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cattivi scienziati

Con le piogge tornano i parassiti. Ma l'odio per gli Ogm blocca le possibili soluzioni

Enrico Bucci

La demonizzazione delle biotecnologie ha reso impossibile fare ciò che avrebbe diminuito l’inquinamento, aumentato le rese e facilitato il lavoro degli agricoltori. Così non resta che l'uso di fitofarmaci che avremmo invece potuto ridurre o eliminare

Dopo due stagioni primaverili siccitose, nel nostro paese il 2023 è stato invece caratterizzato da una notevole quantità di precipitazioni. Questo, naturalmente, non poteva mancare di causare inconvenienti alla nostra agricoltura: non tanto, o non solo, per l’eccessiva quantità di acqua in certe zone inondate, ma soprattutto perché parassiti di cui nel biennio precedente ci eravamo dimenticati, con l’aumentato tasso di umidità sono tornati alla ribalta.

 

È il caso dei diversi parassiti che causano i vari tipi di peronospora, e particolarmente la peronospora della vite, la quale, introdotta nella seconda metà del secolo XIX dall’America, provoca sia la comparsa della classica “muffa” pulverulenta sulla faccia inferiore delle foglie sia, soprattutto, gravi danni ai grappoli, specie quando gli acini sono attaccati dalla cosiddetta forma “larvata”, senza manifestazioni esterne, ma con la completa distruzione del tessuto interno.

  

Attilio Scienza, professore Viticoltura ed Enologia dell'Università di Milano, e Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi, sono stati chiari: rischiamo gravi danni alla produzione di quest’anno, con perdite che potrebbero arrivare anche oltre un terzo del raccolto in Puglia, Abruzzo e Basilicata, ma con danni diffusi anche in Lazio, Umbria, Sicilia, Veneto e Lombardia, particolarmente nel caso dei vigneti cosiddetti biologici, dato che i trattamenti ammessi dal disciplinare sono molto meno efficaci rispetto a quelli convenzionali. “È necessario intervenire con prodotti fitosanitari”, dichiara il prof. Scienza; e a lui fa eco Cotarella, che ha a sua volta dichiarato: “Le malattie non sono scomparse ma soprattutto ancora non ci sono valide alternative ai prodotti chimici.” 

 

E perché, come mai non ci sono alternative valide? Possibile che la ricerca non sia riuscita ad offrire nuovi mezzi di contenimento, e che, a fronte del fallimento del biologico in tempi di parassitosi e fitopatie, si debba necessariamente ricorrere ad agenti di sintesi di varia natura?

   

Prima di rispondere a questa domanda, vorrei citare un esempio, giusto per dimostrare un punto importante: la ricerca le soluzioni le ha individuate eccome, ed il problema non sta nella comunità scientifica. Meno di un mese fa, è stato pubblicato un lavoro che riguarda una pianta coltivata importante, non certo come la vite, ma con una sua nicchia specifica nel mercato alimentare: il basilico. Un ampio gruppo di ricercatori italiani, utilizzando CRISPR/Cas9, hanno editato il genoma di questa pianta per ottenere attraverso la modifica selettiva di un singolo gene la sua resistenza proprio nei confronti della peronospora. Per farlo, hanno inserito le “fornici molecolari” opportune nella pianta attraverso infezione con una vecchia conoscenza, il batterio Agrobacterium tumefaciens, usato da molto tempo e ben prima delle tecnologie moderne per ottenere piante geneticamente modificate. La resa è stata alta, perché quasi l’85 per cento delle piantine è risultato modificato, e le modifiche sono risultate trasmissibili alla progenie.

 

Uno specifico ceppo tra quelli ottenuti è risultato resistente all’infezione di un classico agente della peronospora (il protista Peronospora belbahrii), mostrando così la riuscita della strategia di modifica genomica attuata; non tutte le piante trasformate sono risultate ugualmente resistenti, a causa del fatto che la suscettibilità di partenza delle piantine utilizzate è probabilmente diversa e (forse) anche a causa di errori di editing dovuti al metodo utilizzato.

   

Inoltre, il profilo aromatico – ovvero la caratteristica organolettica più importante del basilico - è stato esaminato per tutte le piantine modificate geneticamente, ed è risultato indipendente dalla procedura sperimentale attuata, e legato invece alla variabilità intrinseca dei semi utilizzati dai ricercatori. In futuro, essi concludono, la progenie derivata da queste piante dovrà essere testata in prove in campo per valutarne il potenziale rispetto alle cultivar attuali, per poi creare nuove linee di basilico dolce resistente alla peronospora.

  

Ecco quindi dimostrato come la comunità scientifica, e particolarmente quella italiana, di fronte ad una fitopatia sia perfettamente in grado di dare risposte definitive che non si fondano sull’impiego massivo e periodico di agenti chimici; ma la demonizzazione delle biotecnologie vegetali in Italia, al grido di “no Ogm”, ha reso sin qui impossibile fare ciò che avrebbe diminuito l’inquinamento ambientale, aumentato le rese e reso più facile il lavoro degli agricoltori per quello che riguarda molteplici colture.

 

Adesso, dietro lo schermo linguistico dei Tea, le piante geneticamente modificate potranno essere sperimentate in campo, ma solo fino al 31 dicembre 2024, scadenza impossibile per ottenere informazioni utili nella maggior parte dei casi ove non sia già disponibile qualcosa da piantare (e speriamo che con il basilico ci si riesca). Non a caso, a proposito della peronospora, sempre Cotarella ha dichiarato anche: “Occorre accelerare sulla ricerca di varietà resistenti e lavorare con il genome editing per crearne di nuove e più performanti. Ma questo richiede tempo. Non è fissando una scadenza ravvicinata che si troveranno soluzioni”. Già, occorre tempo per la ricerca: quel tempo che sinora è stato negato, e che sempre di più, con il peggiorare delle condizioni del nostro pianeta, diventa breve, perché si possano trovare quelle soluzioni che per tanto tempo si è voluto demonizzare.