cattivi scienziati
"Il bello è negli occhi di chi guarda". Ma siamo sicuri che sia così?
Un nuovo lavoro spiega nei dettagli come gli impollinatori di diversi gruppi hanno selezionato il colore dei fiori e probabilmente anche dei frutti, influenzando poi la nostra capacità di apprezzare quegli stessi colori e formando un nostro senso estetico innato
Uno dei modi con cui è possibile evadere con la nostra immaginazione, astraendosi dalla realtà che ci circonda, è senza dubbio quello di farci assorbire nell’osservazione di qualche opera d’arte più o meno famosa, la quale solleciti a tal punto il nostro senso estetico da farci trascorrere un tempo più o meno lungo nell’osservazione. Per quello che mi riguarda, questo è precisamente quello che mi accade quando sono davanti a qualche natura morta che riproduce fiori, frutta e magari qualche farfalla o altri piccoli animali, come sovente appare nelle opere dei pittori fiamminghi del XVII secolo, ma in realtà, se ci riflettiamo, sin da opere molto più remote, come quelle sui muri di Pompei, e fino ai nostri tempi, se ricordiamo Manet, Van Gogh o anche certe serigrafie di Andy Warhol.
Naturalmente, non pretendo affatto che questo mio particolare vezzo sia condiviso dagli altri; in molti potrebbero disprezzare opere, magari minori, che a me piacciono molto, perché, come si dice, “la bellezza è negli occhi di chi guarda”. Questo è senza dubbio vero; ma siamo sicuri che sia esclusivamente così? Proprio nel caso di fiori e frutti, in realtà, potremmo dire che vale anche il contrario: sono gli occhi di chi guarda – anzi di chi per lunghissimo tempo ha guardato – ad essere riflessi nei colori e nelle forme attraenti che si ritrovano nelle opere dei grandi maestri.
A ricordarcelo, giunge un nuovo lavoro, appena pubblicato sui “Proceedings” della Royal Society, che dimostra come, dal punto di vista darwiniano, l’evoluzione della vista degli impollinatori ha preceduto quella del colore dei fiori – un fatto banale – ma spiega soprattutto perché ciò sia stato possibile, ovvero come mai i colori sgargianti potessero costituire un messaggio utile ad attirare gli impollinatori. In sostanza, l’evoluzione della vista degli imenotteri – e di altri impollinatori volanti, come gli uccelli – è stata dominata dalla selezione per sistemi percettivi che fossero particolarmente abili nel discriminare le sfumature di colore presenti in un denso ambiente forestale primitivo, uno sfondo in cui volare dominato dai colori di foglie, corteccia, rocce e rami. La selezione naturale ha agito sulle piante in modo che i fiori si avvantaggiassero di queste capacità visive pre-evolute dei loro potenziali visitatori, così che in risposta si sono evolute caratteristiche cromatiche per segnalare agli insetti e particolarmente alle api e agli imenotteri loro antenati, e diversamente agli uccelli, su uno sfondo di altri materiali naturali. Di conseguenza, i colori dei fiori di oggi rappresentano una risposta evolutiva alla visione degli impollinatori diurni che navigavano nel loro mondo milioni di anni prima dei primi fiori; in quei colori, si riflette cioè l’occhio degli insetti o degli uccelli, a seconda dei casi. Ora, una volta che i segnali cromatici sono stati associati a premi zuccherini come quelli presenti in fiori e frutti, si è potuto avere un effetto di ritorno, su altri animali la cui evoluzione ha proceduto per adattamento a quelle risorse così preziose; fra questi, certamente, i primati da cui discendiamo. Il verde nelle sale operatorie, usato per farci rilassare, corrisponde ad un segnale neutro, lo sfondo delle foreste; i colori brillanti diversi da quello elicitano invece il nostro interesse e, nel caso, anche il nostro senso estetico, perché il segnale di frutti e fiori ha agito anche sulla visione dei nostri antenati. Così, quando mi beo nell’osservare la rappresentazione che di quelli hanno fatto i grandi artisti passati e contemporanei, si può dire che davvero il bello è nei miei occhi – o per meglio dire nel mio cervello; ma, allo stesso tempo, occhi di altre creature, molto diverse da noi, sono riflessi in quei colori e in quelle forme che abbiamo imparato evolutivamente ad apprezzare in tempi remoti. Così funziona l’evoluzione della vita in questo pianeta: un flusso ininterrotto di informazioni, percettive e genetiche, che si scambiano all’interno e fra specie diverse in continuo coadattamento, a produrre un ramificato e intricatissimo sistema di reciproca dipendenza che si riflette persino, almeno in qualche sua parte, nel nostro giudizio estetico.
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