Uno studio ci dà nuovi indizi sull'origine della vita
La base per l’emersione di sistemi chimici con un metabolismo energetico e con le caratteristiche necessarie ad innescare un’evoluzione darwiniana appare sempre meglio definita, e non è improbabile che questa base sia presto riprodotta in un laboratorio, o trovata in qualche angolo dell’universo
In quanti modi è possibile ottenere il sorgere di replicatori darwiniani del tipo di quelli da cui si è originata la vita? RNA e biomolecole che conosciamo sono le uniche possibilità? No di certo. A ricordarcelo, un nuovo lavoro, in cui si dimostra come molecole a base di carbonio possono spontaneamente dare origine a replicatori con un proprio “metabolismo” energetico, i quali, se acquisiscono per cause ambientali differenze significative fra loro, danno origine ad una gara competitiva per le risorse disponibili, con il risultato finale che porta alla selezione del tipo più efficiente. Il tutto, in un sistema completamente al di fuori di quella che chiamiamo biochimica, in un ambiente in provetta e basandosi sull’impiego di molecole artificiali relativamente semplici.
Intendiamoci bene: evidenze che replicatori darwiniani potessero emergere spontaneamente in soluzione, con una varietà di possibilità, era già stato dimostrato molte volte, per esempio utilizzando ambienti chimici che portavano all’emersione di RNA autoreplicativi e competitivi, in grado di evolvere autonomamente in una popolazione variegata contenente perfino dei parassiti. Il nuovo lavoro, tuttavia, per la prima volta mostra come uno dei motori fondamentali dell’evoluzione darwiniana – la competizione fra popolazioni che competono per le stesse fonti di energia – porta rapidamente alla scomparsa della popolazione meno efficiente, se una delle due ha acquisito un vantaggio competitivo, per oggetti di formazione spontanea della dimensione di oltre 1 micron (cioè più grandi della maggioranza dei virus conosciuti), completamente diversi e molto più semplici di qualunque cosa siamo abituati a pensare viva.
I ricercatori sono partiti da una miscela in soluzione di piccole molecole, le quali, irradiate con luce verde, nelle opportune condizioni danno origine e composti più grandi, ovvero degli specifici polimeri, i quali spontaneamente (come farebbero gli acidi grassi componenti di una membrana biologica) si assemblano in sferette delle dimensioni che si diceva. Queste sferette contengono al loro interno acqua e parte del materiale di partenza, che non ha ancora reagito a dare i composti più grandi. Man mano che la reazione chimica scatenata dalla luce verde procede, le sferette diventano instabili, perché i polimeri di cui sono composte si accrescono ancora in dimensione e perché nuovi polimeri sono formati al loro interno; alla fine, una sferetta “cresciuta troppo” perde una porzione dei suoi polimeri costitutivi, i quali daranno origine ad una nuova sferetta più piccola, la quale, se ve ne sono disponibili, incapsulerà ancora un po’ delle molecole di partenza per continuare il ciclo riproduttivo.
Finché vi è “cibo” disponibile, sotto forma di molecole di partenza ed energia luminosa, la popolazione di sferette cresce; quando esso comincia a scarseggiare, la crescita rallenta sempre più, e la dimensione della popolazione si stabilizza. La curva di crescita della popolazione e la sua dipendenza dal “cibo” riproducono perfettamente quelle che si osservano in popolazioni di batteri o di protozoi, cresciute in presenza di una fonte limitata di energia.
Le cose si fanno interessanti se, nell’ambiente, è presente un “jolly” chimico, ovvero una molecola che, funzionando da catalizzatore, è in grado di accelerare il “metabolismo” delle sferette, aumentando la velocità e l’efficienza con cui il “cibo” può essere trasformato in polimeri costitutivi delle sferette. Prevedibilmente, le sferette che incorporano questo catalizzatore, messe in presenza delle altre senza di esso, aumentano di numero ad un tasso molto maggiore, sia consumando più velocemente il “cibo” disponibile, sia, in conseguenza di ciò, dividendosi più velocemente. Anche in questo caso, l’andamento delle curve di crescita delle due popolazioni in competizione è sovrapponibile a quanto osservato in esperimenti con organismi viventi molto simili fra loro, come due specie di protozoi, quando una delle due ha qualche chiaro vantaggio competitivo nello sfruttare le risorse disponibili.
L’insieme di questi risultati possono sembrare il gioco di un chimico, ma bisogna considerare alcune cose.
Primo: la chimica coinvolta nell’esperimento è davvero molto semplice e basica, di un tipo che non è impossibile immaginare sia in molti posti dell’universo. La biochimica complessa, per osservare questa sorta di protovita autoreplicante e dotata di un metabolismo energetico, non è necessaria.
Secondo: invece che per replicazione con errori trasmissibili, i tratti adattativi possono essere acquisiti da replicatori chimici almeno inizialmente direttamente dall’ambiente. Se questo, come in molti punti dell’universo, è sufficientemente complesso da un punto di vista chimico, la possibilità che dei replicatori siano più adatti di altri, dopo arruolamento di cofattori dall’esterno, è ben individuabile.
Terzo: il tratto darwiniano di cui al punto precedente, ovvero la replicazione con errore trasmissibile, ha una proprietà ben identificabile alla sua base: un meccanismo che si basa su una sorta di “stampo molecolare” per generare una copia dello stampo stesso, meccanismo soggetto a qualche tasso di errore controllato per pure ragioni termodinamiche e trasmissibile attraverso la generazione di “stampi” alterati. Ebbene, anche questa caratteristica non è una prerogativa delle molecole complesse che formano la vita sulla Terra, potendosi osservare in composti diversissimi e anche questi molto più semplici.
Alla luce di questi dati, e considerando la grande disponibilità di tutto ciò che serve (condizioni esterne incluse) in ogni angolo del cosmo, la base per l’emersione di sistemi chimici con un metabolismo energetico e con le caratteristiche necessarie ad innescare un’evoluzione darwiniana appare sempre meglio definita, e non è improbabile che questa base sia presto riprodotta in un laboratorio, o trovata in qualche angolo dell’universo che stiamo scandagliando proprio per questo.
Cattivi scienziati