cattivi scienziati
Le disparità di genere nel trattamento della salute. Un'indagine
Per le donne è più difficile essere curate. Una dinamica che deriva da un forte sbilanciamento dei sessi, a favore degli uomini, in fase di ricerca preclinica, per quello che riguarda la costruzione della conoscenza medica e l’identificazione di terapie, metodi di diagnosi e profilassi efficaci
Qualche giorno fa, ho scritto un articolo per presentare i risultati di una poderosa analisi condotta da The Lancet, che ha mostrato come, in ambito oncologico, le disparità di genere causano 800.000 morti stimate in eccesso ogni anno fra le donne.
Ora, molti lettori di entrambi i sessi mi hanno chiesto di fornire ulteriori dettagli, per cercare di capire come sia possibile arrivare a un simile dato, e come, più in generale, possa verificarsi una situazione di forte svantaggio per le donne per quello che riguarda la loro salute. L’argomento è molto vasto, per cui ho deciso di svilupparlo lungo qualche giorno dedicando a temi specifici più di un articolo.
Comincerò oggi con l’esaminare qualche dato in un’area che potrebbe apparire al lettore sorprendente, dovendosi discutere di salute delle donne: l’effetto che una profonda distorsione nel bilanciamento dei sessi ha in fase di ricerca preclinica, per quello che riguarda la costruzione stessa della conoscenza medica e l’identificazione di terapie, metodi di diagnosi e profilassi efficaci.
Nell’ambito della ricerca preclinica è presente una persistente discriminazione sessuale: la ricerca, infatti, utilizza principalmente animali maschi. Analizzando 10 diversi settori di ricerca biologica, è stato dimostrato che 8 su 10 avevano prevalenza di utilizzo di animali maschi durante gli esperimenti; in aggiunta, gli studi su gruppi di animali esclusivamente maschili superavano quelli su gruppi di femmine in un rapporto di 5,5 a 1, e in sei campi, l'80 per cento degli studi erano condotti esclusivamente su roditori maschi.
Persino nei lavori dedicati allo studio di meccanismi, diagnosi e terapie di disturbi che tipicamente affliggono le donne, si è riscontrato solo nel 12 per cento dei casi l’impiego esclusivo di animali di sesso femminile o di entrambi i sessi, e questo sia negli studi di base, che nella ricerca cosiddetta traslazionale, cioè orientata allo sviluppo clinico.
I pregiudizi sessuali non si limitano solo agli studi in vivo. Per gli studi in vitro, la rilevanza del sesso è stata tradizionalmente sottovalutata; nella maggior parte degli studi che coinvolgono cellule derivate direttamente da animali o umani, non si specifica il sesso, e così è per la stragrande maggioranza delle cellule in commercio, ma quando questo è riportato, nel 71 per cento dei casi si tratta di cellule di esclusiva derivazione maschile.
Ora, è certo che il più importante fattore epigenetico, in grado di influenzare l’intero funzionamento del macchinario molecolare di cui consistiamo, a partire da una cellula via via fino all’intero organismo, è il sesso biologico: molto semplicemente, esso determina un ambiente diverso in cui si svolge l’intero funzionamento biochimico che ci tiene in vita, e questo ambiente influenza moltissime caratteristiche della nostra fisiologia.
Per esempio, il metabolismo basale del nostro corpo risente del sesso biologico, perché questo influenza il modo in cui funzionano i mitocondri i muscoli dei mammiferi. Ancora, la nostra risposta immune è pesantemente modulata dal sesso.
Anche la risposta alle malattie è diversa fra i sessi, come ci ha insegnato anche SARS-Cov-2 recentemente, ma come era noto da tempo per le malattie infettive, autoimmuni, neurologiche, cardiovascolari, e insomma quasi in ogni condizione in cui lo studio è stato approfondito. Il sesso biologico regola la percezione dolorosa, così come la costruzione e il rimodellamento di moltissimi tessuti.
Per quel che riguarda poi specificamente la ricerca preclinica volta alla scoperta di nuovi farmaci, il sesso biologico influenza profondamente efficacia, tossicità, farmacodinamica e farmacocinetica di goni molecola, sia attraverso la modulazione dell’attività mitocondriale di processamento dei farmaci, sia attraverso una miriade di fenomeni di trasporto, distribuzione e attività molecolari che determinano il destino di ogni nuova molecola introdotta nel nostro corpo.
Ora, mentre è almeno dagli anni ’60 del secolo scorso che, in fase clinica, i soggetti sperimentali sono stratificati per il loro sesso biologico, così da osservare separatamente gli effetti di un trattamento nelle due diverse condizioni corrispondenti, nella ricerca preclinica, come abbiamo visto, non è così.
Quali sono le ragioni del fenomeno illustrato?
Le femmine sono state a lungo escluse dagli studi animali a causa di idee sbagliate sul loro estro, che si riteneva aumentasse la variabilità sperimentale, così da accrescere il numero di animali necessari per raggiungere la significatività statistica e perché includerle comporta la necessità di più animali da ricerca. Tuttavia, l’estro non è tipicamente una variabile che contribuisce in modo significativo alla variabilità sperimentale. Molto spesso, inoltre, si parte per una nuova ricerca a partire dal riprodurre risultati precedenti: proprio la variabilità fra i sessi spinge i ricercatori a ripetere la scelta iniziale, perpetuando così e aumentando il bias di selezione nei confronti di animali maschi.
Ancora, va considerato il costo differente degli animali: provando a controllare sul sito di un noto fornitore, per esempio, uno dei più usati ceppi di topi da laboratorio vede il costo di un maschio a 32,02 dollari, e quello di una femmina a 37,31, anche a causa del loro valore intrinseco più alto come riproduttrici.
Quali sono le conseguenze di questa disparità di genere negli studi preclinici? Poiché l’assunzione di omogeneità nel funzionamento di un trattamento o di un qualunque fenomeno biologico fra i due sessi è evidentemente di solito falsa nei modelli animali e anche nelle linee cellulari utilizzate, ne risulta che la filiera di identificazione e scoperta di nuovi meccanismi, nuove terapie e nuovi agenti diagnostici è pre-ottimizzata per ottenere un buon funzionamento sugli uomini, a scapito delle donne, il che crea un fattore strutturale di discriminazione che non può essere bilanciato dai successivi studi clinici – perché in quelli entrano solo i candidati che hanno superato la fase preclinica.
E così, il dosaggio di antidepressivi per uomini e donne tiene al più conto della differenza di massa corporea, nonostante sia evidente che essi potrebbero aver influenza diversa a seconda del sesso biologico. Certi antidolorifici sono risultati meno efficaci nelle donne, ma continuano ad essere prescritti senza tener conto di questa differenza perché bisognerebbe ripetere daccapo gli studi, stratificando i dati più accuratamente per ottimizzare il dosaggio. Clamorosamente, inoltre, le donne hanno maggiori probabilità di morire di attacchi di cuore, anche se hanno meno probabilità di averli: i sintomi differiscono tra i sessi e quindi sia le donne che i loro medici ritardano la diagnosi. Gli anestetici in chirurgia, i trattamenti per l'Alzheimer e moltissimi altri esempi hanno ormai reso palmare un dato fondamentale: sappiamo troppo poco del corpo e della fisiologia femminile, dalla cellula in su, perché, nella falsa assunzione di una sostanziale equivalenza, abbiamo studiato soprattutto corpi maschili.
In medicina, la disparità sfavorevole alle donne inizia dalla conoscenza di base e dalla ricerca terapeutica; vedremo più avanti che non si ferma certo qui.
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