Cattivi scienziati
Pronostici sfatati: i ponti tra scienze e discipline umanistiche stanno crescendo
La predizione pessimistica di mezzo secolo fa sulla separazione sempre maggiore fra "le due culture" è stata per molto tempo data per scontata. Ma come stanno andando davvero le cose?
In una sua famosa lezione tenuta nell’aula del Senato di Cambridge, il 7 maggio del 1959, Charles Percy Snow, chimico fisico e novellista inglese, descrisse nel seguente modo quello che vedeva come un baratro sempre più ampio fra quelle che sarebbero da quel momento state chiamate 'le due culture'. "Molte volte sono stato presente a riunioni di persone che, secondo gli standard della cultura tradizionale, sono considerate altamente istruite e che con notevole entusiasmo manifestavano la loro incredulità per l'analfabetismo degli scienziati. Una o due volte sono stato provocato e ho quindi chiesto al gruppo quanti di loro potessero descrivere la Seconda Legge della Termodinamica. Ho ricevuto una risposta fredda e negativa. Eppure, stavo chiedendo qualcosa che è l'equivalente scientifico di: 'Hai letto un'opera di Shakespeare?' Ora credo che se avessi fatto una domanda ancora più semplice, come ad esempio: "Cosa intendi per massa o accelerazione, che è l'equivalente scientifico di dire: 'Sai leggere?' non più di uno su dieci di quelli più istruiti avrebbe percepito che stavo parlando la stessa loro lingua. Quindi mentre il grande edificio della fisica moderna cresce, la maggior parte delle persone più dotate nel mondo occidentale ha approssimativamente la stessa comprensione di esso che avrebbero avuto i loro antenati neolitici.”
Questa amara constatazione portava Snow a concludere che uno dei mali dei tempi moderni fosse la perdita di unità del sapere umano, frammentato in due incompatibili culture sempre più lontane fra loro, con il risultato che da un lato gli scienziati sarebbero diventati sempre più scarsi in materie quali la storia, l’etica, la filosofia o la semplice consapevolezza della bellezza di opere artistiche e letterarie, e dall’altro gli umanisti sarebbero stati confinati in una bolla da trogloditi tecnologici, ovvero utenti di sofisticate apparecchiature, incapaci tuttavia di avvicinarsi anche solo ai rudimenti che sono la base della comprensione del mondo fisico. Nel mezzo secolo trascorso dalla previsione pessimistica di Snow di un allargamento del divario tra le scienze naturali e le discipline umanistiche, in realtà, le interdipendenze tra le scienze naturali e le discipline umanistiche stanno crescendo rapidamente.
Gli archeologi, per esempio, oggi dipendano più dalla chimica e dalla fisica di quanto facessero i biologi duecento anni fa, grazie allo sviluppo sia dei metodi di datazione assoluta, che di una miriade di tecniche di analisi chimica in grado non solo di dare risposte a domande prima impossibili, ma anche e soprattutto di creare nuovi problemi, cioè di far sorgere nuove domande e nuove concezioni nello studio dei resti del passato umano. Metodi e concetti derivati dagli studi dell'evoluzione biologica sono stati recentemente applicati con successo per fare luce sullo sviluppo delle società umane e persino sullo sviluppo delle lingue decine di migliaia di anni prima della nascita della scrittura. In filologia, le relazioni fra testi sono ormai correntemente studiate utilizzando gli algoritmi che i biologi hanno sviluppato per ricostruire gli alberi filogenetici a partire dal DNA degli organismi viventi.
E ancora: consideriamo il programma degli storici della cosiddetta scuola degli Annales francese, che tanta influenza hanno avuto nel ridefinire l’intera disciplina. Ricordiamo in particolare un illustre esponente e divulgatore della seconda generazione di questi storici, Jacques Le Goff, quando scriveva per riassumere tale programma che “all’idea della storia come storia dell’uomo si è sostituita l’dea della storia come storia degli uomini in società”, con ciò sottolineando l’importanza delle masse e delle loro vicende quotidiane e complessive, più che dei singoli “eroi”, nel determinare i fatti storici. Ebbene, come dimostra per esempio la recentissima ricostruzione della biografia di circa 400 abitanti della Cambridge medioevale a partire dalle analisi condotte sulle loro ossa, questo programma oggi è perseguibile ad una scala mai prima possibile grazie all’interazione stretta fra discipline scientifiche e storiche, che consente ancora una volta di creare sia modi nuovi per rispondere a vecchie domande che di formulare domande del tutto nuove, impossibili al di fuori di una sinergia stretta fra materie tradizionalmente separate.Vi sono anche casi in cui sono le cosiddette “scienze umane” ad aver fornito nuovi strumenti alle discipline scientifiche propriamente dette: a titolo di esempio, vorrei qui ricordare i contributi che i metodi storiografici hanno portato nella scienza dell’informazione. I biologi, inoltre, stanno sempre più scoprendo applicazioni interessanti delle leggi della linguistica, cioè dei pattern statistici conservati nei linguaggi umani, nello studio dei genomi, del comportamento animale e dell’ecologia di popolazione.
Gli esempi che ho fatto mi servono a sostenere un punto presso il lettore: i ponti fra discipline un tempo considerate di pertinenza esclusiva degli umanisti o dagli scienziati si stanno infittendo sempre più, e questi ponti non consistono solo nel trasferimento di tecnologie e metodi da una materia all’altra, ma anche in qualche caso di paradigmi fondativi e interpretativi ampi, che, nel loro nuovo contesto, contribuiscono a ridefinire e ampliare gli orizzonti di intere discipline. Non solo: siccome internet mette a disposizione dati e metodi di ogni disciplina a qualunque specialista di qualunque settore, le possibilità di interscambio fra individui che hanno dedicato la loro vita a specifici settori di studio non sono mai state così ampie e così alla portata, agevolando quegli scambi fruttuosi che un tempo potevano avvenire solo in strutture dedicate ad ospitare sotto uno stesso tetto studiosi di estrazione diversa (come, per esempio, è stato ed è il MIT). Contrariamente alla previsione pessimista di Snow, non il baratro, ma i ponti su quello sono aumentati, e sempre più persone sono in grado di attraversare quei ponti, esplorando materie e competenze distanti con i propri metodi ed i propri dati.
Così, il programma del riduzionismo scientifico – il quale, contrariamente a quanto di solito interpretano i suoi detrattori, non implica il diminuire, ma, come da etimologia, il re-dùcere, cioè il ricondurre una disciplina ad un’altra trovando un comune linguaggio e rompendo i compartimenti stagni – proprio quello che duecento anni fa ha ricondotto chimica e fisica ad un singolo corpus scientifico, per poi proseguire con la biologia e la medicina nel secolo scorso, oggi vede infrangere le barriere fra scienza e umanesimo, contaminando metodi e soprattutto linguaggi in una maniera che si può prevedere sarà sempre più fruttuosa e sempre più unificante per l’intero sapere. Per la prima volta, quella “maggior parte delle persone più dotate nel mondo occidentale” che per dirla con Snow “ha approssimativamente la stessa comprensione di esso che avrebbero avuto i loro antenati neolitici” oggi vede le sue avanguardie passare la barriera; allo stesso tempo, la crassa ignoranza di troppi fra biologi, chimici e ricercatori di ogni disciplina in tema di cultura umanistica comincia a lasciare il posto all’interesse per metodi e fatti che possono trovare ampia applicazione nelle proprie discipline, così che almeno i più avvertiti fra gli scienziati iniziano a riscoprire il valore dell’altra metà della cultura. Non sono in grado di sapere se le numerose crisi concorrenti che il nostro mondo contemporaneo sta attraversando consentiranno la fioritura di un nuovo umanesimo, proseguendo il processo di riunificazione in atto che ho cercato di delineare; invito però i miei lettori, tutti, ad alzare lo sguardo e ad ammirare il panorama d’insieme che si sta delineando, accessibile con una semplice connessione internet e con un po’ di curiosità e tempo da spendere, prima che sia troppo tardi per poterlo apprezzare.
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