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La riflessione

Elogio della matematica. Buone ragioni per studiarla, e non solo perché è utile

Enrico Bucci

È il miglior modo in cui possiamo elaborare ed esprimere  l’attività logico/razionale del nostro cervello. E consente di esplorare il mondo  in un modo che oltrepassa i nostri stessi sensi. Idee in risposta alle nuove “linee guida per le discipline STEM”

“Perché la matematica è così importante per la società attuale? La risposta più naturale, ma anche più banale, è che è utile. Questa risposta, però, è ingenerosa oltre che parziale.” La frase a pagina due delle nuove “linee guida per le discipline STEM” appena approvate dal ministero dell’Istruzione e del Merito farebbe ben sperare. Peccato che, nel prosieguo della sezione dedicata all’“importanza della matematica nelle discipline STEM”, essa sia immediatamente tradita, perché, nonostante l’infarcitura di dotte citazioni – da Galileo a Leibniz – non si forniscono altro che motivazioni connesse appunto all’utilità del calcolo, all’indispensabilità della matematica nella scienza, alla sua utilità come parte di un bagaglio necessario a distinguere le notizie vere da quelle false e per dominare le nuove macchine “proiettandosi verso il futuro tecnologico”. La contraddizione è ancora più plasticamente evidente quando troviamo scritto nel documento citato che “solo mera astrazione rende la matematica sterile e noiosa; d’altra parte, una matematica solo diretta alle applicazioni fa perdere in creatività e innovazione.” L’astrazione matematica sarebbe dunque sterile, cioè non utile e del tutto improduttiva, quando coltivata in sé e per sé; e quella diretta alle applicazioni sarebbe invece incapace di generare innovazione, cioè incapace di trovare nuovi utili modi di migliorare la nostra tecnologia. In due parole: si apre dicendo che ridurre la matematica alla sua utilità è una banale limitazione, ma si prospetta poi in ogni modo come ragione per il suo studio proprio la sua utile applicazione in vari settori e nel processo di innovazione.

  

Sembra quasi che, alla fine, la produzione delle linee guida sia stata affidata a chi, in ogni caso, continua a cercare disperatamente un modo per rispondere alla sempiterna domanda degli scolari: a che serve la matematica?Io credo che, con la matematica come con qualunque altra materia di insegnamento, questa sia la domanda sbagliata da porsi, e ne nasconda in realtà un’altra, molto più importante. Non a che serve, ma perché studiare la matematica (o il greco, il francese, la storia dell’arte e qualunque altra disciplina): questo bisognerebbe chiedersi, e su questo bisognerebbe portare a riflettere gli scolari all’inizio di ogni ciclo di insegnamento di ogni ordine e grado. Si noti bene: il perché di qualcosa non risiede necessariamente (solo) nella sua utilità, la quale eventualmente può ben rappresentare solo un motivo fra molti e più importanti.
Dunque, proverò qui a fornire qualche spunto di riflessione circa la ragione per cui l’insegnamento della matematica è indispensabile, non negandone l’utilità, ma mostrando come vi sia ben altro che quella, e che questo “altro” è di gran lunga un motivo più valido e più indispensabile perché le menti degli studenti se ne interessino.

  

Perché l’utilità non è un motivo per lo studio della matematica

Inizierò con quella che potrebbe sembrare una distopia, ma che in realtà è molto vicina a ciò che ormai già accade. Immaginiamo che tutti possano avere accesso a macchine e strumenti in grado di effettuare ogni misura ed ogni calcolo tra i più comuni (il che è di fatto già realizzato). Conoscere la formula per l’area di un triangolo o di un cerchio, oppure saper risolvere un integrale o sviluppare una serie di Fourier, sarebbe in questo mondo di molta poca utilità – e di fatto, nella nostra società, si tratta di competenze ristrette a pochi, ed in maggior parte inculcate direi quasi con la forza. Se, un passetto più avanti nel futuro, esistessero macchine capaci di usare tutta la matematica disponibile per produrre innovazione scientifica e tecnologica, macchine cioè dotate di un’intelligenza artificiale come quella che in parte comincia già ad affacciarsi nel nostro mondo moderno, capaci di impostare e risolvere in modo autonomo problemi matematici di complessità crescente e se tutte le macchine fossero perfettamente controllabili in maniera intuitiva, senza nessun bisogno di conoscere la matematica che utilizzano (cosa che in parte già avviene oggi), dal punto di vista della loro utilità la conoscenza e l’insegnamento della matematica sarebbero ristretti a pochi casi speciali e a pochi avventurosi che volessero usare la propria testa. A buon diritto, l’istintiva domanda degli scolari, ma credo anche di una gran parte degli adulti, “a che serve la matematica”, troverebbe una univoca risposta: a poco, e probabilmente a nulla. Ecco perché nessuna motivazione per lo studio e l’insegnamento di questa disciplina che parta dalla sua utilità è mai davvero sincera o sufficiente: perché la matematica è utile sì per applicazioni e innovazioni, ma la sua “conoscenza utile” può essere delegata a macchine che vanno dalla calcolatrice tascabile fino alle future intelligenze artificiali, le quali sono e saranno sempre più ben in grado di fornirci ognuna delle “utilità” della matematica, senza che sia direttamente necessario conoscere la disciplina. Di fronte allo stanco e sempiterno ripetere della risposta “la conoscenza della matematica è utile”, ogni studente, a partire dallo studente che fu il sottoscritto, penserà a buon diritto “non è vero – eccetto quando si vogliano specificamente usare uomini invece di macchine, magari perché economicamente più convenienti o perché non esiste ancora una specifica macchina”.
E allora? Perché studiare la matematica?

  
La matematica come linguaggio della mente raziocinante

Iniziamo da un punto che riguarda l’essenza stessa della materia: la matematica è un linguaggio simbolico, il quale rispetto ad altri – pensiamo per esempio al simbolismo magico – è il più efficiente di cui disponiamo per sviluppare le nostre intuizioni logiche. Ciò avviene per così dire per costruzione, perché le relazioni fra simboli matematici usate per combinarli e costruire proposizioni matematiche devono tutte obbedire ad una struttura logica deduttiva universale e unica, la quale, a partire da poche regole prefissate, consente un’illimitata varietà espressiva, paragonabile a quella di qualsiasi altro linguaggio umano, mantenendo tuttavia una struttura rigorosa. Ora, una delle modalità del nostro pensiero è quella logico-razionale; è una modalità che usiamo ogni volta in cui le euristiche istintive non sono sufficienti o non esercitano la loro azione inibitoria, ed è la modalità che ci consente di prendere decisioni ponderate, di fare previsioni con buona probabilità di successo, di valutare in modo obiettivo (e dunque socialmente più utile perché meno legato alla oscillazione dell’emotività individuale) le argomentazioni di altri e così via continuando. Questa modalità, e lo sviluppo della corrispondente capacità di pensiero, è una delle caratteristiche sottostanti la nostra sopravvivenza passata e il successo della nostra specie, perché, pur essendo alla base del funzionamento del cervello di animali anche semplicissimi, ha tuttavia raggiunto in noi una maggior sofisticazione e soprattutto il livello di consapevolezza necessario a poter essere utilizzata in maniera volontaria e dedicata. Ora, le regole del pensiero logico-razionale sono esattamente la base per le regole matematiche che sono utilizzate per manipolare un insieme di simboli espandibile a piacere, a rappresentare ogni sorta di concetto formulabile dai nostri cervelli, sia in corrispondenza di qualche aspetto della realtà fisica, sia completamente separato da essa; possiamo quindi dire che la matematica è il linguaggio naturale, in quanto più conforme, e più potente per formulare una proposizione ed esaminarne la consistenza e le conseguenze (anche astratte) secondo le regole fissate dalla logica razionale e così, in sostanza, esprimere al meglio l’attività razionale del nostro pensiero. In questa ottica, potremmo definire la matematica come il migliore e più adatto linguaggio del raziocinio logico; e se è vero come è vero che questo è uno dei tratti distintivi, anche evolutivamente, della nostra specie, la conoscenza della matematica è direttamente proporzionale alla nostra capacità di formulare, esaminare e comunicare questa forma di pensiero di cui costituisce il linguaggio più appropriato.

  

Come condividere una visione del mondo non ambigua

Vi è tuttavia di più. Non solo la matematica è il linguaggio migliore che possiamo avere per formulare i nostri pensieri logico-razionali, di qualunque natura essi siano, ma ha un vantaggio cruciale per una specie sociale come la nostra e per una cultura collettiva quale quella che siamo stati capaci di elaborare: una totale condivisibilità, che elimina ogni forma di ambiguità comunicativa. Per quel che riguarda la trasmissione e l’elaborazione di informazione, includendo in informazione sia quanto risulta dal nostro raziocinio sia quanto riusciamo a cogliere del mondo esterno, la matematica è infatti il linguaggio più preciso e più condivisibile che abbiamo. È cioè un modo per elaborare informazione e condividerla che non ha eguali in fatto di comunione e accordo tra le persone circa il suo significato e le sue proposizioni, e contemporaneamente è illimitato quanto alla varietà di espressione e all’astrazione che consente. Ora, se ammettiamo che la nostra stessa evoluzione è un percorso fatto da una specie sociale, che ha necessità di condividere l’elaborazione culturale, non troveremo nulla nella nostra cultura che abbia lo stesso grado di potenza comunicativa, mantenendo tuttavia la totale condivisibilità, tanto se intendiamo descrivere la realtà, quanto se intendiamo riferirci ad un mondo astratto e non percepibile dai nostri sensi. Per capirci meglio: i linguaggi dell’arte e le intuizioni poetiche sono, allo stesso modo, espressivamente ricchi, potentissimi ed evocativi, ma non parimenti condivisibili, non nel senso del poter essere certi di una pienissima identità comunicativa tra chi formula e chi riceve il messaggio. Anzi: si potrebbe argomentare che la grandezza di un’opera d’arte sta proprio nella moltitudine di sfumature e significati che vi può ritrovare, tanto se osserviamo il singolo quanto il gruppo di individui diversi che vi siano esposti. La matematica è invece (anche) il coronamento di quello sforzo di tutta la nostra specie per ottenere un linguaggio potente, simbolico e privo di ambiguità; val la pena dunque di avvicinarsi alla materia anche solamente per poter apprezzare quale sia la soluzione al problema della precisione comunicativa, dell’astrazione e della flessibilità che l’umanità è riuscita ad elaborare, e più ancora bisogna riconoscere che, nei casi in cui è necessaria la totale accuratezza di comunicazione e l’assenza di ambiguità, non abbiamo altro veicolo che quello.

  

Matematizzare il mondo per costruire la scienza

Ma quali sono questi casi, quando cioè abbiamo bisogno di esprimere ciò che pensiamo in maniera non ambigua e di usare tutti omogeneamente lo stesso metro per trarre conclusioni da un’informazione esattamente e totalmente condivisa? In breve, ogni volta che l’informazione che intendiamo condividere e le deduzioni che ne abbiamo tratto hanno un significato adattativo. Già fra gli animali, esistono alcuni messaggi scambiati fra le specie sociali che sono totalmente privi di ambiguità, come i segnali di pericolo o quelli relativi alla presenza di una risorsa; il peso della selezione naturale ha reso tali messaggi il più possibile scevri da variazione interpretativa. Tuttavia, l’elaborazione di alcuni pochi segnali, e l’eventuale invenzione di simboli che possano essere utilizzati anche in assenza di un oggetto fisico che quei segnali richiamano, sono solo il primo passo di astrazione utile ad una specie sociale che sviluppi fra i propri tratti evolutivamente favorevoli una descrizione condivisa del mondo. Nell’universo fisico complesso e in continuo cambiamento in cui i componenti di un gruppo vivono, risulta molto vantaggioso possedere un modo non ambiguo di descriverne gli aspetti di interesse e il modo in cui analizziamo mentalmente tali aspetti, così che tutti i cervelli siano posti di fronte alla stessa informazione e possano cercare di sfruttarla al meglio, potendo poi comunicare il proprio risultato a tutti gli altri con la sicurezza che tanto l’informazione di partenza quanto il modo di trattarla al fine di arrivare ad una data conclusione siano perfettamente replicabili da ogni individuo. La risoluzione di un problema da parte di un gruppo, cioè, diventa particolarmente efficiente perché se qualcuno riesce nel compito, è anche in grado di mostrare esattamente quale sia il problema che ha affrontato, così che gli altri capiscano senza errore di cosa si sta trattando, e come lo ha risolto, così che gli altri possano ritrovare esattamente la soluzione oppure individuare eventuali errori a loro volta in modo comunicabile in modo non ambiguo. Questo processo è tanto più efficiente quanto più si dispone di un linguaggio simbolico, astratto, universale, compatto e di tipo logico-deduttivo (per non lasciare ambiguità in merito alle procedure con cui si risolvono i problemi formulati attraverso opportune combinazioni di simboli); il che equivale a dire che, tanto più un problema è reso e affrontato matematicamente, tanto più efficienti, universali e condivisibili possono essere la sua analisi e la sua soluzione. Quello che oggi identifichiamo come il “programma scientifico” della scienza moderna, alla fine, può essere ridotto a questo: la matematizzazione del mondo, cioè la costruzione di un suo modello simbolico/matematico universale, cioè che permetta la formulazione, la condivisione, l’analisi e l’ampliamento del modello stesso a qualunque cervello, di modo che ogni aspetto della realtà percepibile sia esaminabile da tutti, minimizzando gli errori di interpretazione e i bias individuali. Da un punto di vista biologico, questo è ciò che fa ogni cellula del nostro corpo, computando su base molecolare ed estraendo informazione quantitativa dal proprio ambiente, per poi processarla e condividerla con altre cellule. Coni e bastoncelli del nostro occhio, per esempio, letteralmente contano nel tempo il numero di fotoni di un certo tipo che li colpisce, fornendo al nostro cervello un segnale proporzionale a quella somma e alla sua derivata nel tempo; un segnale che proprio per la sua natura quantitativa non è ambiguo, pur se ovviamente affetto da rumore, il quale viene tradotto in segnali elettrici alla base della computazione di una complessa rete di cellule neurali specializzate, per interpretare ciò che abbiamo intorno a portata di vista. Per molto tempo, abbiamo dovuto accontentarci di esaminare quantità direttamente ricavabili dal nostro mondo attraverso i nostri sensi; ma poi, attraverso strumenti sempre più complessi, con cui si effettuano misure rese con un tipo particolare di simbolo, i numeri, siamo riusciti ad ampliare enormemente il numero di fatti che possiamo esaminare per via matematica, visto che un’importante parte di essa si fonda e sviluppa relazioni fra numeri. Tuttavia, contrariamente a quello che molti intendono, la varietà espressiva della matematica è usata per esaminare anche concetti che non sono “quantitativi” nel senso che comunemente si intende – ampliando così (e di molto) la varietà di problemi trattabili. La disgiunzione fra due insiemi, il limite di una funzione o la sua convessità, un triangolo o un cerchio sono tutti esempi di questo tipo di concetti: utili magari a studiare anche le relazioni fra quantità, ma indipendentemente formulati e comunque utilizzabili anche senza relazione con esse.

   

Descrivere ciò che non possiamo intuire del mondo fisico

L’uso di strumenti, unitamente alla accessibilità universale della disciplina alla nostra mente collettiva, rende possibile per mezzo della matematica oltrepassare persino la nostra stessa umanità: attraverso di essa è possibile “vedere” e discutere tutti insieme cose che non riusciamo neppure ad immaginare compiutamente perché al di fuori del nostro mondo percettivo e delle euristiche innate che esso ha evolutivamente impiantato in noi, come il mondo a scala quantistica o la natura del tempo. A prescindere dalle sue relazioni con il mondo fisico, lo sviluppo soddisfacente di una nuova branca della matematica, del suo linguaggio e delle sue proposizioni può ben procedere indipendentemente dal suo utilizzo per condividere ed ampliare la nostra conoscenza dell’universo; i matematici possono fare, e di fatto continuamente fanno, una continua rianalisi della propria stessa disciplina, un continuo suo ampliamento introducendo nuovi linguaggi, nuove relazioni e nuovi simboli, una continua esplorazione di quelli che potremmo chiamare “oggetti matematici”, cioè concetti caratterizzati da un insieme arbitrario e vario di proprietà matematicamente compatibili, che sono assemblati dal pensiero dei loro descrittori in maniera creativa e completamente imprevedibile per il puro gusto dell’esplorazione delle loro proprietà deducibili, a partire dalla combinazione iniziale. Proprio come un artista esplora continuamente le possibilità del proprio linguaggio, così fa il matematico quando è lontano dalle applicazioni; allo stesso modo, egli ottiene a volte risultati di abbagliante bellezza, ma mentre la forza dell’arte sta nella libertà dei suoi fruitori di leggervi ciò che percepiscono, e non solo nella libertà del creatore dell’opera d’arte, la forza di una nuova invenzione matematica sta proprio nel nitore della sua logica univoca e universalmente apprezzabile allo stesso modo, nell’estensione delle ramificazioni che inevitabilmente ne discendono, nella generalità con cui riesce a raggruppare sotto di sé il maggior numero possibile di precedenti enunciati.

 
Al contrario di quanto scritto improvvidamente nel documento del ministero citato in apertura, la mera astrazione matematica è ben lungi dall’essere noiosa; in aggiunta, e in ulteriore contraddizione con quel documento, essa non è neppure sterile, perché può accadere ed è più volte accaduto nella storia della scienza che chi è interessato allo studio di una particolare porzione della realtà fisica, possa trovare, prima ancora di aver effettuato qualsivoglia misura, già bello e pronto un rigoroso armamentario concettuale, linguistico e simbolico utile a descrivere quel pezzo di realtà e a dedurne certe proprietà, inventato senza nessun riferimento ad alcun oggetto o proprietà fisici. Ciò avviene perché se il simbolismo matematico introdotto da qualcuno trova riscontro nelle proprietà di un oggetto che vogliamo descrivere, allora le proprietà logico-deduttive della matematica consentono di anticipare le relazioni fra quelle proprietà ed altre che nemmeno ancora conosciamo, consentendo di ottenere teorie verificabili circa l’oggetto del nostro interesse. Anche quando un oggetto matematico sia stato per la prima volta definito quale modello di qualche parte o di qualche proprietà del mondo fisico, esso frequentemente diventa una fonte di interesse per i matematici che ne studiano le proprietà e le relazioni con altri oggetti del pensiero, indipendentemente dalla loro relazione con il mondo fisico; e questo processo di continua fertilizzazione reciproca tra le discipline che studiano il mondo e quella che fornisce loro il linguaggio e ne studia le proprietà è del massimo interesse, proprio quando i matematici sono liberi di spaziare a piacere nel loro mondo, senza preoccuparsi dell’utilità di ciò che fanno eccetto che per la loro stessa disciplina.

  

Conclusione

A questo punto, il lettore vorrà tirare le fila di questo mio ragionamento, e arrivare a una conclusione rispondente al punto del suo inizio.Ecco, dunque, qualche ragione del perché studiare la matematica: non perché serve (e serve certamente), ma perché essa innanzitutto rappresenta il miglior modo attraverso cui possiamo elaborare, esprimere ed esaminare l’attività logico/razionale del nostro cervello (pur se in grado dipendente dall’esercizio di questa funzione). Poi perché la matematica è il linguaggio più universale e meno ambiguo per condividere con tutti il nostro raziocinare sul mondo, dopo centinaia di migliaia di anni in cui, come specie sociale, ci siamo arrabattati a trovare via via ciò che c’era di meglio per farlo; e questo modo è lo stesso ovunque, in ogni luogo e in ogni tempo, con ciò costituendo il linguaggio più naturale di quella mente collettiva con cui esaminiamo l’universo. Ancora, perché la matematica consente di esplorare il mondo intorno a noi in un modo che oltrepassa i nostri stessi sensi e perfino i nostri strumenti, prevedendo e disegnando relazioni quantitative e proprietà di oggetti fisici che sono persino fuori portata del nostro immaginifico intuito, ma che non per questo attingono a uno stato di realtà diverso da quello degli oggetti e dei processi fisici di cui abbiamo una chiara immagine mentale. Noi non sappiamo davvero concepire o descrivere uno stato di entanglement quantistico, se non attraverso la matematica; e così per una moltitudine sempre più ampia di fenomeni, che sempre più ci spingono ai margini di un universo stranissimo e vasto, che può dischiudersi solo all’analisi della nostra mente matematica.

 
Certo, gli scolari e gli studenti di ogni ordine e grado dovranno come sempre partire dalle basi, come per apprezzare Dante devono partire dall’alfabeto; ma l’obiettivo può e deve, nelle forme opportune, essere dischiuso ai loro occhi, se si vuole davvero motivarli, disabituandoli al perenne suono della domanda “a che serve”, per educarli invece a quello della domanda “perché”.

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