Cattivi scienziati
Sintomi influenzali e Covid: quando effettuare un test?
Scegliere i tempi e il tipo di test giusto in presenza di sintomi influenzali, in presenza di una ripresa delle infezioni da SARS-CoV-2 come quella che stiamo vivendo, ottimizza il rilevamento dei soggetti più infettivi e più a rischio di propagare il virus
In questo periodo, assistiamo ad una ripresa dei casi di COVID-19, ed in contemporanea circolano ancora altri patogeni – fra cui RSV, micoplasma e virus influenzali (questi ultimi a livelli bassi).
È naturale che, in presenza di qualche sintomo e soprattutto considerando la risalita delle infezioni da SARS-CoV-2, molti si chiedano se e quando effettuare un test di quelli che si comprano comunemente in farmacia – oltretutto venduto anche nella versione in grado di rivelare con un solo esame la presenza dei patogeni sopra nominati.
Vale la pena quindi richiamare i dati più recenti e accurati di cui disponiamo, appena pubblicati su Science Advances, per dare qualche indicazione specifica.
Per SARS-CoV-2, è noto che se si esegue un solo test, è meglio attendere due giorni dopo la comparsa dei sintomi, perché prima la quantità di virus presente nelle vie aeree superiori potrebbe essere troppo piccola per essere rilevabile dai test commerciali. Al contrario, per l'influenza e l'RSV, è meglio fare il test rapido quando si avvertono i primi sintomi.
Questo significa che, se non si ha certezza di quale sia il patogeno contratto (per esempio derivabile dalle notizie circa il contatto con qualcuno che si è ammalato prima di noi), è bene condurre almeno due test: uno subito al manifestarsi dei sintomi, con obiettivo la rilevazione di RSV e dei virus influenzali, ed uno qualche giorno dopo, per evidenziare SARS-CoV-2. Se infatti ci si basa su un test compiuto nel primo giorno dalla manifestazione dei sintomi, si ottiene un falso negativo per l’infezione da SARS-CoV-2 nel 92% dei casi. Questa percentuale scende al 70% nel secondo giorno di sintomi e a circa il 66% nel terzo giorno.
In ogni caso, come si vede, con i test disponibili e le varianti di SARS-CoV-2 attualmente in circolazione, la maggior parte delle infezioni sfugge all’identificazione; tuttavia, è bene ricordarlo, questo avviene perché proprio con le nuove varianti spesso non si raggiungono titoli elevatissimi di virus – il che oltretutto è correlato alla sintomatologia generalmente più benigna rispetto agli anni passati. Questi livelli di virus relativamente bassi, tali da sfuggire in due terzi dei casi al test, significano anche una bassa probabilità di propagazione dell’infezione. La strategia di esame a tre giorni dai sintomi intercetta proprio il terzo di casi a più alto titolo virale, dal che si può facilmente vedere che il suo effetto sulla propagazione del patogeno non è proporzionale al tasso di successo, ma al fatto che proprio i soggetti più infettivi sono quelli che vengono rilevati dal test. In sostanza, diagnosticare anche solo un terzo delle infezioni può comunque ridurre sostanzialmente la trasmissione di SARS-CoV-2 se abbiamo diagnosticato il terzo più contagioso.
Di conseguenza, a questo punto piuttosto che un isolamento per un tempo predeterminato in caso di sintomi – supponiamo, per semplicità, di cinque giorni o di una settimana – la strategia di effettuare un test nel momento giusto, all’inizio dei sintomi (per gli altri patogeni) e a tre giorni dal loro insorgere per SARS-CoV-2, misurando la capacità effettiva di infezione da parte di un soggetto portatore, resta la migliore e più auspicabile.
Se dobbiamo andare a trovare la nonna, se dobbiamo partecipare a qualche evento sociale o andare al chiuso in luoghi affollati, resta una buona idea in caso di sintomi quella di seguire tale strategia, per noi e per i nostri cari.
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