la storia
Keplero e l'invenzione della fantascienza
Il sogno di un viaggio sulla Luna servì al matematico per spiegare il moto della Terra. Ma portò sua madre in tribunale
Linz, 29 dicembre 1615. Il quarantaquattrenne astronomo e matematico Johannes Kepler è all’apice della sua straordinaria attività scientifica e sta lavorando ai cinque libri dell’Harmonices mundi (“L’armonia del mondo”). Keplero si prepara a festeggiare come di consueto la fine dell’anno; forse intento a realizzare una delle sue celebri “strenne” da inviare ad amici e protettori. Bussano alla porta e gli consegnano una lettera. La sorella lo informa che la loro madre Katharina è sotto processo, accusata di stregoneria. Keplero legge la lettera, tremando di preoccupazione e rabbia. Poi pensa a quel manoscritto, e subito maledice quelle pagine e sé stesso. Inizia così una vicenda drammatica in una vita drammatica e piena di colpi di scena: accuse di stregoneria, fughe attraverso l’Europa, e un breve libro all’epoca rimasto inedito ma che viene oggi considerato una pionieristica anticipazione di un mondo che verrà.
Johannes Kepler nasce nel 1571 a Weil der Stadt, vicino a Stoccarda. Il padre Heinrich è un mercenario rissoso che scompare per lunghi periodi e poi definitivamente. La madre Katharina è cresciuta con una zia morta bruciata per stregoneria. Tre dei sei fratelli muoiono precocemente e anche gli altri sono affetti da gravi problemi di salute. Lui stesso soffre di numerosi disturbi alla vista e alla pelle. Ma gli astri sono già nel suo destino. A sei anni Katharina lo porta in cima a una collina per osservare “la grande cometa del 1577”. A nove anni rimane fortemente colpito da un’eclissi di luna. Dopo aver lavorato da bambino come bracciante, Johannes eccelle negli studi e riesce ad entrare a Tubinga per studiare teologia, con l’intenzione di prendere i voti. Qui avviene un primo incontro decisivo con Michael Mästlin, uno dei più grandi astronomi dell’epoca. Mästlin pubblicamente non mette in discussione il sistema tolemaico, ma nelle sue lezioni presenta con cautela anche quello copernicano. Keplero comprende subito che chi sta sulla Terra non riesce a percepire il movimento terrestre. Per farglielo capire, si potrebbe immaginare la stessa situazione stando sulla Luna: qui il nostro satellite ci apparirebbe fermo, e tutto il resto, Terra compresa, in movimento. Nel 1593 il giovane Keplero vorrebbe farne una tesina da discutere con docenti ed allievi. Uno dei compagni di studio, in particolare, Christoph Besold (futuro professore di diritto a Tubinga) si entusiasma leggendo quelle pagine al punto da offrirsi di condurre lui la discussione. Ma i professori non ne vogliono sapere. Sicché il manoscritto finisce nel cassetto, dove resta per sedici anni. Johannes è ormai pronto per coronare la sua ambizione di divenire pastore, ma accade un fatto inaspettato. Serve urgentemente un docente di matematica al seminario di Graz, e Keplero sembra l’opzione migliore. Così nel 1594 si trasferisce a Graz. L’incarico richiede che il docente compili anche calendari e oroscopi e Johannes fa subito colpo prevedendo un inverno freddissimo e la guerra coi Turchi. Già forte in lui, fin da quegli anni, la convinzione che ci sia una profonda armonia del cosmo, paragonabile “non a un organismo divino ma piuttosto a un meccanismo di orologeria”; e che questa armonia la si possa rivelare attraverso precise leggi matematiche. Il 19 luglio 1595 sta facendo una lezione di astronomia ai suoi allievi quando gli balena in mente una domanda: perché i pianeti sono in un certo numero, e perché hanno una certa disposizione, e non un’altra? Da quell’intuizione nascerà l’opera Mysterium cosmographicum (1596). L’opera desta grande impressione e gli vale un invito a Praga da parte dell’astronomo e matematico imperiale Tycho Brahe. Keplero, che nel frattempo ha sposato (“sotto costellazioni minacciose”, annota nel suo diario) l’ereditiera ventitreenne e già doppiamente vedova Barbara Müller, da cui ha avuto due figli morti prematuramente, lascia senza rimpianti la cattolica Graz, divenuta ormai sempre più ostile ai protestanti.
Brahe è il più grande osservatore a occhio nudo della storia dell’astronomia, capace di straordinaria precisione. Grazie all’osservazione di fenomeni come la “grande cometa del 1577” (quella vista anche dal piccolo Johannes con la madre) ha messo in discussione un altro dogma della cosmologia tradizionale: l’incorruttibilità e immutabilità dei cieli. Il giovane Keplero gli pare l’assistente ideale per fare una trattazione matematica delle proprie osservazioni, e Brahe gli affida subito un compito considerato difficilissimo: l’analisi dei moti di Marte. Alla morte di Brahe, nel 1601, Keplero subentra come matematico imperiale alla corte di Rodolfo II. Dopo anni di lavoro estenuante, nel 1606 ha pronto finalmente il suo capolavoro, l’Astronomia nova seu Physica coelestis, ma deve attendere altri tre anni per pubblicarlo a causa di una disputa con gli eredi dello stesso Brahe sull’utilizzo delle osservazioni di quest’ultimo. Il testo contiene tra l’altro le prime due “leggi di Keplero”. Non c’è modo di comprendere l’orbita di Marte, conclude, senza dare una spallata a un altro dogma, quello della circolarità delle orbite, che egli comprende essere in realtà ellittiche.
Nello stesso momento in cui “Keplero perfezionava il sistema copernicano”, secondo lo storico della scienza Richard Westfall, “lo distruggeva”. Ma già nell’introduzione l’autore riconosce la difficoltà di trovare un uditorio ricettivo per un testo così lungo, complesso, e perfino costoso. “Durissima la condizione di chi scrive libri matematici, e in particolare astronomici […] Ancora oggi i lettori qualificati sono pochissimi: il resto viene rifiutato dalla gente comune. […] Io stesso, che sono un matematico, rileggendo il mio lavoro, trovo che metta a dura prova le mie capacità mentali richiamare dalle figure il significato delle dimostrazioni”. Anche da qui la tentazione di andare a recuperare quell’idea degli anni studenteschi in modo da divulgare la “nuova astronomia” in una forma più accessibile. Il risultato è un racconto intitolato Somnium, che l’autore narra di aver immaginato, appunto, in sogno. “Una certa notte – ritiratomi a letto dopo aver contemplato la Luna e le stelle – mi addormentai profondamente e nel sonno immaginai di leggere con attenzione un libro preso alla fiera, di cui questo era il tenore” (l’edizione italiana più recente e accessibile è quella curata da Anna Maria Lombardi per Sironi, 2009). Il Sogno narra la storia del piccolo Duracoto, in cui è fin troppo facile riconoscere lo stesso Keplero. Duracoto è nato in Islanda da un padre scomparso e senza nome e dalla madre Fiolxhilde, che vende sacchetti di erbe ai marinai e dialoga con i demoni. Punito dalla madre per aver aperto uno di questi sacchetti, è venduto al capitano di una nave che lo fa sbarcare su un’isola dove apprende l’astronomia da Tycho Brahe. Al ritorno a casa, la madre evoca un demone buono in grado di condurre Duracoto su Levania (la Luna) in modo che possa vedere direttamente ciò che ha studiato negli anni precedenti. Il viaggio, spiega il demone, può avvenire solo durante un’eclissi di luna. Seguono descrizioni dettagliate delle forze a cui il corpo del viaggiatore verso la luna è sottoposto, tanto che “deve essere necessariamente addormentato con narcotici e oppiacei”; “il freddo smisurato e l’impossibilità di respirare”. Il cuore del racconto è l’astronomia lunare. “Ai suoi abitanti”, spiega Keplero-Duracoto, “Levania non pare meno immobile, mentre gli astri corrono in cielo, di quanto a noi uomini sembri immobile la Terra. Una notte e un giorno insieme equivalgono a uno dei nostri mesi”. Così, gli abitanti della Luna chiamano la Terra “Volva” (da revolvere, girare). Il sogno, e il racconto, si concludono con il risveglio. “Mentre ero giunto a questo punto del sogno, il vento, che si era alzato con gran fragore di pioggia, dissolse il mio sonno e nello stesso tempo dissolse il libro. […] Abbandonati perciò il demone narrante e i suoi ascoltatori, il figlio Duracoto con la madre Fiolxhilde […] al risveglio mi ritrovai con la testa sotto il cuscino e il corpo avvinto nelle coperte”.
Il manoscritto del Sogno inizia così a circolare, dapprima tra i conoscenti più stretti, per poi passare anche in mani meno fidate. Tuttavia non viene pubblicato neppure stavolta. Pochi anni prima Giordano Bruno è stato dato alle fiamme e le tesi copernicane sono più che mai materiale da maneggiare con cura. Inoltre Keplero ha ben altre preoccupazioni per la testa. Nel 1611 l’infelice matrimonio con Barbara si conclude tragicamente con la morte di lei per malattia. L’anno successivo muore Rodolfo II e Keplero si vede costretto a lasciare Praga per trasferirsi a Linz. Qui si risolve a sposarsi nuovamente ma, memore della precedente esperienza, decide stavolta di procedere in modo più sistematico selezionando ben undici candidate e annotando per ciascuna quelli apparenti pregi e difetti (stato di salute, aspetto fisico, carattere). Dopo grande incertezza lo scienziato punta sull’ottava candidata, che però si ritira; torna allora sulla quinta, Susanna Reuttinger. Il procedimento è descritto puntigliosamente in una lunga lettera (pubblicata anche in italiano, Lettera per la scelta di una moglie) scritta a un amico per invitarlo alla cerimonia. Ma la gioia per la nuova e più felice unione è di breve durata: siamo ormai al 1615 e alla drammatica notizia del processo per stregoneria intentato contro la madre. Nel viaggio verso la sua città natale, Keplero non fa che rimuginare sul Sogno e prende a compilare una serie di note e precisazioni da pubblicare finalmente insieme al racconto. “Quanto vi riesce difficile credere che nelle botteghe dei barbieri (soprattutto da parte di chi riteneva il nome della mia Fiolxhilde di malaugurio, a causa della sua occupazione) si discutesse di questo mio racconto? Di certo, proprio da quella città e da quella casa sono originati i pettegolezzi degli anni successivi, calunniosi sul mio conto; pettegolezzi che trovando udienza in animi senza discernimento, infine si irrobustirono in pubblica fama, al soffio dell’ignoranza e della superstizione. Starete pensando […] che la mia famiglia si sarebbe risparmiata una persecuzione lunga sei anni […]”. Tanto dura, infatti, il processo per stregoneria in cui Keplero si impegna strenuamente in prima persona per difendere la madre, messa in catene e portata davanti al boia che la minaccia di orribili torture per estorcerle la confessione. Non è dato sapere quanto effettivamente la circolazione del Sogno abbia pesato sulla vicenda, a cui ha dedicato un dettagliato studio la storica di Cambridge Ulinka Rublack (L’astronomo e la strega, Hoepli, 2017). A Weil il clima di “caccia alle streghe” era tale che in quegli anni furono bruciate trentotto donne in un paesino di circa duecento famiglie. Katharina era accusata di aver avvelenato alcune paesane con pozioni magiche e di aver provocato malanni articolari con il solo sguardo (il cosiddetto “colpo della strega”). Liberata dopo oltre un anno di reclusione, Katharina muore sei mesi dopo. Il corposo apparato di note e chiarimenti del Sogno è ormai completo ma Keplero non fa in tempo a vedere stampato il famigerato racconto. Né riesce a pubblicarlo il suo assistente, che si ammala e muore. Somnium, seu opus posthumum De astronomia lunari viene pubblicato finalmente postumo nel 1634 dal figlio Ludwig grazie al finanziamento di un mecenate.
Il racconto era noto ai due padri fondatori della moderna fantascienza Herbert George Wells e Jules Verne, autore di Dalla Terra alla Luna (1865) e che proprio dall’Islanda, patria di Duracoto, fa partire il Viaggio al centro della Terra del professor Lidenbrock (1864). Quasi simultaneamente, tra il 1980 e il 1981, l’astronomo e divulgatore Carl Sagan e il chimico e scrittore Isaac Asimov riscoprono e rivalutano il Sogno di Keplero. Introducendo un’antologia delle origini della fantascienza, Asimov argomenta il motivo per cui considera il Sogno il primo racconto di questo genere. Altri autori prima di Keplero, tra cui Luciano di Samosata con la Storia vera, avevano infatti immaginato un viaggio sulla Luna. “Luciano, dopo tutto, stava scrivendo solo una storia di viaggio. Chiamò quella terra esotica la Luna, ma avrebbe potuto chiamarla Africa, o un’isola inventata […] se definiamo la fantascienza come quella branca della letteratura che tratta cose immaginarie e non familiari ma che tenta, non di meno, di essere realistica e di ritrarre l’universo così com’è, dobbiamo guardare più avanti. […] la differenza cruciale è che Keplero dette alla Luna un giorno di due settimane e una notte di due settimane, che è un dato di fatto astronomico. Era la prima intrusione di un’osservazione autentica in quella che altrimenti sarebbe stata una mera opera di fantasia”. Nel terzo episodio della fortunatissima serie televisiva Cosmos: A Personal Voyage (PBS, 1980-1981), dedicato a Keplero e all’“armonia dei mondi”, Carl Sagan cita lungamente il Sogno come una delle prime opere di fantascienza, scritta con intenti divulgativi, con cui “il povero Keplero pensava di aver contribuito inavvertitamente all’arresto della madre. […] nel suo sogno Keplero ha usato gli incantesimi di sua madre per lasciare la Terra, ma lui credeva davvero che un giorno gli esseri umani avrebbero lanciato navi con vele adatte alle brezze celestiali. […] è stato il primo a combinare una fantasia audace con misurazioni precise. […] questa fusione dei fatti con i sogni aprì la strada verso le stelle. Da ragazzo Keplero era stato catturato da una visione dello splendore cosmico, un’armonia dei mondi che cercò instancabilmente per tutta la sua vita”.
Keplero muore il 15 novembre 1630, in occasione di un’eclissi lunare. “Misuravo i cieli, adesso misuro le ombre della Terra” l’epitaffio che egli stesso lascia. Insieme al Sogno, l’ultima opera che volle far stampare. “Tutti questi mostri che l’avevano ossessionato, da Fiolxhilde la strega e il suo marito scomparso”, ha scritto Arthur Koestler, “sono tutti qui, proiettati in uno scenario cosmico di una precisione prettamente scientifica e di una rara bellezza. Tutti i lavori di Keplero, tutte le sue scoperte, furono atti catartici: bisognava che l’ultimo si concludesse con questo meraviglioso svolazzo”.
Cattivi scienziati