Cattivi scienziati
La comunità scientifica deve uscire dalla torre d'avorio, oggi più che mai
Un tempo considerata un faro di oggettività, la scienza si trova ora influenzata dall'affiliazione politica. In balia di una guerra ideologica che ne minaccia l'integrità e la credibilità. Una sfida per il nostro futuro
La politicizzazione della scienza è diventata una questione di estrema urgenza nel mondo intero, perché le discussioni scientifiche vengono sempre più strumentalizzate per rafforzare narrative politiche divergenti. In un mondo ideale, la scienza dovrebbe essere percepita come un campo neutrale, caratterizzato da evidenze oggettive e da un rigoroso metodo di indagine. Tuttavia, la realtà è che le divisioni politiche hanno gravemente compromesso la fiducia del pubblico nella scienza, ostacolando l'adozione di politiche cruciali su temi come il cambiamento climatico, la salute pubblica e la sicurezza alimentare; l’elezione di Trump e le scelte che sta operando per il suo futuro governo sono lì a dimostrarlo, se ancora ce ne fosse bisogno.
Sulla scorta di queste considerazioni, un’editoriale su Science intitolato “Science is neither red nor blue” mette in luce il fatto che la percezione della scienza è ormai influenzata dall'affiliazione politica, con conseguenze gravi sulla capacità di affrontare sfide globali. La polarizzazione ha reso difficile sviluppare politiche basate sulle migliori evidenze disponibili, e in molti casi, i dati vengono selezionati e manipolati in base a interessi specifici, anziché essere usati per orientare decisioni informate. La scienza, un tempo considerata un faro di oggettività, si trova ora in balia di una guerra ideologica che ne minaccia l'integrità e la credibilità.
L’autrice dell’editoriale propone che la comunità scientifica assuma un ruolo più attivo nel controllare il modo di comunicare i propri risultati. Suggerisce che gli scienziati collaborino con i politici per promuovere l'importanza di un approccio basato sui fatti, cercando di evitare interpretazioni che possano essere percepite come faziose. Si tratta di un compito tutt'altro che semplice: in un mondo in cui le informazioni viaggiano a una velocità senza precedenti, con le fake news che trovano terreno fertile tra chi è già incline a respingere le evidenze scientifiche, una comunicazione chiara e convincente è essenziale.
In un punto che è a mio giudizio cruciale, l’editoriale suggerisce quanto segue: “La comunità scientifica deve anche riconoscere meglio che potrebbe non essere utile enfatizzare il consenso nelle proprie raccomandazioni quando i valori sottostanti non sono universalmente condivisi. Ad esempio, sebbene la scienza possa affermare che il cambiamento climatico sta avvenendo ed è causato principalmente dalle emissioni di gas serra antropogeniche, la scienza può solo prevedere l'esito delle varie politiche che potrebbero essere emanate per affrontare il problema.”
Questo ragionamento è infatti pericoloso per diverse ragioni. Prima di tutto, assunto che enfatizzare il consenso scientifico non significa presentare la scienza come infallibile, ma sottolineare che le conclusioni raggiunte rappresentano la migliore conoscenza collettiva ottenuta attraverso decenni di ricerca rigorosa, negare l'utilità e l’importanza della rappresentazione palese di quel consenso rischia di confondere il pubblico e i decisori, rinforzando la credenza che la scienza sia soggetta a opinioni soggettive piuttosto che basata su un processo robusto e verificabile. È proprio la forza del consenso scientifico, quando viene raggiunto, a fornire un riferimento solido per le decisioni politiche, anche in presenza di incertezze intrinseche ed ineliminabili.
Soprattutto, sostenere che l'enfasi sul consenso scientifico possa essere poco utile perché i valori sottostanti non sono condivisi equivale a ridurre la scienza a una questione di opinioni, il che è un errore concettuale. I valori personali o politici possono influenzare le priorità delle politiche, ma non cambiano la realtà dei fatti scientifici. Il cambiamento climatico, ad esempio, non è meno reale perché qualcuno ha valori che non supportano azioni ecologiche. Se il consenso scientifico è chiaro, come nel caso del riscaldamento globale, è un dovere etico e pratico dei leader politici adottare misure basate su queste conoscenze, indipendentemente dai valori ideologici in gioco.
Infine, di fronte a un'ignoranza deliberata che minaccia la sicurezza pubblica e il pianeta, gli scienziati non possono limitarsi a fornire informazioni in modo imparziale; hanno il dovere morale di intervenire attivamente per contrastare la disinformazione e influenzare le decisioni politiche.
Il dovere etico degli scienziati non può essere infatti confinato alla ricerca e alla pubblicazione. In un’epoca in cui le decisioni cruciali per il futuro dell’umanità sono spesso basate su interessi di breve termine o su ideologie politiche, il silenzio non è più accettabile. Gli scienziati hanno l’obbligo morale di intervenire quando i dati vengono distorti o ignorati, specialmente se ciò può portare a conseguenze catastrofiche. Questo significa non solo rendere le scoperte accessibili e comprensibili, ma anche prendere posizione quando la migliore conoscenza scientifica di cui disponiamo è sotto attacco. Se questioni come il cambiamento climatico o le pandemie vengono trattate come argomenti politici anziché scientifici, è responsabilità della comunità scientifica fare tutto il possibile per spingere per politiche basate sui fatti.
Questa responsabilità etica richiede una presenza forte nel dibattito pubblico e una capacità di rispondere alle sfide con decisione e coraggio. Non significa diventare politicizzati, ma schierarsi dalla parte del benessere collettivo. Essere scienziati oggi comporta accettare questa responsabilità, consapevoli che il destino del pianeta è in gioco e che la scienza ha il potere di prevenire disastri, ma solo se utilizzata con determinazione e integrità. Il futuro della Terra e delle generazioni future dipende dalla capacità degli scienziati di trasformare la conoscenza in azione, mantenendo la scienza al servizio della società e del pianeta.
Non è ora di ritirarsi nella torre d’avorio né di rifugiarsi nell’ “adda passà ‘a nuttata” di eduardiana memoria: è più che mai il momento di testimoniare ciò che il metodo ha consentito di acquisire e di difendere un approccio laico, onesto e coraggioso alla comunicazione scientifica.
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