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Cattivi scienziati

Come combattere Xylella usando l'Rna

Enrico Bucci

Per controllare in maniera più efficace il batterio che sta devastando gli oliveti italiani, i ricercatori hanno esplorato un approccio sostenibile capace di spegnere selettivamente i geni chiave degli organismi bersaglio, riducendo la capacità di trasmissione nelle piante

Cecilia Parise e Domenico Bosco dell’Università di Torino, insieme a Luciana Galetto, Simona Abbà e Cristina Marzachì dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante (Cnr) sempre di Torino, stanno sviluppando un metodo all’avanguardia per fermare un’emergenza fitosanitaria che sta devastando gli oliveti italiani. La loro ricerca si concentra sul batterio Xylella fastidiosa, responsabile della sindrome del disseccamento rapido dell’olivo, che colpisce le piante e provoca enormi danni economici. Xylella si diffonde tramite un piccolo insetto, Philaenus spumarius, noto come sputacchina, che si nutre della linfa delle piante e trasmette il batterio mentre si sposta di pianta in pianta. Tradizionalmente, il controllo di questo vettore avviene attraverso l’uso di insetticidi, ma questa soluzione ha molti limiti: oltre all’impatto ambientale, non garantisce un controllo efficace e può colpire anche specie non target.

 

                  

 

Per superare questi ostacoli, i ricercatori hanno esplorato un approccio alternativo e sostenibile, basato sulla tecnica dell’interferenza dell’Rna (Rnai), una metodologia biologica capace di spegnere selettivamente i geni chiave degli organismi bersaglio. La Rnai utilizza piccole molecole di Rna a doppio filamento (dsRna) per bloccare l’espressione di specifici geni, essenziali per la sopravvivenza e il normale sviluppo dell’insetto. Funziona come un silenziatore genetico: una volta che il dsRna viene introdotto nell’insetto, si lega al suo Rna messaggero (mRna), ossia la molecola che trasporta le istruzioni per produrre proteine vitali, e lo degrada, impedendo la sintesi della proteina.

Per colpire la sputacchina, i ricercatori hanno selezionato due geni bersaglio: la Atp sintasi beta e la laccasi (Lacc1). Il primo è fondamentale per la produzione di energia nelle cellule dell’insetto e il suo blocco ne compromette la vitalità; il secondo è coinvolto nella pigmentazione e nella robustezza della cuticola, determinanti per la sua protezione e sopravvivenza. Silenziando questi geni, l’obiettivo è di indebolire l’insetto e ridurne la capacità di trasmettere Xylella.

Per provare la bontà dell’approccio, i ricercatori hanno dovuto innanzitutto dimostrare che la tecnica Rnai sia utilizzabile nell’insetto bersaglio: essa dipende infatti specificamente da una precisa risposta molecolare, e non è possibile dare per scontato che ogni organismo vivente sia ugualmente in grado di attuarla.

I ricercatori di Torino hanno quindi utilizzato la microiniezione diretta, consistente nell’iniettare una soluzione di dsRna negli adulti di sputacchina. Gli insetti, anestetizzati e microiniettati con dsRna, sono stati monitorati per 24 giorni per analizzare gli effetti del trattamento sul livello di espressione dei geni bersaglio. I risultati sono stati straordinari: il gene della Atp sintasi beta ha mostrato una riduzione della sua attività fino a sette volte rispetto al gruppo di controllo, evidenziando come l’approccio basato su Rnai possa interferire efficacemente con la produzione di energia dell’insetto. Inoltre, il dsRna somministrato si è diffuso in tutto l’organismo: l’effetto è stato osservato non solo nella zona vicina al sito di iniezione, ma anche in altri distretti corporei, come la testa, suggerendo che il dsRna può essere trasportato sistematicamente nell’intero organismo, un aspetto cruciale per il successo dell’approccio Rnai.

Una volta assodato che la sputacchina è suscettibile di attacco mediante la tecnica Rnai, si è proceduto ad un esperimento che possa dimostrare l’applicabilità dell’approccio su larga scala: la squadra di ricercatori ha infatti studiato un metodo di somministrazione all’insetto direttamente attraverso le piante da quello parassitate. Le ninfe, ossia gli stadi giovanili della sputacchina, sono state alimentate su germogli immersi in una soluzione di dsRna. Questo dsRna, assorbito dalle radici e dai tessuti della pianta, viene trasportato attraverso il sistema vascolare fino alle foglie. Le ninfe si sono così nutrite della linfa contenente dsRna, assorbendo il composto in modo naturale e non invasivo. Anche in questo caso, i risultati sono stati notevoli: l’espressione dei geni bersaglio è crollata, in particolare quella della laccasi, con effetti particolarmente visibili nelle fasi giovanili, quando il gene è più attivo per la formazione della pigmentazione e della cuticola dell’insetto.

Bisogna considerare che l’approccio è molto specifico: i ricercatori, per esempio, hanno convincentemente dimostrato che le molecole di Rna da loro utilizzate per la sputacchina non sarebbero in grado di agire sulle api, perché – come al solito – è possibile utilizzare la sequenza di Rna come un “Messaggio specifico” per uno ed un solo tipo di organismo, sfruttando le differenze genetiche che l’evoluzione ha prodotto fra specie diverse.

Questi risultati sono estremamente promettenti. Confermano non solo che la Rnai è efficace sulla sputacchina, ma che questa tecnica può essere applicata in modo sostenibile, somministrando il dsRna attraverso le piante, riducendo così la necessità di interventi diretti sugli insetti e rispettando l’ambiente. La presenza di piccole molecole di Rna derivate dal dsRna nei campioni analizzati ha confermato che il meccanismo di silenziamento è stato attivato, aprendo nuove prospettive per la lotta biologica contro la diffusione della Xylella.

In futuro, i ricercatori esploreranno nuovi geni letali che, se bloccati, potrebbero aumentare l’efficacia del trattamento e ridurre ulteriormente le popolazioni della sputacchina. Inoltre, lavoreranno per ottimizzare il trasferimento del dsRna alle piante, puntando a sviluppare un sistema utilizzabile su larga scala, che protegga le coltivazioni di olivo, riduca il rischio per altre specie e preservi l’ambiente, offrendo una risposta innovativa a una delle più grandi sfide agricole italiane degli ultimi anni. Ancora una volta, le prospettive che si aprono utilizzando il linguaggio degli acidi nucleici per controllare patogeni di ogni tipo sono davvero straordinarie.

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