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Cattivi scienziati

Le piante hanno evoluto terapie a Rna

Enrico Bucci

Rna messaggeri incapsulati in liposomi e usati come antibiotici per proteggersi dai funghi: questo è stato appena scoperto e descritto in un recente lavoro, che mostra come, a fianco dei prodotti dell’ingegno umano, esiste in realtà un vasto mondo di analoghi prodotti naturali, dai quali potremo imparare per espandere ancora questa promettente tecnologia

Gli anni della pandemia sono stati quelli che hanno visto emergere come matura la medicina basata sull’impiego di RNA. Partendo dai vaccini contro SARS-CoV-2, nuovi farmaci e altri vaccini sono rapidamente entrati nelle fasi finali della ricerca e dello sviluppo, ed è prevedibile che nel prossimo quinquennio molti prodotti per diverse condizioni di salute cominceranno a essere utilizzati un po’ ovunque. Tuttavia, l’essere umano non è certo il primo a utilizzare prodotti basati su RNA, e precisamente su RNA messaggero, per difendersi dai parassiti. Come molto spesso accade, l’evoluzione naturale ha già perfezionato, nei miliardi di anni in cui è avvenuta, questo sistema, per cui vi sono organismi viventi moderni che utilizzano tale “approccio terapeutico” per tenere a bada i propri parassiti.

Un esempio appena descritto in un articolo scientifico aiuterà i lettori a comprendere cosa intendo. Botrytis cinerea e molte specie affini di muffe sono parassiti di diverse piante, di cui attaccano soprattutto la frutta – come possiamo osservare nei nostri frigoriferi, se lasciamo frutta fresca per un periodo troppo lungo. Un nuovo articolo sulla rivista Cell Host & Microbe descrive come, per difendersi da questo parassita fungino, le piante producono liposomi pieni di diversi tipi di RNA con cui bersagliano le cellule della muffa che le ha aggredite. Una volta entrati nelle cellule del parassita, i vari tipi di RNA messaggero ivi rilasciati esercitano diverse funzioni: sopprimono geni che sono correlati alla virulenza del parassita o ne uccidono le cellule, funzionando a tutti gli effetti come antibiotici basati su RNA messaggero.

La funzione antibiotica si esplica interferendo con i meccanismi che sostengono l’attività di diversi organelli cellulari del parassita, con affinità specifica per bersagli molecolari tipici delle cellule fungine, ma non di quelle della pianta, che in questo modo evita “effetti collaterali” indesiderati. Anche se non è ancora chiaro come i “farmaci a RNA” prodotti dalla pianta riescano a entrare selettivamente nelle cellule del fungo, probabilmente ciò avviene attraverso specifici meccanismi di riconoscimento di recettori cellulari sulla superficie di quelle cellule; una volta all’interno, anche una singola molecola di RNA può dare origine a moltissime proteine antibiotiche vegetali, che bloccano funzioni indispensabili per il fungo.

Tra i bersagli colpiti, ad esempio, vi sono alcune proteine mitocondriali della muffa; quando le proteine antibiotiche prodotte dagli “mRNA terapeutici” delle piante le complessano, il metabolismo energetico del fungo si interrompe, portando alla morte delle cellule trattate con i nanoliposomi vegetali. Naturalmente, i funghi non sono restati evolutivamente inerti di fronte ai nanoliposomi antibiotici delle piante.
Lo stesso gruppo di ricerca autore di questo ultimo lavoro ha infatti scoperto che anche le muffe, a loro volta, producono RNA incapsulati in liposomi, i quali sono usati per colpire le cellule del loro ospite e sopprimerne i meccanismi di immunità, in una vera e propria corsa agli armamenti coevolutiva.

I risultati descritti consentono alcune brevi considerazioni. Innanzitutto, circa il concetto di “innaturalità”, di “trasformazione genetica” e così via, tutte etichette attaccate ai vaccini a RNA da coloro che vogliono a tutti i costi scoprire una “innaturale” e verrebbe da dire empia volontà degli scienziati di manipolare la natura stessa. Il caso di specie illustra, ancora una volta, come il procedere attraverso innumerevoli tentativi ed errori durante miliardi di anni di evoluzione ha prodotto una quantità tale di processi e peculiarità biologiche, che pretendere di stabilire cosa sia realmente “nuovo” o “artificiale” pecca perlomeno della presunzione associata al credere di conoscere già a sufficienza la biologia molecolare degli esseri viventi, dopo meno di un secolo dacché siamo in grado di esplorarla. In secondo luogo, la diffusione di meccanismi di scambio di RNA in microvescicole, anche a scopo antibiotico, consente di ipotizzare che presto saremo in grado di migliorare la nostra stessa tecnologia, guardando al mondo naturale e imparando da quello: fungicidi e altri tipi di prodotti, basati sulla mimesi delle vescicole e del loro contenuto prodotti da piante e altri organismi a vari scopi, sono immediatamente all’orizzonte.

Infine, una nota generale: la vita, sempre di più, ci appare come inestricabilmente connessa allo scambio e al processamento di informazione chimica e genetica, il cui codice è universale e ormai sufficientemente noto ai ricercatori, da poter partecipare al “dialogo molecolare” in maniera controllata e finalizzata al raggiungimento di risultati impensabili anche solo cento anni fa. Questi risultati rappresentano un monumento allo sforzo intellettuale che ha consentito di ridurre la biologia e la vita, almeno in linea di principio, alla chimica e alla fisica; dove per ridurre, come ho già avuto modo di ricordare, bisogna intendere “re-ducere”, ricondurre, e non diminuire.

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