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Cattivi scienziati

Perché ridiamo? Una risposta e un nuovo libro

Enrico Bucci

La risata è stata per molto tempo giudicata esclusiva dell’essere umano ma non è così, né dal punto di vista etologico né da quello neurobiologico: ancora una volta, dobbiamo scendere dal nostro piedistallo. Sono in molti gli animali che potranno ridere dei nostri pregiudizi

Quest’anno, il 14 marzo, è morto uno dei più importanti studiosi di comportamento animale, e particolarmente dei primati, ovvero Frans de Waal.

Il lascito più importante della sua meravigliosa carriera di scienziato e divulgatore può essere riassunto in questo modo: contrariamente a certi ministri nostrani, che sostengono che “l’uomo è l’unico essere senziente” , de Waal ha dimostrato con un’impressionante messe di dati sperimentali e di pulite interpretazioni teoriche come in realtà l’essere umano, dal punto di vista cognitivo, emotivo, comunicativo/linguistico, “morali”, e in breve per qualunque di quelle facoltà “superiori” che siamo soliti autoattribuirci in via esclusiva, è in realtà parte di uno spettro continuo, che vede a volte altri animali superarci e che certamente vede molto spesso il gruppo animale a noi più prossimo, quello dei primati, condividere a livelli variabili tutte le nostre per nulla uniche capacità.

Proprio in questo spirito va a collocarsi un nuovo libretto appena uscito per i tipi del Mulino, intitolato “Perché ridiamo”, con sottotitolo “Alle origini del cervello sociale”, di cui val certamente la pena riferire al lettore. Gli autori, il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi, conoscono molto bene De Waal, con cui hanno collaborato e di cui sono stati anche amici; non potevano, quindi, che condividerne la grande visione generale, quella che potremmo chiamare del “continuismo” tra la mente animale e quella umana.

Ma il veicolo che hanno scelto per portare al lettore alcune fra i più interessanti e recenti sviluppi negli studi del comportamento e del funzionamento del nostro cervello è insolito, e ha in sé stesso un notevole e inaspettato interesse: si tratta delle ultime acquisizioni nell’interpretazione della risata e del sorriso, comportamento umano diffusissimo, indipendentemente dalla cultura, e con una base innata, se guardiamo agli studi sui neonati.

Seguendo il filo del discorso, scopriamo innanzitutto due elementi: che il comportamento in questione non è affatto esclusivamente umano, e che anzi deve essere emerso più volte indipendentemente nella storia evolutiva di diverse specie animali, e che le interpretazioni anche bimillenarie che ci hanno dato principalmente i filosofi, e solo molto più recentemente altri studiosi, sono al meglio incomplete, quando non fuorvianti. In breve, queste interpretazioni, che alternativamente vedevano la funzione della risata come una manifestazione di superiorità, oppure di sollievo, oppure di reazione a un’inconsistenza “umoristica” oppure ancora legata a qualche altra particolare funzione, possono essere riunite sotto un solo, grande cappello, ci dicono gli autori: la funzione comunicativa e sociale, con aspetti di rinforzo del legame sociale di un gruppo contro un nemico comune (la risata di scherno), di comunicazione di gradimento (dal sorriso alla risata aperta), e persino di tipo conversazionale, come mostrano gli studi sul posizionamento del riso volontario in punti precisi di un discorso e in modo diverso da vari interlocutori in culture diverse – si pensi per esempio alla risata usata per sottolineare una pausa.

Non solo: alla discussione della funzione del riso, gli autori accompagnano anche un’approfondita disamina della circuiteria cerebrale sottostante al comportamento in questione, mostrando come in realtà esistano almeno due diverse e complesse reti cerebrali sottostanti alla risata, le quali sono sia in grado di evocare la risposta motoria che, soprattutto, di generare quella emotiva, il che spiega in maniera accurata perché e come ridere e sorridere abbiano un effetto reale sul benessere delle persone. Si noti bene: proprio come il modulo comportamentale, così anche la circuiteria neurale sottostante, almeno nelle specie studiate e descritte nel libro, appare ben conservata almeno nei suoi elementi fondamentali, così che ancora una volta la visione di de Waal trova un forte elemento di conferma nell’argomento particolare trattato dai due scienziati italiani.

Come tutti i libri che suscitano curiosità e pensieri, oltretutto illuminando con un argomento che sembrerebbe ristretto quello che è il vasto mare di molte discipline – etologia, sociologia, scienze della comunicazione animale, neurobiologia e a tratti persino filosofia – anche questo testo, naturalmente, suscita molte domande, tanto più che l’argomento trattato è si antico, ma i risultati presentati sono nuovissimi. Per un biologo quale il sottoscritto, gli aspetti evoluzionistici sono fra i più interessanti: se guardiamo a specie sociali al di fuori dei mammiferi, dall’elevata capacità cognitiva ma con un cervello diverso, come i corvidi, riscontriamo comportamenti analoghi alla risata, e su quali basi neurali? Ovvero, detto in altre parole: fin quanto si è spinta l’evoluzione convergente delle specie sociali, nel rispondere alla selezione con comportamenti analoghi e paralleli? E poi ancora: i circuiti di rilascio degli oppioidi attivati dalla risata nei mammiferi sembrano essere molto simili, ma, sempre nei corvidi, è possibile ipotizzare il rilascio di molecole a scopo simile, che siano cioè in grado di provocare una sensazione di benessere, a seguito della condivisione di una bella “risata con gli amici”?

In ogni caso, possiamo esser certi di poterci unire a una vasta schiera di animali capaci di ridere, e forse dovremmo proprio sorridere proprio del nostro radicato senso di superiorità, che ci spinge costantemente alla ricerca di inesistenti spazi vuoti fra noi e gli altri viventi.

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