazioni, mele marce, corruzioni, un senso di più generale fiducia nella ricerca scientifica come impresa collettiva dell’intera società, e non solo dei ricercatori, potrebbe essere recuperato.
cattivi scienziati
Un altro promotore della pseudoscienza al potere in America
Cattivi scienziati