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Cattivi scienziati

I microbi polari che potrebbero salvare il pianete dalla plastica

Enrico Bucci

Gli attuali sistemi di riciclaggio hanno fallito in modo acclarato e secondo un recente studio, il lavaggio estensivo dei rifiuti in plastica, è in realtà responsabile dell’immissione in ambiente di enormi quantità di microplastica. Ma un gruppo di ricercatori svizzeri ha scoperto dei microrganismi in grado di offrire nuove soluzioni

Nonostante milioni di famiglie nel mondo separino coscienziosamente la plastica stoccandola separatamente nei propri rifiuti, gli attuali sistemi di riciclaggio hanno fallito in modo ormai acclarato. Nel mondo, si stima un riciclo pari al 9 per cento del totale; negli USA, questa percentuale è di circa il 5 per cento, ed è in diminuzione, a causa sia del fatto che in precedenza si conteggiava come “riciclata” la plastica inviata in Cina, sia della diminuzione dei costi della plastica vergine ricavata dagli idrocarburi e dell’aumento di produzione.

A peggiorare il quadro si sono aggiunti i dati derivati da uno studio recentissimo: il processo di riciclo, che comporta il lavaggio estensivo dei rifiuti in plastica, è in realtà responsabile dell’immissione in ambiente di enormi quantità di microplastica, che filtra anche attraverso i sistemi di depurazione dell’acqua degli impianti; sebbene sia possibile pensare a dei sistemi di filtraggio in grado di abbattere anche le microplastiche, questo renderebbe ancora più antieconomico il processo, incidendo probabilmente ulteriormente sulla diminuzione della percentuale totale riciclata.

 

Di conseguenza, è necessario trovare nuove strade, per evitare di trasformare il pianeta in una discarica più ancora di quanto non lo abbiamo già fatto.
Una delle più promettenti direzioni della ricerca consiste nel rendere biodegradabile la plastica, non, però, creando plastiche di nuovo tipo, bensì identificando e coltivando microrganismi in grado di degradare le plastiche attuali. Trovare, coltivare e ingegnerizzare organismi in grado di digerire la plastica non solo aiuta a rimuovere l'inquinamento, ma ora è anche un grande affare. Sono già stati trovati diversi microrganismi in grado di farlo, ma quando i loro enzimi che lo rendono possibile vengono applicati su scala industriale, in genere funzionano solo a temperature superiori a 30°C. La necessità di mantenere costante una simile temperatura rende il processo energeticamente e finanziariamente oneroso, ma c’è una possibile soluzione: trovare microbi adattati ad ambienti più freddi, i cui enzimi siano in grado di operare a temperature più basse.

Ora, una squadra di ricercatori svizzeri è riuscita a identificare proprio questo tipo di microbi nelle Alpi e in alcune regioni polari. I ricercatori hanno campionato 19 ceppi di batteri e 15 di funghi che erano cresciuti su plastica libera o sepolta intenzionalmente (mantenuta nel terreno per un anno) in Groenlandia, nelle Svalbard e in Svizzera. Singole cellule microbiche sono quindi state isolate e sono state lasciate crescere come colture pure in laboratorio al buio e a 15°C. Una volta esaminati i genomi dei ceppi cresciuti, si sono identificati ben 13 diversi generi nei phyla Actinobacteria e Proteobacteria e 10 generi di funghi microscopici nei phyla Ascomycota e Mucoromycota.

 

Ciascun tipo di microorganismi è stato quindi testato per la sua capacità di digerire campioni sterili di polietilene non biodegradabile (PE) e poliestere-poliuretano biodegradabile (PUR), nonché due miscele biodegradabili disponibili in commercio di polibutilene adipato tereftalato (PBAT) e acido polilattico (PLA); si tratta di comuni polimeri plastici, presenti in una enorme varietà di oggetti e imballaggi di uso comune.

 

Finora, non è stato identificato nessun ceppo in grado di digerire il polietilene, ma 11 tipi di funghi e 8 di batteri sono stati in grado di digerire il PUR a 15°C, mentre 14 tipi di funghi e 3 di batteri sono stati in grado di degradare le miscele plastiche di PBAT e PLA: le capacità di digestione dipendevano dal terreno di coltura utilizzato, indicando come esse costituissero un adattamento nutrizionale dipendente dalle fonti di energia disponibili per i microbi. In particolare, due specie non ancora caratterizzate appartenenti ai generi fungini Neodevriesia e Lachnellula hanno dimostrato di digerire ogni tipo di plastica testata, eccetto il polietilene.

Questi promettenti risultati iniziali aprono una serie di possibilità future: innanzitutto, si cercherà di identificare gli enzimi microbici responsabili delle attività degradative misurate. Questo consentirà sia l’uso diretto degli stessi, sia soprattutto l’ingegnerizzazione di microbi più maneggevoli e quindi più facilmente industrializzabili.

 

Inoltre, sarà possibile tentare l’ottimizzazione degli enzimi stessi dal punto di vista della temperatura ottimale richiesta per il loro lavoro: oggi, essi sono attivi fra 4 e 20°C, con ottimo a 15°C, ma la loro ingegnerizzazione potrebbe avvicinare la temperatura ottimale a quella ambiente. Al contrario del fallimento economico cui è andata incontro l’attuale strategia di riciclo della plastica, i microorganismi plasticivori e i loro enzimi sembrano promettenti anche per il mercato: vale qui la pena di ricordare alcuni esempi in tal senso.

Ad Aprile 2021, Carbios ha sviluppato un accordo con Michelin per sviluppare copertoni completamente riciclabili, sfruttando enzimi microbici potenzialmente in grado di degradarli completamente. La stessa Carbios, a giugno 2021, a seguito di un accordo precedentemente stretto con L’Oréal, Nestlé, PepsiCo e altre aziende, ha annunciato la produzione delle prime bottiglie di plastica per uso alimentare, interamente biodegradabili dalla propria batteria di enzimi microbici.

Ad Ottobre 2021, i ricercatori del Laboratorio Nazionale per le Energie Rinnovabili degli USA hanno annunciato lo sviluppo di un batterio capace di degradare il polietilene in materiale utile per produrre un tipo di nylon ad alte prestazioni.

A Novembre 2022, SeedLab ha stretto un accordo con MIT, Università di Harvard e altre prestigiose istituzioni, per svolgere esperimenti sui propri microbi in grado di degradare la plastica. Se, alla fine, riusciremo ad avere disponibili su scala industriale dei sistemi per biodegradare la plastica, allora il processo di differenziazione e riciclo potrà diventare efficace ed economico, con il vantaggio che, utilizzando i microbi, non sfuggiranno nemmeno le microplastiche; ma perché questo si realizzi, come sempre, la via maestra è una solida ricerca scientifica, anche nel nostro paese.

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