Come l'eccesso di vitamina B3 può creare danno al cuore
Il marketing spinto di integratori, sali minerali e vitamine spesso ci fa dimenticare che, oltre a dubbi sull’efficacia, ci possono essere dati ancora non certi sulla loro sicurezza. Ce lo ricorda uno studio appena pubblicato sulla vitamina B3
Gli scaffali delle farmacie, così come le pubblicità diffuse per ogni dove, sono riempiti dagli integratori e dai vanti delle loro miracolose proprietà. Ad ogni occasione – in ultimo durante la pandemia causata da SARS-CoV-2 – sedicenti esperti e ricercatori frettolosi si affrettano a riscoprire i benefici di questo o quell’integratore, vitamina, spezia; e così curcuma, quercetina, resveratrolo e un’infinità di sostanze più o meno purificate e di sali minerali o vitamine finiscono per intasare le discussioni di tutti, provocando un altro picco di vendite, fino all’inevitabile delusione quando si scopre l’ovvio – cioè che la prova di efficacia di un trattamento non si raggiunge in televisione, in un preprint, in un articolo scientifico pubblicato in tutta fretta, magari pure su una rivista cosiddetta predatoria.
Ora, si potrebbe pensare che, a parte il danno al portafoglio e la disillusione, questi prodotti non lascino danni; del resto, se i medici, i farmacisti, i professionisti più svariati e perfino qualche premio Nobel del passato che ne promuovono l’uso avessero notizia del fatto di un qualche effetto collaterale serio, ci si aspetta che i loro entusiasmi dovrebbero proporzionalmente diminuire.
Proprio per questa ragione, vale la pena di riportare i risultati ottenuti per uno dei prodotti maggiormente prodotti, la niacina o vitamina B3, disponibile in un’infinta varietà di confezioni colorate per ogni uso – contro l’invecchiamento, per il benessere generale, come potenziatore del sistema immune e via fanfaronando, persino come farmaco anti COVID.
Cominciamo dall’utilità reale di questa vitamina: gli adulti devono consumare almeno 15 mg al giorno di niacina, per evitare sindromi da carenza di niacina come la pellagra. L’arricchimento con niacina della farina di frumento e di altri cereali è stato imposto per decenni negli USA, e si è accompagnato alla quasi eliminazione delle morti per pellagra negli Stati Uniti dopo la Grande Depressione. Come al solito, tuttavia, quel che funziona finisce per divenire vittima del suo stesso successo: così, lungi dal riservare l’assunzione di vitamina B3 alla compensazione di eventuali deficienze alimentari – ormai rarissime nel mondo occidentale – si è messa in moto la macchina del marketing parafarmaceutico e degli integratori, inglobando anche questo prodotto in ogni sorta di trattamenti dall’efficacia più o meno immaginaria, ma dalla sicurezza – così si pensava – garantita.
Ebbene, un nuovo studio appena pubblicato su Nature Medicine dovrebbe finalmente raffreddare il circo delle bugie commerciali sulla vitamina B3: due metaboliti derivati infatti dall’assunzione eccessiva di questa vitamina, indicati con le sigle 2PY e 4PY, sono stati associati con un rischio di eventi cardiovascolari gravi elevato di almeno due volte, indipendentemente dai fattori di rischio tradizionali.
Si noti bene: la niacina è ancora oggi frequentemente utilizzata per il controllo del colesterolo, ma da tempo si è provato sia che le statine sono molto più efficaci, sia che tale prodotto, in realtà, nonostante possa effettivamente ridurre il colesterolo, non produce il beneficio clinico atteso. Con il nuovo lavoro, appare chiaro il perché: non solo si tratta di un prodotto meno efficace, ma aumenta indipendentemente il rischio di eventi cardiovascolari gravi, bilanciando l’effetto benefico della riduzione del colesterolo e rendendo così controindicato il suo uso anche nell’unica condizione che, fatta salva l’ipovitaminosi, sembrava avere una qualche ragion d’essere.
I nuovi dati indicano che, non appena assumiamo vitamina B3 in eccesso, produciamo i due metaboliti incriminati, 2PY e 4PY; questi, in due coorti indipendenti di statunitensi ed europei, sono risultati in grado di indurre gli effetti cardiovascolari gravi di cui si riferiva, ma potrebbero anche essere associati ad infiammazione vascolare e aterogenesi – servono ulteriori studi per quanto riguarda questi due punti.
Ora, lo studio descritto non può considerarsi definitivo, sia perché riguarda poche migliaia di individui, sia perché non elimina del tutto alcuni confondenti, soprattutto per quanto riguarda il possibile meccanismo di azione dei metaboliti della niacina; tuttavia, prima di assumere barattoli di un composto la cui efficacia per la miriade di indicazioni commercializzate è non provata, e su cui vi sono invece dubbi fondati circa la sicurezza, sarebbe bene chiedersi se si è nell’unica condizione per cui la vitamina B3 è certamente indicata e benefica – ovvero la corrispondente ipovitaminosi, peraltro facilmente riscontrabile con banali esami diagnostici.
E come per la niacina, è bene smetterla di prendere l’ultima pastiglia, l’ultimo integratore o l’ultima sostanza à la mode: in molti, troppi casi, tanto l’efficacia, quanto la sicurezza di ciò che si pretende benefico e senza effetti collaterali dovrebbe essere meglio studiata, prima di affidarsi al pensiero magico e a meccanismi quanto meno dubbi alla base di supposti benefici.
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