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CATTIVI SCIENZIATI

I risultati promettenti dei "vaccini inversi" per curare le malattie autoimmuni

Enrico Bucci

Parlare con il nostro sistema immunitario nel linguaggio delle molecole per spegnerne l'azione contro un certo antigene di interesse: una ricerca dimostra che è possibile, aprendo a nuovi approcci per la cura della sclerosi o dell'artrite reumatoide

I vaccini funzionano sfruttando un’idea di base ormai ben chiara: l’esposizione del nostro sistema immunitario a un antigene, proveniente dal patogeno o dal tumore che si intende combattere, in modo che le varie componenti cellulari in grado di riconoscerlo ricevano un segnale specifico, differenziandosi e generando una popolazione specializzata di diversi effettori e di cellule di memoria in grado di eliminare efficientemente il bersaglio cui appartiene l’antigene.

Questo è quanto, con una metafora efficace, intendiamo per “addestrare” il nostro sistema immunitario a riconoscere uno specifico agente patogenetico (tumorale o infettivo).

Ma è possibile compiere l’operazione inversa? È possibile, cioè, bloccare una risposta immunitaria specifica, inviando al sistema immunitario un “messaggio molecolare” specifico che spenga quella risposta in maniera selettiva, lasciando intatta ed efficiente qualunque altra risposta immunitaria?

Non si tratta di una domanda peregrina, figlia di qualche sia pur interessante considerazione di ricerca di base: le malattie autoimmuni sono precisamente risposte immunitarie montate contro componenti del nostro organismo che dovrebbero essere invisibili al sistema immunitario, e che invece sono attaccate e danneggiate in maniera spesso irreversibile, con effetti devastanti. Allo stesso modo, nel caso di trapianti il rigetto è sempre dietro l’angolo, ove il sistema immune riesca a riconoscere qualche componente non-self e a montare la risposta distruttiva di cui è capace. In entrambi i casi, oggi si procede con immunosoppressori efficaci, ma non specifici: si abbatte cioè in generale la capacità immunitaria di un individuo, per mitigare gli effetti di una risposta non voluta e pericolosa.

Se, invece, si trovasse il modo di disattivare la risposta immunitaria contro uno o pochi antigeni di interesse, gli effetti collaterali dell’immunosoppressione sarebbero nulli o limitatissimi, esattamente come nel caso in cui si induce una risposta specifica contro un antigene specifico utilizzando un vaccino. Avremmo bisogno di un “vaccino inverso”, ovvero di un qualche sistema che spenga, anziché accendere, l’azione del sistema immunitario specificamente contro un certo antigene di interesse.

Sembrerebbe fantascienza, e di fatto lo è stata fino a poco tempo fa: oggi, però, possiamo commentare i primi risultati di una ricerca che, seppure non ancora in fase clinica, dimostra la fattibilità di un approccio fondato su un prodotto che potremmo appunto chiamare un “vaccino inverso”.

Il sistema descritto si fonda su un meccanismo precedentemente elucidato, uno di quelli in grado di garantire che le reazioni immunitarie non si verifichino in risposta al rilascio del contenuto interno delle cellule che, a milioni, ogni giorno muoiono o sono danneggiate nel nostro corpo, fenomeno noto come tolleranza immunitaria periferica e portato avanti nel fegato. Negli ultimi anni, si è scoperto che etichettare un antigene qualunque con uno zucchero noto come N-acetilgalattosamina (pGal) potrebbe imitare questo processo, inviando tale antigene al fegato, ove poi si sviluppa una corrispondente tolleranza immunitaria.

Nel nuovo studio, i ricercatori si sono concentrati su una malattia inducibile nei topi e simile alla sclerosi multipla, in cui il sistema immunitario attacca la mielina, provocando debolezza e intorpidimento, perdita della vista e, infine, problemi di mobilità e paralisi. Il gruppo di ricerca coinvolto ha agganciato zuccheri di tipo pGal alla mielina e ha testato l’effetto del composto su topi in cui era in corso una reazione autoimmune contro la stessa mielina. I ricercatori hanno scoperto così che il sistema immunitario dei topi ha smesso di attaccare la mielina, consentendo ai nervi di funzionare nuovamente e abolendo i sintomi della malattia negli animali.

In una serie di altri esperimenti, gli scienziati hanno dimostrato che lo stesso approccio ha funzionato per ridurre al minimo altre reazioni immunitarie in corso, così che l’approccio dei “vaccini inversi” può essere considerato generale e promettente per un’ampia varietà di condizioni autoimmuni oltre alla sclerosi multipla, come il diabete autoimmune, l’artrite reumatoide o il morbo di Crohn.

Ovviamente, per sapere se questo approccio sia utile in esseri umani è necessario ancora molto lavoro; tuttavia, i primi studi di sicurezza di fase I sono già stati condotti su persone affette da celiachia e sono in corso studi di fase I nella sclerosi multipla.

Non manca molto: presto sapremo se, oltre che essere capaci di comunicare al sistema immunitario di prepararsi a reagire prontamente contro un antigene specifico collegato alla presenza di un patogeno o di un tumore con l’uso dei vaccini, possiamo anche inviare l’ordine specifico di spegnere selettivamente un reazione erronea o non voluta che ci sta danneggiando, usando i “vaccini inversi”.

Parlare con il nostro corpo, e nello specifico con il sistema immunitario, nel linguaggio delle molecole: questo è quanto la moderna biologia ci consente ogni giorno di più di fare.

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