cattivi scienziati
Combattere la disinformazione è parte di una corsa agli armamenti evolutiva
La guerra informazionale non si limita alla nostra specie. Forse alcune lezioni dalla biologia evolutiva potranno essere utili
Per molti decenni, è stata adottata una locuzione per descrivere l’epoca in cui viviamo: si è detto e ripetuto che siamo nell’èra dell’informazione.
Recentemente, a causa delle ultime evoluzioni tecno-sociali legate alla facilità nella produzione di contenuti non veritieri che hanno scopi diversi, la locuzione iniziale è stata sostituita da un’altra, per cui tutti oggi parlano con preoccupazione di èra della disinformazione.
Il problema, come tutti possono rilevare facilmente, è reale, e in via di aggravamento; ma è importante riflettere sul fatto che la disinformazione è sempre esistita, ed è molto più antica della nostra stessa specie.
Per questo motivo, qualche lezione e una prospettiva utile nel difendersi possono arrivare da una fonte inattesa: la biologia evoluzionistica.
Il punto di partenza, come dicevo, è che la competizione tra inganno e onestà è antica quanto la vita sulla Terra, e, sia fra specie diverse che all’interno di esse, rappresenta un fenomeno adattativo in grado di influenzare l’evoluzione stessa, quando l’informazione in gioco è codificata a livello genetico.
Per spiegare a cosa mi riferisco, farò qualche esempio.
Molti uccelli sono in grado di ingannare i predatori simulando un’ala rotta, salvo volare via; e altri uccelli che formano stormi misti con altre specie, emettono i segnali di pericolo delle specie cui si uniscono in presenza di una fonte di cibo, in modo da accaparrarsi più risorse.
E’ da tempo noto che fra gli imenotteri, il gruppo di insetti cui appartengono api, vespe e formiche, è diffusa sia la comunicazione onesta che quella disonesta.
Persino le piante hanno evoluto diverse strategie di comunicazione nei confronti dei propri impollinatori, inclusa la comunicazione disonesta.
Naturalmente, negli esempi precedenti non è coinvolta l’intenzionalità nella menzogna; ma esistono esempi anche di comunicazione disonesta intenzionale fra gli animali più intelligenti.
Fra le cornacchie, per esempio, esistono individui che mentono circa la disponibilità di risorse o la presenza di predatori, per ingannare gli altri a proprio vantaggio; questo coincide con una “scala di credibilità” nei gruppi sociali, cioè con una crescente capacità degli altri individui del gruppo di discriminare l’affidabilità dei richiami di un compagno.
Ovviamente, fra i maestri nella disinformazione ci sono i primati: come gli uccelli già citati, le scimmie cappuccino possono gridare simulando la presenza di un predatore nelle vicinanze per indurre i loro compagni a scappare, impadronendosi così di una risorsa specifica. Possono anche simulare la presenza di cibo laddove non c’è, distraendo i compagni dalla fonte reale, e possono mentire in molti altri modi ancora, usando la disinformazione a proprio vantaggio.
La disinformazione umana moderna, esplosa grazie alla rivoluzione digitale, è oggi l’equivalente culturale, una versione molto più sofisticata delle false grida delle scimmie e di tutti gli esempi qui mostrati. Come per ogni altra specie, quindi, anche per la nostra la guerra informazionale può essere descritta dagli stessi effetti competitivi, fra cui, in maniera prominente, quello che cade in biologia sotto il nome di “ipotesi della regina rossa”: nella guerra informativa fra specie e all’interno delle specie, la competizione fra la necessità di un individuo di ricevere informazioni oneste, ed il vantaggio nel mentire in certe circostanze, porta ad una continua rincorsa evolutiva, in cui menzogne sempre più sofisticate sono seguite da sistemi sempre più raffinati di filtraggio e interpretazione per ottenere informazioni veritiere.
Se la prospettiva è questa, vi è una buona notizia: sappiamo abbastanza del pensiero evoluzionistico moderno per ipotizzare alcune possibili strategie utili a fronteggiare la difficile situazione cui ci stiamo affacciando.
Per esempio, potrebbe essere possibile utilizzare un processo chiamato “intrappolamento evolutivo”, che consiste nell’indurre una specializzazione estrema nell’evoluzione di uno degli attori in gioco – in questo caso la sorgente di disinformazione – per poi cambiare improvvisamente le regole, rendendo molto difficile e costoso un adattamento rapido; un po’ quello che si sta tentando con il cancro, guidando l’evoluzione di un tumore con un primo farmaco e poi cambiando improvvisamente farmaco in maniera molto mirata.
Altre strategie, più o meno raffinate, possono essere apprese dal modo in cui gli animali selvatici sopprimono le “fake news” trasmesse per via sociale.
In generale, i differenti equilibri cui può condurre il gioco evolutivo derivante dalla competizione fra strategie basate su comunicazione onesta e disonesta sono stati estensivamente studiati e ben caratterizzati negli animali, ragion per cui è possibile provare ad applicare la conoscenza che ne è derivata alla previsione di diversi esiti della guerra informazionale umana in circostanze specifiche, così da stabilire una strategia opportuna secondo l’esito previsto.
Ora, è evidente che non tutti gli esempi derivabili dagli studi di biologia evoluzionistica saranno direttamente traslabili al nostro mondo; ma almeno i concetti ed i risultati più generali possono utilmente illuminare quello che sta succedendo alla specie umana, una fra le tante – e non certo la prima – fra quelle costantemente in equilibrio adattativo fra informazione vera ed informazione falsa.
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