Cattivi scienziati
La possibilità di creare cervelli bio-meccanici è sempre più una realtà. L'esperimento
Una ricerca mostra il progresso della scienza nel riprodurre attività neuronale all'interno di corpi artificiali. Ma se è vero che la ricerca procede spedita, delle conseguenze delle applicazioni si parla ancora troppo poco
In molti, e giustamente, sono impressionati da quel che intelligenze artificiali sempre più sofisticate stanno ottenendo.
Ma cosa potrebbe succedere se reti neurali viventi e reti neurali artificiali fossero direttamente integrate fra loro?
Partiamo da una considerazione: i neuroni sono cellule specializzate, in grado di rispondere non solo a stimoli di tipo elettrico, ma anche alla luce, alla pressione, alle sostanze chimiche e ai campi magnetici; per questo motivo, come avviene negli organismi viventi, essi possono essere usati per raccogliere stimoli dall’ambiente esterno e tradurli in impulsi elettrici.
Inoltre, la capacità dei ricercatori di mantenere vive reti di neuroni biologici complesse per tempi sufficientemente lunghi a poter esercitare determinate funzioni all’interno di corpi artificiali è stata già dimostrata: sono già stati utilizzate cellule cerebrali viventi per far sì che determinati robot elaborino informazioni e navighino nel loro ambiente sulla base degli stimoli esterni processati da neuroni.
Compiendo un passo ulteriore, un gruppo di ricerca dell’università dell’Illinois Urbana-Champaign ha presentato un affascinante lavoro al congresso dell'American physical society tenutosi questo mese a Las Vegas.
I ricercatori hanno coltivato su piastra circa 80 mila neuroni derivati da cellule staminali di topo riprogrammate. Per paragone, si consideri che il cervello di un moscerino della frutta adulto contiene circa 200 mila neuroni, e un cervello umano oltre 86 miliardi.
La coltivazione su piastra dei neuroni ha consentito di ottenere una rete biologica bidimensionale, che è stata posizionata sotto una fibra ottica e su una griglia di elettrodi; in questo modo, era possibile stimolare con sequenze miste di impulsi luminosi e di segnali elettrici la rete stessa, registrando poi grazie alla griglia di elettrodi i segnali elettrici prodotti dalla rete neuronale in risposta.
Tutto l’apparato è stato posizionato in una scatola delle dimensioni di un palmo, come si nota nella figura che accompagna questo testo, che a sua volta è stata messa in un'incubatrice per mantenere in vita le cellule. I segnali elettrici prodotti dalla rete neuronale erano inviati a un normale chip per computer e forniti in ingresso a una rete neurale, utilizzata per poter riconoscere pattern elettrici specifici prodotti dalla rete biologica.
A questo punto, l’intero apparato era pronto per rispondere a una prima, fondamentale domanda: una volta inviato uno stimolo specifico utilizzando luce ed elettricità alla rete di neuroni biologici, la risposta elettrica sarebbe stata specifica, cioè si sarebbe ottenuta sempre la stessa risposta presentando lo stesso stimolo?
I ricercatori hanno quindi creato 10 sequenze distinte di impulsi elettrici e lampi di luce, riproducendo molte volte ciascuno di essi per un’ora in totale.
Dopo questo “allenamento” di un’ora, si è trovato il primo, importante risultato: i neuroni producevano gli stessi segnali ogni volta che veniva presentato lo stesso schema.
Il chip, che gestiva la rete neurale artificiale, doveva solo imparare a distinguere quei segnali, classificandoli come 10 tipi diversi – ovvero raggruppandoli in base alla loro somiglianza. Spesso le reti neurali artificiali possono richiedere molto tempo e molte iterazioni per l'addestramento, ma la divisione del lavoro tra i neuroni biologici, in grado di generare uno stimolo elettrico preciso in risposta alle condizioni ambientali che “vedevano”, e i neuroni artificiali ha permesso ai ricercatori ridurre di gran lunga il tempo e l’energia richiesti dall’addestramento.
Non solo: al termine dell'ora di allenamento, i ricercatori hanno lasciato riposare i neuroni; quindi, li hanno nuovamente esposti a ciascuna delle 10 sequenze di luce ed elettricità.
Ebbene, la rete biologica ha mantenuto la memoria, riproducendo in uscita gli stessi schemi elettrici prodotti durante l’allenamento e alimentando così la rete neurale artificiale utilizzata per il loro riconoscimento originario. In particolare, per valutare quanto bene ha funzionato il dispositivo, hanno calcolato un punteggio comunemente utilizzato per valutare le capacità di richiamo e classificazione delle intelligenze artificiali, che varia da 0 (peggior caso possibile) a 1 (massima efficienza), ottenendo per il dispositivo ibrido da loro progettato 0,98.
Al momento, il dispositivo non può competere con le reti neurali convenzionali, ma qui vorrei richiamare una serie di punti.
Innanzitutto, il dispositivo consentirà di valutare se la memoria sensoriale dei cervelli biologici è davvero consistente in un cambio architetturale delle connessioni sinaptiche tra i diversi neuroni, studiando questo parametro in risposta alla stimolazione e in connessione con l’aumento delle capacità discriminatorie degli stimoli esterni e la permanenza di questa capacità nel tempo.
In secondo luogo, il sistema è scalabile: molte piastre possono essere fra loro connesse anche biologicamente, lasciando che i neuroni di una coltura contattino quelli di un’altra sottostante, ottenendosi architetture tridimensionali complesse, paragonabili a quelle degli organoidi cerebrali e degli stessi cervelli. Ciò consentirà, molto probabilmente, di raggiungere prestazioni oggi ancora difficili da valutare.
Ancora, abbiamo qui la dimostrazione ulteriore di una via che sta portando verso la creazione di cervelli bio-meccanici i quali, a distanza ed in modo potenzialmente illimitato, possono controllare macchine di ogni tipo, ricevendo stimoli dall’ambiente in cui tali macchine si troveranno a operare e comandando la risposta a questi.
In più, il grande risparmio in termini di dati, di tempo e di energia necessari per addestrare le reti di neuroni rispetto alle attuali intelligenze artificiali, dimostrato anche in questi primi, semplici esperimenti, apre la prospettiva di un balzo in avanti nelle capacità che potremmo chiamare “cognitive” dei sistemi artificiali, se non necessariamente nelle stesse capacità computazionali, fondate su euristiche diverse da quelle sin qui impiegate.
Infine, e questo mi sembra l’elemento più importante di tutti, potremmo essere più vicini ad affrontare sperimentalmente il problema della fonte organico/fisica della mente, con tutte le conseguenze etiche, filosofiche e scientifiche del caso.
La ricerca procede molto veloce, ma la coscienza sociale di quanto si sta facendo e delle sue possibili applicazioni, nel bene e nel male, credo sia ancora troppo poco diffusa; è questo, mi sembra, un esempio della divaricazione fra scienza e partecipazione ai suoi risultati di cui, proprio ieri, discutevo su questa pagina.
Cattivi scienziati