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Cattivi scienziati

L'obesità a 17 anni ha una forte trasmissibilità familiare

Enrico Bucci

Uno studio appena pubblicato dimostra che genitori obesi a diciassette anni tendono ad avere figli che saranno obesi a quella stessa età. Tuttavia, il meccanismo sottostante questa familiarità non è necessariamente genetico, al contrario di quel che ritengono gli autori dello studio in questione

Un gruppo di ricercatori danesi e israeliani ha dimostrato che i bambini nati da genitori obesi all’età di 17 anni hanno maggiori probabilità di esserlo a loro volta alla stessa età.

In uno studio appena pubblicato, in particolare, è stato confrontato il BMI di 447.883 figli all’età di 17 anni con quello di entrambi i genitori all’età di 17 anni. I dati dei partecipanti sono stati raccolti per gli anni dal 1986 al 2018, grazie ai dettagliatissimi archivi militari israeliani che da molto tempo conservano le misure effettuate alla visita di leva. Ebbene, è risultato che i diciassettenni nati da genitori obesi a 17 anni avevano il 77% di probabilità di diventare obesi a 17 anni, mentre i loro coetanei nati da genitori che avevano un peso normale a 17 anni avevano solo il 15% di probabilità di essere obesi. In aggiunta, se i genitori erano sottopeso a diciassette anni, i loro figli raggiunta quella stessa età hanno mostrato solo nel 3,3% dei casi un problema di obesità.

Se invece di utilizzare le probabilità medie, si vanno a esaminare i dati raccolti dai ricercatori dividendo i maschi dalle femmine, si scopre che in particolare le figlie a parità di circostanze hanno maggiori probabilità di essere obese rispetto ai maschi, anche nei casi in cui solo la madre era stata obesa da adolescente. Lo studio in questione dimostra in maniera forte la familiarità dell’obesità nella tarda pubertà, talché i suoi autori affermano un forte supporto per la trasmissibilità genetica di questa condizione; tuttavia, su questo ultimo punto vi è da riflettere e approfondire la questione in maniera da considerare alcuni fattori confondenti che non sono stati esplicitamente esaminati nello studio in questione.

Questi fattori sono prevalentemente di tipo cognitivo/culturale, e sono legati all’ambiente socio-familiare in cui sono cresciuti i genitori dei ragazzi poi ritrovati obesi.

Se questo ambiente favorisce una dieta sbilanciata e ipercalorica all’età in questione, per esempio, perché culturalmente si ritiene che i ragazzi debbano essere nutriti con particolare entusiasmo – come dimostrabilmente accade in molte culture mediterranee – è possibile che il fattore di rischio sottostante e il meccanismo di trasmissione siano culturali, invece che genetici. La differenza fra i due sessi può parimenti essere facilmente spiegata anch’essa nella diversità culturale dei ruoli assegnati a maschi e femmine, con le attività fisiche di gioco e di sport prevalenti in un sesso rispetto all’altro in molte culture tradizionali, combinate con un intrinseco rischio biologico minore di obesità puberale dovuto a fattori fisiologici.

E’ importante ricordare quanto potrebbe essere importante modificare il comportamento rispetto alle abitudini familiari consolidate e trasmesse di generazione in generazione, per evitare di adagiarsi in quello che potremmo chiamare “l’alibi genetico”; in attesa di maggiori approfondimenti di una familiarità legata alla particolare età considerata, che possano con maggiore solidità ancorare il rischio riscontrato alla genetica – un rischio che sarebbe sorprendentemente alto e trasmissibile, ben più di molti altri caratteri ereditari – conviene quindi considerare provata la familiarità, ma non il suo meccanismo, e continuare a seguire il consiglio e l’avviso di medici e nutrizionisti per quel che riguarda il mantenimento della forma fisica a ogni età.

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