cattivi scienziati
Così muore una cura. La triste fine del caso Holostem
La vicenda del polo di ricerca e cura delle malattie rare, nonostante tutte le promesse, sembra essere arrivata al suo epilogo. Ricerca, salute dei pazienti, sviluppo, posti di lavoro e persino una dote di 17 milioni messa dai soci: a quanto pare, non fanno parte del made in Italy
Un girotondo di parole.
Visto da lontano, potrebbe anche assomigliare ad una commedia di costume, di quelle che mostrano come le umane vicende ed il bene comune finiscano stritolati da burocrazia e mediocrità politica; ma il problema è che al centro di quel girotondo vi è la vita di adulti e bambini malati, il lavoro di ricercatori italiani, la fine di una terapia avanzatissima ideata e sviluppata interamente in Italia e di un’altra già approvata in grado di ridare la vista a chi è cieco, l’abbandono di una punta della nostra ricerca in nome della chiacchiera vacua.
Non vi è altro modo con cui sia possibile definire l’inutile teatrino che il nostro paese, e specificamente la sua dirigenza politica e la sua amministrazione, hanno messo in piedi per il caso Holostem.
Per chi non ricorda la storia, di cui cominciai a scrivere un anno fa esortando insieme a molti altri a fermare il solito, italico spreco del meglio che abbiamo, userò una sola frase riassuntiva: la Holostem era un’azienda nata dalla collaborazione fra l’Università di Modena e Reggio Emilia e la Chiesi farmaceutici, che ha sviluppato la prima e unica terapia genica cellulare per una condizione rara, l’epidermolisi bollosa, terapia in grado di salvare i bambini dalla letterale perdita della pelle, e che allo stesso tempo aveva un secondo prodotto avanzatissimo, Holoclar, in grado di ridare la vista a pazienti i cui occhi erano compromessi da particolari condizioni patologiche.
Nel 2022, fu annunciata dai soci la possibile liquidazione della società, perché non più sostenibile finanziariamente; subito, tuttavia, proprio in riconoscimento dell’elevato valore per il paese di Holostem e del Centro di Medicina Rigenerativa ove opera, l’opinione pubblica prima e la politica poi si mobilitarono. Il sindaco di Modena, per esempio, scrisse al ministro Schillaci a novembre; subito dopo, fu la volta di due parlamentari del Pd, Guerra e Vaccari, che rivolsero un’interrogazione allo stesso ministro per sapere quali misure si intendesse “adottare al fine di favorire la praticabilità di soluzioni alternative, da parte della sanità pubblica per garantire la continuità della ricerca”.
Non constano a chi scrive risposte del ministro per la Salute Orazio Schillaci; tuttavia, a dicembre 2022, un comunicato stampa della fondazione Enea Tech Biomedical, controllata dal ministero delle Imprese e del Made in Italy retto da Adolfo Urso, annunciava l’avvio di colloqui per intervenire, come è giusto che avvenga quando vi è un forte interesse pubblico come nel caso descritto, mentre Stefano Bonaccini, presidente della regione interessata, dichiarava di essere già al lavoro con il governo e con il ministro Schillaci.
Intanto, però, oltre a questi vaghi comunicati, nulla trapela in pubblico; il futuro è incerto e i ricercatori della Holostem e del Centro di Medicina Rigenerativa, come vedremo, cominciano a cercare lavoro altrove, dissipandosi così il patrimonio di conoscenza accumulato dal nostro paese in un settore d’avanguardia.
Forse anche per questo, arriva a gennaio 2023 una seconda interrogazione parlamentare a Schillaci, questa volta dalla stessa maggioranza che lo ha nominato, e precisamente dalle deputate Nisini e Cavandoli, le quali chiedono di conoscere “dettagli e aggiornamenti in merito alla trattativa di cui in premessa” e “di sostenere e adottare ogni iniziativa utile al fine di assicurare l’integrale continuità delle attività di ricerca e di assistenza condotte presso il centro di medicina rigenerativa 'Stefano Ferrari' dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia”.
A quanto pare, e giustamente, il consenso parlamentare è bipartisan, visto che le parole usate sono quasi uguali a quelle dell’interrogazione parlamentare depositata un mese prima da parte del Pd.
Anche questa volta, non mi sono note risposte del ministro Orazio Schillaci, che tace come nel primo caso; intanto passa un anno senza che siano presentate in pubblico soluzioni, aggravando così l’incertezza per ricercatori e lavoratori, i quali sempre più sono spinti a cercare altrove il proprio futuro, e per i pazienti e i loro medici, che invece futuro non hanno, se non nel caso in cui le attività di Holostem possano riprendere.
E adesso, dopo un anno, scopriamo la verità, grazie a l’Espresso.
Nonostante le condizioni favorevolissime per l’intervento di Enea Tech e Biomedical, visto che i soci di Holostem hanno messa in vendita la società a un euro e hanno garantito una dote di 17 milioni, il ministero di Urso ha bloccato l’operazione, ufficialmente secondo l’Espresso perché si teme la violazione della normativa sugli aiuti, in realtà, a quanto pare, per una sorta di lotta tutta interna fra la Fondazione e il Ministero che la controlla, lotta che ha già prodotto molti danni ben prima del caso che qui discutiamo.
Evidentemente, per il ministero di Urso il Made in Italy è fatto solo di prosciutti, vini e parmigiano, mentre il prodotto della nostra ricerca più avanzata non vale certo l’impegno di fondi che dovrebbero essere proprio dedicati ad operazioni dall’alta valenza scientifica e di sviluppo come quella in questione, nonostante 17 milioni privati in dote.
Allo stesso modo, per il ministero di Schillaci la salute di pazienti con condizioni rare e gli occhi di chi non vede sono fuori dai radar, vista la mancanza di interesse e il silenzio con cui è stata ammantata la vicenda, perché, ammesso che si sia data risposta ad un sindaco e a quattro parlamentari di maggioranza e opposizione, non risulta nessuna azione o dichiarazione in merito ad un caso che dovrebbe essere al centro dell’attenzione.
Holostem, salvo sorprese dell’ultimo secondo, entrerà quindi in liquidazione; i ricercatori e i dipendenti superstiti saranno licenziati, il centro di medicina rigenerativa sarà strozzato, i “bambini farfalla” non saranno curati e molti pazienti in tutta Europa saranno lasciati senza rimedio al buio. Il primo prodotto con autorizzazione provvisoria per una terapia cellulare, sviluppato in Italia, sarà abbandonato, e con esso anche il frutto della ricerca nel trapianto di pelle con cellule modificate.
Perché è questo il vero “Made in Italy”: girotondi di parole di una politica miope e mediocre, fortificata da una burocrazia sterile con cui è in simbiosi, capace al massimo di proibire la ricerca e di impedire il futuro, persino quando qualcosa utile a tutti è stato creato mettendo insieme ai fondi pubblici molti soldi privati.
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