Cattivi scienziati
I batteri “resistenti” non sono solo nemici. Ma per conviverci bisognerà evolvere
Nel suo nuovo libro, Michele Bartoletti analizza la crisi della della resistenza antibiotica proponendo strategie pratiche per incentivare ricerca e innovazione, per evitare l'automedicazione e salvaguardare il ruolo dei farmaci salvavita
Michele Bartoletti, professore di Malattie Infettive presso l’Università Humanitas e direttore dell’Unità di Malattie Infettive all’Humanitas Research Hospital, è un esperto riconosciuto nel campo delle infezioni batteriche gravi e della gestione di pazienti in terapia intensiva, dove le infezioni resistenti agli antibiotici rappresentano una sfida quotidiana. La sua carriera, segnata da numerosi studi e pubblicazioni scientifiche, lo ha portato a sviluppare un approccio pratico e informato, basato su un’intensa esperienza clinica. Bartoletti non si limita a identificare le criticità della resistenza antimicrobica, ma cerca di fornire soluzioni concrete, enfatizzando la necessità di strategie multidisciplinari e innovative.
Nel suo libro, “Batteri resistenti. La sfida della convivenza”, edito dal Mulino, Bartoletti ci fa entrare nei reparti ospedalieri dove la crisi della resistenza antibiotica è evidente e tangibile, con pazienti che lottano contro infezioni che, fino a pochi anni fa, erano facilmente curabili. Il suo è un approccio diretto, volto a rendere chiara l’urgenza della situazione anche a chi, fuori dagli ospedali, non percepisce pienamente la gravità della crisi. Bartoletti descrive con intensità le difficoltà di chi lavora in prima linea, cercando di curare pazienti senza più avere a disposizione farmaci efficaci. La sua testimonianza è potente, coinvolgente, e porta il lettore a confrontarsi con una realtà drammatica che è spesso ignorata.
Ma Bartoletti non si ferma a descrivere la crisi, come molti libri pubblicati recentemente fanno: egli alza lo sguardo e propone una visione ecologica e darwiniana del problema, quella che secondo lui è la prospettiva migliore quando si affrontano i parassiti. Sottolinea che, sebbene l’ultimo decennio abbia visto dei miglioramenti grazie all’investimento nella ricerca di nuove classi di antibiotici, l’approccio farmacologico da solo è, per definizione, insufficiente. È necessario considerare i batteri non solo come nemici, ma come parte di un sistema più ampio che richiede soluzioni diversificate. Per questo, Bartoletti parla di “convivenza consapevole”: non si tratta di eliminare i batteri, ma di imparare a coesistere con loro, minimizzando la loro capacità di adattamento e resistenza. Questo approccio implica un uso degli antibiotici estremamente responsabile e selettivo, ma va oltre il semplice approccio farmacologico.
Bartoletti esplora strategie innovative, come l’uso dei fagi – virus che infettano e distruggono specifici batteri – visti come “predatori di batteri” che possono essere usati per contrastare le infezioni resistenti senza ricorrere a sostanze chimiche tradizionali. Analizza come minimizzare la fitness darwiniana dei batteri resistenti, cioè ridurne la capacità di sopravvivenza e riproduzione, sfruttando le vulnerabilità che questi organismi sviluppano nel tentativo di resistere agli antibiotici. A questo si unisce la necessità di una responsabilità maggiore nell'uso di qualsiasi rimedio, non solo in ambito medico, ma anche in contesti agricoli e ambientali, dove l’uso indiscriminato degli antibiotici continua a favorire la comparsa di ceppi resistenti.
L'approccio di Bartoletti non si limita a un'analisi teorica: è fondato su una solida base di evidenze raccolte nel contesto clinico. La sua esperienza diretta nei reparti di terapia intensiva gli permette di parlare con autorevolezza di una crisi che è già in atto, ma che potrebbe diventare ancora più drammatica senza interventi adeguati. Nonostante la durezza della diagnosi, Bartoletti è tutt'altro che fatalista: propone soluzioni pratiche, come politiche sanitarie che incentivino la ricerca e l'innovazione, e l'adozione di misure preventive, tra cui l’educazione pubblica per evitare l’automedicazione e promuovere l’uso consapevole degli antibiotici.
Il libro non è solo un’analisi della crisi, ma un invito ad agire, a rivedere il nostro rapporto con i microbi e a integrare nuove soluzioni scientifiche con pratiche più responsabili. Con *Batteri resistenti*, Bartoletti riesce a spiegare un problema complesso in modo chiaro e coinvolgente, proponendo un modello di convivenza che punta a garantire un futuro in cui gli antibiotici possano ancora svolgere il loro ruolo di farmaci salvavita, integrati da una gamma di approcci innovativi che rendano più difficile la vita ai batteri resistenti.
Questo libro rappresenta un eccellente esempio di quell'approccio darwiniano alla medicina che molti esperti auspicano, ma che solo pochi medici hanno intrapreso con decisione. Bartoletti, infatti, non si limita a d auspicare nuove soluzioni farmacologiche del problema, ma inquadra in maniera semplice anche per chi ne è digiuno le dinamiche evolutive alla base della resistenza batterica. La sua visione, che possiamo a buon diritto definire ecologica, non si concentra solo su un tentativo definitivo quanto difficilmente realizzabile di eliminazione dei patogeni, ma mira a comprendere e gestire il loro ruolo nel contesto più ampio dell'ambiente microbico e dell'ecosistema umano. Questo tipo di approccio, che considera le malattie infettive come un fenomeno darwiniano e non solo clinico, si è dimostrato promettente anche in altri ambiti della medicina, come la lotta contro il cancro. Nel cancro, ad esempio, l'adattamento evolutivo delle cellule tumorali a terapie aggressive ha portato a una crescente attenzione verso strategie di controllo che riducono la possibilità di resistenza, anziché puntare a una distruzione totale del tumore. Allo stesso modo, Bartoletti suggerisce che, per affrontare la resistenza batterica, dobbiamo adottare una visione di lungo termine, in cui l'ecologia, la biologia evolutiva e la pratica clinica lavorano in sinergia per trovare soluzioni sostenibili e durature: lo scopo deve essere quello di diminuire la fitness dei nostri patogeni, ed in questo dobbiamo usare strategie adattative che inseguano efficacemente l’evoluzione dei patogeni, invece di funzionare da spinta selettiva per l’accelerazione dell’insorgenza di resistenza.