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Cattivi scienziati

Creare una cellula da zero

Enrico Bucci

È da secoli che filosofi e scienziati dibattono su quale sia il significato della vita. Nel frattempo, uno studio è riuscito a capire come costruire cellule sintetiche complesse e funzionanti, del tutto analoghe alle nostre

A Richard Feynman, il fisico teorico che ricevette il premio Nobel nel 1965 per il suo lavoro sullo sviluppo dell'elettrodinamica quantistica nonché uno dei più brillanti divulgatori della scienza, è attribuita la famosa frase "ciò che non posso creare, non lo capisco". Se interpretiamo questa frase nel senso che solo quando si è in grado di riprodurre un sistema fisico di interesse si è davvero compreso in cosa consiste e come funziona, possiamo assumere che uno dei test migliori per la nostra comprensione della vita consista nella nostra capacità di ricostruirla da oggetti fisici che classifichiamo come non viventi.

Poiché che cosa sia la vita è oggetto di un dibattito secolare, che coinvolge tanto scienziati quanto filosofi, per evitare di impantanarci nelle definizioni sceglieremo arbitrariamente ciò che si considera oggi universalmente vivo e alla base di tutti i viventi: la cellula. Siamo in grado di costruire una cellula, senza partire da un’altra cellula o da un qualunque altro sistema vivente più o meno complesso? Il che implica, seguendo la citazione in apertura: abbiamo capito davvero che cosa sia una cellula, fino al punto di poterne costruire una da componenti il più possibile elementari?

Fino ad oggi, molti sistemi artificiali, costituiti da involucri di varia natura contenenti miscele chimicamente attive, capaci in qualche caso di replicarsi, sono stati prodotti in un numeroso stuolo. Possiamo chiamare questi involucri bioreattori, e certamente sono molto utili tanto per capire come funziona la biologia di base, quanto per studiare possibili modi futuri di ottimizzare la produzione di diversi composti utili - dai farmaci, agli alimenti ed altre molecole utili, fino ad arrivare ai biocarburanti.

Tuttavia, si tratta sempre, invariabilmente, di sistemi artificiali con una complessità interna ben al di sotto anche della più semplice cellula batterica; manca, cioè, la complicata architettura interna di ogni cellula, e si è ottenuto poco più di un reattore miniaturizzato, includente una soluzione chimica attiva, più o meno capace di scambiare con l’esterno reagenti e prodotti, ma priva di ogni architettura molecolare complessa tipica delle cellule viventi.

Un nuovo lavoro, da poco pubblicato su PNAS, compie un passo decisivo verso la costruzione dei primi sistemi artificiali che potremmo chiamare cellule sintetiche. Grazie ad una semplificazione procedurale notevole, gli autori sono riusciti ad ottenere infatti vescicole contenenti al loro interno altri compartimenti membranosi, proprio come avviene nelle nostre cellule. Inoltre, sono riusciti a porre selettivamente all’interno di un compartimento informazione genetica funzionante, così da poter codificare per qualunque proteina di interesse; a tutti gli effetti, hanno imitato la funzione del nucleo di una cellula, quale contenitore del DNA codificante.

         

 

In aggiunta, sono riusciti a fare in modo che la vescicola “nucleo” interna alla cellula artificiale, e solo quella, fosse dotata di opportuni “pori nucleari”, costituiti da un’apposita proteina di membrana, anche in questo caso imitando il nucleo delle cellule viventi. Hanno quindi fatto sintetizzare nel “nucleo” del loro sistema artificiale (contrariamente a quanto avviene nelle cellule viventi) un particolare enzima, in grado di reagire con un certo substrato presente nella cellula artificiale, ma solo al di fuori del nucleo. Il prodotto della reazione è di colore blu; e così, i ricercatori sono stati in grado di dimostrare che solo se erano presenti i “pori nucleari” si produceva il blu, che veniva prodotto solo fuori dal nucleo quando l’apposito enzima ivi sintetizzato diffondeva verso l’esterno.

Fermiamoci un attimo a riflettere su questi risultati.

I ricercatori hanno ottenuto un’architettura funzionante, con un nucleo capace di trasportare informazione codificante per qualsiasi voglia enzima, e con una struttura complessa, in grado di controllare il flusso di informazione e prodotti dal nucleo stesso al “citoplasma” artificiale, ove avvengono ulteriori e diverse reazioni. Il tutto utilizzando “pezzi” costituiti tanto da macromolecole biologiche quanto da componenti del tutto diversi da quelli che si trovano negli esseri viventi (per costruire membrane e “citoplasma”. Siamo all’inizio, perché questo sistema, tanto per cominciare, non ha un metabolismo su cui sostenersi, non è in grado di riprodursi e non può trasmettere informazione genetica in grado di mutare nel tempo.

Tuttavia, la versatilità che si intravede in termini di proteine sintetizzabili e soprattutto la capacità dimostrata di costruire “organelli” in un sistema artificiale costituiscono un notevole passo avanti rispetto ai bioreattori precedenti; inoltre, è notevole il fatto che sia possibile ottenere “cellule artificiali” strutturate al loro interno con poco più di una semplice ultracentrifuga di laboratorio. Siccome poi i più semplici bioreattori precedentemente ottenuti, in qualche caso, sono già stati in grado di replicarsi e di replicare un semplice codice genetico di RNA al loro interno, è possibile cominciare ad intravedere i successivi passi ricombinando risultati che provengono da gruppi diversi della vivace comunità al lavoro sulla “cellula artificiale”. Sarà interessante vedere se arriveremo prima a riprodurre una cellula a partire da zero, oppure a capire come essa si è potuta spontaneamente originare sul nostro pianeta.

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