Cattivi scienziati
La condivisione social delle nostre informazioni genetiche
Si chiama "microbioma" ed è la raccolta di innumerevoli specie di microrganismi che abitano con noi in associazione più o meno stretta e, come la cultura, può rapidamente propagarsi all’interno delle comunità e delle diverse popolazioni
Ho avuto modo di scrivere in passato che, considerato l’intero insieme di microrganismi che vivono su di noi in stretta associazione, determinando tratti molto diversi che spaziano dalle nostre capacità alimentari, al nostro sistema immune e perfino a certe caratteristiche del nostro umore e a un insieme sempre più altro di caratteristiche che siamo soliti attribuirci individualmente, noi siamo in realtà un olobionte. La nostra identità non è quindi controllata solo dal DNA ereditato dai nostri genitori e dall’azione dell’ambiente su di esso, ma anche specificamente dal modo in cui il patrimonio genetico che abbiamo ereditato controlla il nostro microbioma ed è da quello controllato nella sua attività di espressione del nostro fenotipo esteso. Alla luce di un nuovo, interessante studio, vale la pena di fare qualche considerazione ulteriore.
Poiché, infatti, l’informazione genetica dei nostri commensali e simbionti appartiene a ogni sorta di microrganismi, e visto che questi sono in grado di passare da un ospite ad un altro, esattamente come i loro congeneri patogeni con la cui infettività siamo più familiari, ne consegue che anche l’informazione genetica che collabora con il DNA umano nel costituire gli individui della nostra specie è propagabile nella popolazione umana. Anzi: mentre l’informazione genetica umana può trasferirsi solo verticalmente da un essere umano all’altro, ovvero solo attraverso le generazioni successive della nostra specie, l’informazione genetica del nostro microbioma – proprio come l’informazione culturale – può propagarsi anche orizzontalmente, cioè non solo dai genitori ai figli, ma anche fra ogni altro individuo di una popolazione. Per di più, proprio come nel caso dell’informazione culturale, anche quella genetica si propaga molto velocemente, e precisamente seguendo le leggi di propagazione esponenziali dettate da quel famoso numerino che abbiamo sentito così tanto durante la recente pandemia – R0 – tipico di ogni microrganismo che abita l’essere umano.
Non si tratta di ipotesi: la propagazione del microbioma boccale e intestinale da un individuo all’altro attraverso la nostra rete sociale è stata dimostrata definitivamente, e la cosa vale ovviamente a maggior ragione per il microbioma epidermico, come è semplice immaginare. La condivisione del microbioma, così come quella della cultura, è scolpita e limitata dalla struttura della nostra rete sociale, così che nelle famiglie e nelle tribù si condivide ovviamente molto di più che con individui al di fuori del circolo più stretto, con quelle stesse dinamiche di condivisione dell’informazione culturale man mano che si considerano popolazioni umane più vaste.
Cosa comporta la diffusione dell’informazione genetica del microbioma non patogeno nel modo predetto? Nei lavori citati, esistono molti esempi. Innanzitutto, vi è l’adattamento delle popolazioni all’alimentazione disponibile, adattamento che continua ancora oggi nelle popolazioni umane moderne in presenza di nuovi alimenti e nuovi additivi alimentari. Questo processo è spesso molto rapido, tanto che è stato dimostrato che le popolazioni di immigrati asiatici in USA cambiano rapidamente la composizione del proprio microbiota intestinale, acquisendo quello della loro nuova patria. Ovviamente, la condivisione di un microbioma in una popolazione umana significa anche la condivisione delle corrispondenti proprietà di regolazione del sistema immunitario, il che è rilevante anche nella difesa da agenti patogeni (tenuti peraltro anche a bada per competizione dallo stesso microbioma, come accade sull’epidermide).
In aggiunta, le ormai ben note interazioni bidirezionali fra cervello e microbioma intestinale, mediate direttamente dallo scambio di neurotrasmettitori fra microbi e sistema nervoso centrale, potrebbero ovviamente variare a seconda del microbioma condiviso da una popolazione rispetto a un’altra. Infine, val la pena considerare come all’interno di una popolazione umana definita, il microbioma collettivo protegge quegli individui che dovessero improvvisamente ricevere un danno al proprio, in seguito a una patologia o all’uso di un antibiotico: il recupero dell’individuo danneggiato si accompagna all’immediata ricolonizzazione del microbioma locale e al recupero della corrispondente informazione genetica, attraverso gli scambi sociali, proprio come l’informazione culturale della propria collettività ci è utile ai singoli individui per affrontare le difficoltà.
Per tutti i motivi anzidetti e per molti altri che ogni giorno si scoprono, è evidente che l’informazione genetica su cui si trova ad agire la selezione naturale è per la nostra e per le altre specie supplementata da quella dei simbionti e dei commensali microbici; nelle specie sociali come la nostra, in aggiunta, tale informazione è rapidamente e ampiamente condivisa in una popolazione, ragion per cui la selezione opera su combinazioni di tratti umani e microbici più o meno omogeneamente distribuiti nelle diverse popolazioni, al netto delle interazioni fra il patrimonio genetico umano e quello dei diversi microorganismi da un lato, e di quelle fra i diversi microrganismi che ci abitano dall’altro. Da questo punto di vista, l’unità su cui agisce la selezione di Darwin è davvero l’infotipo – cioè l’insieme di tutta l’informazione adattativa trasmissibile fra gli individui di una popolazione, ivi inclusa quella culturale e quella genetica del microbioma condivisibile
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