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Cattivi scienziati

Come il genoma di un microscopico animale potrebbe regalarci nuovi antibiotici

Enrico Bucci

I rotiferi, piccolissimi animali con molte curiose caratteristiche, acquisiscono e modificano il DNA dei microrganismi. Fra i geni di cui si sono impadroniti, ve ne sono molti che servono a produrre antibiotici, di un tipo che potrebbe rivelarsi particolarmente adatto all’essere umano

Da bambino e da adolescente passavo ore a guardare dentro gocce d’acqua stagnante attraverso il vecchio microscopio di mio padre. Nel microcosmo in miniatura che si dipanava davanti al mio occhio, fra tutti mi affascinavano particolarmente alcuni piccolissimi e scattanti animaletti, così piccoli da essere invisibili ad occhio nudo e trasparenti, eppure completi di muscoli, organi e di ogni altra componente che distingue un animale dagli esseri unicellulari e dai batteri che a quella scala dimensionale abbondano. Questi animali si chiamano rotiferi bdelloidi, e dopo averli osservati per anni come naturalista in erba, ne ho poi approfondito lo studio durante gli anni di università, scoprendone le molteplici interessanti caratteristiche, fra cui una di particolare rilievo: si tratta di animali che depongono uova, ma, fino ad oggi, non è mai osservato un maschi, per cui le femmine si riproducono per partenogenesi, creando copie identiche di sé stesse.

Questo, da un punto di vista evolutivo, è un problema non irrilevante, perché, senza il sesso, la variabilità genetica si restringe di molto, e negli animali può facilmente portare all’estinzione per mancanza di varianti adatte quando insorge uno stimolo selettivo; ma gli animaletti in questione hanno trovato una soluzione, che consiste sostanzialmente nell’appropriarsi di un’enorme quantità di DNA esogeno, soprattutto da batteri, ma probabilmente anche da piante, per introdurre varietà genetica nel proprio stesso genoma.

Si tratta cioè di un altro esempio di quella ingegneria genetica naturale che, anche negli animali, produce OGM per via spontanea ed incontrollata di continuo, così da presentare alla selezione naturale sempre nuove varianti come materia prima per l’evoluzione.

Fin qui, quello che era ben noto; ma oggi si è compiuto un nuovo passo, che dovrebbe rendere chiaro al lettore l’interesse più ampio di tale gruppo di animali, al di là della passione specifica di qualcuno come il sottoscritto o dei professionisti che popolano certe ristrette nicchie dei dipartimenti di zoologia.

In un nuovo lavoro appena pubblicato su Nature Communications, è emerso infatti una delle funzioni principali dei geni “rubati” ai batteri dai rotiferi: si tratta di sequenze di DNA alla base della produzione di molecole dalla potente funzione antibiotica, che aiutano i ladri a difendersi dalle infezioni cui sarebbero soggetti nell’ambiente brulicante di ogni tipo di microrganismo in cui vivono.

In particolare, fra i tanti esempi ritrovati nello studio genetico appena pubblicato, i ricercatori ne hanno testato uno che ha una proprietà particolarmente interessante: è attivo contro un parassita fungino, ovvero uno dei componenti di quella classe di patogeni che sono particolarmente difficili da colpire con antibiotici, perché più simili per costituzione all’ospite che infettano, il che aumenta la difficoltà di individuare farmaci che colpiscano specificamente il parassita senza danneggiare appunto l’ospite.

A parte questo caso particolare, che dimostra la miniera di potenziali composti utili che potrebbero nascondersi nel DNA dei rotiferi, vi è un’altra considerazione importante da fare.

L’ampio numero di geni che i rotiferi hanno sottratto ai microrganismi appaiono aver subito una successiva evoluzione nel loro genoma, un adattamento cioè alla fisiologia animale di molecole di origine microbica. Questo è particolarmente utile, perché significa che le probabilità di trovare composti ad azione antibiotica che siano poco tossici per l’organismo animale (e quindi umano) aumentano significativamente, grazie all’evoluzione cui i composti batterici originali sono stati sottoposti nel genoma dei rotiferi.

Da queste poche note ricavate dalla lettura di quest’ultimo lavoro, il lettore può trarre la viva impressione di cosa sia, in realtà, la rivoluzione genomica in atto nei primi decenni di questo millennio: una vera caccia alle informazioni nascoste non tanto o non solo nel nostro DNA, ma in tutto quello che la natura ha selezionato per miliardi di anni, trasmettendo dati resi intellegibili dalla ricerca scientifica in un unico codice in una moltitudine di organismi viventi.

“La filosofia [della natura] è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto dinanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscere i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica”, scriveva Galileo nel Saggiatore. Ma oggi, sempre più ci si sta dipanando agli occhi quello che potremmo considerare un caso particolare di quanto intuì Galileo: il gran libro della vita è scritto nei caratteri del codice genetico, e quei caratteri, sempre più, ci stanno raccontando storie intellegibili, complesse, affascinanti e persino utili.

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