Cattivi scienziati

No, il cellulare non causa il cancro al cervello

Enrico Bucci

Uno studio commissionato dall'Oms e appena pubblicato conferma che un uso prolungato del telefonino non aumenta i rischi. Si spera che adesso, almeno per quanto riguarda i tribunali, non ci si lasci più fuorviare da certi esperti interessati a mantenere il proprio ruolo di attivisti

Nel nostro e in altri paesi, di tanto in tanto, qualche giudice stabilisce che i cellulari sono dannosi per la salute umana, appoggiandosi a perizie o pubblicazioni che in genere provengono da isolati individui, i quali hanno sostituito la propria agenda di attivisti a quella dello scienziato. Per questo motivo, è molto interessante riportare i risultati di uno studio commissionato dall’Oms e appena pubblicato, curato da 11 esperti indipendenti provenienti da 10 paesi che hanno esaminato circa 5.000 studi pubblicati tra il 1994 e il 2022.
 

Scopo di questo imponente lavoro è stato esaminare tutte le prove disponibili, per determinare se una maggiore esposizione alle frequenze radio comunemente utilizzate dai dispositivi elettronici wireless, compresi i cellulari, potesse aumentare le possibilità di una diagnosi di cancro al cervello. Dopo la necessaria procedura di filtraggio qualitativo, che serve a eliminare studi non pertinenti, incompleti, affetti da errori o bias, gli esperti hanno identificato 63 lavori, corrispondenti a un elevatissimo numero di soggetti osservati.
 

Come ampiamente prevedibile sia sulla base di considerazioni teoriche, che sulla base di tutte le ricerche di alta qualità note, il rischio di cancro al cervello non è risultato aumentato, anche in presenza di uso prolungato del cellulare per dieci o più anni, quando sono stati paragonati soggetti che usano intensivamente il cellulare a soggetti che lo usano poco o per nulla (dato ricavabile dal tempo totale di chiamata giornaliera, registrato dagli apparecchi). Non si sono neppure riscontrati rischi aumentati di leucemia o cancro al cervello in bambini esposti a trasmettitori radiofonici o televisivi o al campo generato dai ripetitori di telefoni cellulari.
 

In sostanza, nonostante nel periodo osservato l’uso dei cellulari e l’esposizione ai campi generati a contatto con l’orecchio sono esponenzialmente aumentati, non si è osservato alcun aumento di rischio per le patologie principalmente temute come possibile conseguenza.
 

Di conseguenza, le preoccupazioni per la prima volta sollevate nel 2011, quando l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro classificò l'esposizione alle onde radio come possibile cancerogeno per l'uomo non si sono concretizzate, il che è perfettamente comprensibile, dato che quel “possibile”, molte volte attaccato a fattori diversi, si riferisce alla valutazione fatta nel 2011 su un gran numero di studi in vitro e su animale, di qualità poco selezionata, con pochissimi dati su esseri umani.
 

Proprio in conseguenza di quella classificazione, sono stati poi fatti moltissimi studi, il che ha spinto l’OMS a dare il nuovo incarico dopo che la sua agenzia aveva espresso nel 2011 il citato giudizio; e i nuovi dati, di molto migliorati in quantità e qualità, sono coerenti con il fatto che i campi generati, a partire dall’uso del 3G e del 4G, corrispondono a emissioni di radiofrequenza di livello molto basso, tale da non poter interagire con i tessuti con nessun meccanismo noto, se non generando (al massimo) un po’ di calore localizzato.
 

Per quel che poi riguarda il 5G, non ci sono studi specifici, ma gli studi sui radar, che hanno frequenze elevate non troppo dissimili, non mostrano alcun aumento di rischio per le patologie considerate. Come al solito, le nuove tecnologie inducono sempre paura, soprattutto da quando la sfiducia nei controlli istituzionali preventivi è diventata scarsa ed è stata abbattuta per motivi di consenso elettorale o di guadagno; ma si spera che adesso, almeno per quanto riguarda i tribunali, non ci si lasci più fuorviare dallo cherry-picking di certi esperti interessati a mantenere il proprio ruolo di attivisti.

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