Fisica, reti e "Progetto Manhattan"
Il Nobel del Dubbio al padrino pentito dell'intelligenza artificiale
Il premio Nobel per la Fisica, in coppia con John Hopfield, è andato a Geoffrey Hinton, uno dei precursori dell'Intelligenza artificiale. Che però l'anno scorso abbandonò Google per denunciare "i pericoli”. Paure che richiamano i tormenti degli scienziati nucleari che nel Novecento lavoravano alla Bomba atomica
Scegliere di scomparire nel nulla su un traghetto in mezzo al Tirreno per il rifiuto morale e preventivo di partecipare al progetto della Bomba, come Ettore Majorana, sarebbe stato senza dubbio un azzardo eccessivo. In primo luogo perché nessuno, malgrado tutte le interrogazioni oggi possibili a computer quantistici e reti neuronali, è ancora in grado di dire se l’Intelligenza artificiale sia la Nuova Bomba, anzi ancora più devastante per l’umanità, o se sia invece la nuova pietra filosofale di ogni progresso felice. E poi Majorana era Majorana, un giovane filosofo scienziato divorato dalle sue formule che sconfinavano nella metafisica. Molto meglio acconciarsi, come lo scienziato britannico-canadese Geoffrey Hinton, al sorriso da cerimonia e farsi comminare il premio Nobel per la Fisica – assieme allo statunitense John Hopfield – in virtù delle ricerche di tutta una vita per le quali è oggi considerato “The Godfather of AI”. Anche se proprio di quella nuova bomba, in grado di scardinare le nostre conoscenze e il nostro stesso controllo sulla conoscenza, si era dichiarato pentito.
Nel maggio dello scorso anno Hinton – di formazione psicologo e informatico, pioniere delle ricerche sulle “reti neuronali” – aveva abbandonato Google, di cui era vicepresidente e dove dirigeva i progetti relativi all’Intelligenza artificiale. Non si nascose nella Certosa di San Bruno in Calabria, come immagina Sciascia per Majorana, ma decise di “poter parlare liberamente dei pericoli dell’intelligenza artificiale”. Non che ce l’avesse con la creatura in sé, del resto nessuno dei fisici nucleari che poi lavorarono al Progetto Manhattan avevano troppi dubbi sui loro studi e su quel che ne avrebbero generato mentre, negli anni Trenta del Novecento, studiavano la fissione dell’atomo. Disse però Hinton al New York Times: “E’ difficile capire come potremmo impedire ai malintenzionati di usarla per scopi negativi”. E ancora oggi, a Nobel assegnato: “Non possiamo escludere la possibilità che sfugga al nostro controllo”. Che abbiano dato il Nobel a un pentito di una scienza potenzialmente anti umana e proprio per aver contribuito al suo progresso – assieme a Hopfield che nella sua lunga vita a Princeton ha studiato come immagazzinare nella memoria delle macchine immagini e altri dati – contiene un filo di ironia filosofica. Senza arrivare alla “semplice e penosa constatazione” di Sciascia, secondo cui “si comportarono da uomini liberi gli scienziati che per condizioni oggettive non lo erano. E si comportarono da schiavi, furono schiavi, coloro che godevano una condizione oggettiva di libertà. Schiavi coloro che la fecero”, l’alone del dubbio, o incubo, etico aleggia su questa edizione nel Nobel. Ovvio, Sciascia nel suo libro su Majorana, sui ragazzi di via Panisperna e sul cammino dei progenitori dell’Atomica affronta dilemmi morali molto più gravi, anche perché le conseguenze s’erano già viste all’opera. Ma non è di poco conto che oltre alla decisione di Hinton di abbandonare la “Los Alamos” dell’Intelligenza artificiale, in poco tempo lo scorso anno, mentre per la prima volta i risultati dell’IA applicata ai linguaggi “umani” conquistavano la scena del grande pubblico mondiale, molti e insospettabili apocalittici fossero usciti allo scoperto, incarnando domande di tutti. Persino Barack Obama disse: “Chi distinguerà tra me e un mio avatar creato dall’IA?”, e oggi sembra una profezia della campagna presidenziale in corso. Persino Elon Musk si fece promotore della lettera aperta “Pause Giant AI Experiments”, per una moratoria sulla AI, firmata anche dal ceo di Apple, Steve Wozniak e dal filosofo Yuval Noah Harari. Del resto già nel 2019 Sam Altman, fondatore di OpenAi, combatteva con i dubbi: “Sto facendo qualcosa di buono? O qualcosa di molto cattivo?”. Si direbbe che ora Altman li abbia risolti, i dubbi. Noi umani, invece, ci sentiamo tutti come piccoli scienziati sperduti su un traghetto in mezzo al mare. Premi Nobel per il dubbio. Chissà.
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