Fossili bugiardi
Quelle orme di dinosauro in Inghilterra che portano alle origini della paleontologia
Nell'Ottocento li raffiguravano come lucertoloni lenti e stupidi, oggi li conosciamo come progenitori degli uccelli. Il primo a essere descritto fu Megalosaurus, proprio sue sono le impronte nella cava dell'Oxfordshire. Scoperte, errori e successi di duecento anni di ricerca
Un lucertolone. Di una tale bestia preistorica sono state ritrovate le impronte fossilizzate nell’Oxfordshire, a giugno. Sono in una cava, le ha scoperte un operaio notando delle irregolarità nel terreno. L’annuncio del ritrovamento è arrivato solo qualche giorno fa. Megalosaurus, dicono i paleontologi. Per la verità le impronte non sono solo sue, anzi: di cinque piste – la più lunga arriva a 150 metri – quattro sono di Cetiosaurus, la quinta è del nostro lucertolone. Perché basta aver fatto giusto un po’ di latino al liceo per sapere che questo significa Megalosaurus: “grande lucertola”.
Come: un carnivoro di nove metri di lunghezza, bipede, si merita questo epiteto, e la sua probabile preda, un quadrupede erbivoro lungo il doppio, no? Ma anche il suo di nome è significativo: Cetiosaurus è la “lucertola balena”. Le dimensioni contano. Certo sono nomi che suonano un po’ naïf nel 2024, quando ad accendere un qualsiasi documentario sui dinosauri si osservano creature altamente specializzate e diversificate – ricostruite in digitale, ovviamente. Ciò accade perché, guarda caso, Megalosaurus e Cetiosaurus sono tra i primi dinosauri a essere stati descritti scientificamente. Di più, il lucertolone è stato il primo in assoluto: è William Buckland a ritrovarsi per le mani la sua formidabile mandibola fossilizzata, esattamente duecento e uno anni fa, nel 1824. Per la verità, quello è l’anno in cui lo scienziato inglese battezza l’animale i cui resti fossili sono in suo possesso già dal 1818. Buckland li ha ottenuti in circostanze mai del tutto chiarite, e le loro dimensioni lo confondono. Per questo esita tutto questo tempo prima di sperticarsi in una presentazione ufficiale alla comunità scientifica, lui che pure è un eccentrico ma preparatissimo intellettuale.
Il suo coraggio viene premiato: l’attribuzione di quelle ossa a una specie di rettile preistorico, da quel momento Megalosaurus bucklandii, dà il via a una grandiosa stagione di catalogazione della marea di fossili che sbuca dal terreno dell’Inghilterra e dell’Europa, e che chiede insistentemente che gli si trovi un posto nel grande sistema della storia naturale. Una stagione che culmina nel 1842, quando Richard Owen conia il termine Dinosauria per apparentare fra loro questi giganti terrestri. Per Sofocle, è l’uomo a essere deinós, lo fa dire al coro dell’Antigone: “Molte potenze sono tremende, ma nessuna lo è più dell’uomo”. Deinós come tremendo, terribile, ma anche prodigioso, portentoso. Davanti a quelle ossa colossali, i paleontologi inglesi dei primi dell’Ottocento devono pensare che sì, in un remoto passato sono esistite creature altrettanto prodigiose: ed erano rettili. Terribili lucertoloni.
In questi duecento anni di ricerche sui dinosauri, il modo in cui li ricostruiamo è cambiato immensamente. Bisogna badare alle date: la prima pubblicazione dell’Origine della specie di Charles Darwin è del 1859. Buckland, Owen e i loro colleghi sono scienziati creazionisti, e a quel tempo non si tratta di un ossimoro. Buckland sposa la teoria di George Cuvier delle “grandi catastrofi naturali”: estinzioni di massa che portarono alla scomparsa e sostituzione dei gruppi dominanti sulla terra. Cuvier ci arriva da protagonista della paleontologia dei mammiferi, ha descritto e classificato i fossili di mammut, bradipo gigante, leone delle caverne e quant’altro. Tutte specie estinte. Una spiegazione che ben si applica ai nuovi arrivati, i dinosauri. Owen polemizza direttamente con Darwin. In effetti, se tutte le specie evolvono, chi sono oggi i discendenti dei lucertoloni del Giurassico? La risposta a questa domanda non è a disposizione degli scienziati del tempo.
Bisogna poi tener conto della scarsità di reperti con cui si aveva a che fare. “Sembrano quasi la caricatura di un’impronta di dinosauro”, ha commentato la paleontologa Emma Nicholls del Museo di storia naturale dell’Università di Oxford, in riferimento alle orme tridattile di Megalosaurus trovate nella cava. Possiamo ben dirlo oggi che abbiamo tutti in mente l’immagine del T-Rex di “Jurassic Park”, e il nostro lucertolone in parte gli somigliava. Ma William Buckland si ritrova nella condizione di dover immaginare un intero scheletro a partire da una mandibola e qualche vertebra. Come si fa? Stabilito che Megalosaurus è un rettile, lo si disegna simile ad altri rettili attualmente viventi e con ossa paragonabili, il tutto ovviamente in proporzione con gli smisurati fossili. E così viene fuori la ricostruzione di Megalosaurus che si ammira nel parco di Crystal Palace a Londra: la statua di un lucertolone appunto, quadrupede, senza collo e dall’espressione un po’ svampita. Molto diverso dallo scattante predatore bipede che possiamo visualizzare oggi, dopo che numerose altre parti del suo scheletro sono state ritrovate.
Megalosaurus non è l’unica creatura preistorica ospitata nel parco di Crystal Palace. Svelate al pubblico nel 1854, queste statue sono totalmente inaccurate per gli standard scientifici odierni, ma raccontano come il genio vittoriano riuscì a immaginare interi animali a partire da pochi frammenti ossei. La storia delle rappresentazioni naturalistiche è ricca di esempi analoghi, a partire dal rinoceronte di Albrecht Dürer – l’artista non aveva mai visto un simile animale dal vivo, ma le descrizioni dei viaggiatori gli ispirarono nel 1515 una xilografia che, nonostante le incongruenze, entrò nell’immaginario europeo del tempo. A proposito di rinoceronti: fra i dinosauri di Crystal Palace, disegnati e scolpiti da Benjamin Waterhouse Hawkins sotto la direzione di Richard Owen, spicca una coppia di rettili con un corno prominente in cima al muso. L’animale era stato battezzato Iguanodon, “dente di iguana” – ancora secondo un processo analogico tra fossili e specie viventi – e quel corno era oggetto di un equivoco clamoroso. Bisogna immaginare Owen che si trova davanti a un mucchio di ossa scoordinate, la maggior parte magari atta a ricostruire un altro lucertolone, ma che fare di questo pezzo di forma conica che non trova riscontro nelle iguane di oggi? Un rostro, uno sperone? L’opzione corno sul muso non dura a lungo, ci si rende presto conto che si tratta di un’unghia, un “pollice” osseo che serviva a Iguanodon, placido erbivoro, per difendersi dai predatori. Ma nel frattempo la frittata, cioè la statua, è fatta: nella sua pancia si tiene anche la cena di inaugurazione del parco. Un po’ come nel monumento equestre a Vittorio Emanuele II al Vittoriano, anni dopo.
In realtà il corno che diventa pollice è quasi un dettaglio rispetto allo stravolgimento totale che le scoperte successive hanno portato nella ricostruzione di Iguanodon. Vale per moltissimi dinosauri descritti al tempo. Se le ossa vengono ritrovate in ordine sparso, lo scheletro di un animale estinto è come un puzzle, uno studioso può forzare gli incastri pur di realizzare l’immagine mentale che si è creato. Anche se i pezzi non combaciano. Un episodio del genere si ritrova anche nella Guerra delle ossa, quando la temperatura nella corsa ai dinosauri si fa più alta. Non a caso bisogna spostarsi dall’Inghilterra, dove gli scienziati si accapigliano sì ma con contegno vittoriano, all’America, dove la rivalità fra Othniel Charles Marsh ed Edward Drinker Cope raggiunge un parossismo ineguagliato nella storia della scienza, intrecciandosi anche con le guerre fra Stati Uniti e nativi americani. I territori Sioux erano ricchi di ambìti resti fossili.
Lo scontro fra i due accademici prende il via proprio da un osso posizionato male: Marsh, dell’università di Yale, canzona pubblicamente Cope, dell’Accademia di Scienze naturali di Filadelfia, per la sua ricostruzione del 1869 di Elasmosaurus, un rettile marino del periodo Cretaceo. Cope ha fatto un testacoda, posizionando il cranio dell’animale non all’estremità del lungo collo, ma dalla parte opposta. Ne viene fuori uno scheletro tutto sballato rispetto agli altri che già al tempo sono stati ricostruiti. Marsh se ne accorge e non perde occasione per farlo sapere a tutta l’accademia. Da lì la rivalità fra i due prende la forma di una vera dinosaur rush, una corsa forsennata a chi scava più fossili e cataloga nuove specie. Tutte le più famose – il triceratopo, lo stegosauro, il diplodoco – si devono a Marsh e a Cope. Non mancano colpi bassi, come la distruzione nottetempo degli scavi del rivale. A suon di dinamite.
Oggi sarebbe forse illusorio iscriversi a Biologia all’università nella speranza di diventare delle specie di Indiana Jones (che comunque era un archeologo). Ma per lungo tempo l’attività di chi andava in cerca di fossili è stata veramente avventurosa. Non solo nel Far West di Marsh e Cope. Ai primi del Novecento un luogo più selvaggio e inospitale è teatro delle ricerche dello zoologo americano Roy Chapman Andrews: il deserto del Gobi in Mongolia. Andrews, che poi diventerà direttore del Museo americano di Storia naturale di New York, è un tiratore scelto e combatte contro briganti mongoli. Le sue spedizioni portano alla luce tutta una nuova generazione di dinosauri, ma ancora una volta la loro ricostruzione si rivela un ginepraio. A confondere è uno scheletro di una creatura apparentemente flessuosa, dai lunghi arti anteriori. Lo si ritrova in un nido, circondato da uova fossili di dinosauro, le prime mai trovate fino a quel momento. Il becco, gli artigli: i paleontologi non hanno dubbi, questo rettile stava depredando il nido quando la morte lo ha colto – forse una tempesta di sabbia? Da qui il nome con cui battezzarlo: Oviraptor, “ladro di uova”. Si è dovuto aspettare molto tempo prima che ricerche più avanzate potessero stabilire che le uova non erano di un altro dinosauro, ma di Oviraptor stesso, che probabilmente morì in difesa del nido. Ma a quel punto la frittata era fatta – ora l’espressione è pertinente – e non si potevano modificare decenni di tassonomia riguardante queste creature, pena la creazione di altra confusione.
Con i raptor si arriva all’ultimo capitolo nella storia della ricostruzione dei dinosauri, quello che in qualche modo si sta svolgendo ancora oggi: il Rinascimento dei dinosauri. Fino agli anni Settanta del Novecento, l’aspetto di questi animali era cambiato moltissimo nelle descrizioni degli scienziati, conservando però qualcosa dei lucertoloni di Owen e Buckland: rettili probabilmente lenti, un po’ goffi, strano incrocio estetico fra coccodrilli e pachidermi. Insomma, quelli magnificamente ispirati dalla “Sagra della primavera” di Stravinskij nel film “Fantasia” della Disney. Poi qualcosa nelle teorie dei paleontologi inizia a cambiare. Lo scienziato americano Robert T. Bakker – un altro eccentrico: naturalista ma anche predicatore pentecostale, fautore della conciliazione fra religione ed evoluzionismo, sempre col cappello da cowboy – sostiene che i dinosauri erano rettili, sì, ma non potevano che essere animali a sangue caldo. Corpi troppo imponenti, stili di vita troppo attivi per essere sostenuti dal sangue freddo. Nel ‘69 Bakker – illustratore di talento – fa un disegno che diventa il manifesto del nuovo modo di guardare ai dinosauri. E’ il ritratto di Deinonychus, un appartenente al gruppo dei raptor. Il suo nome significa “artiglio terribile”. Un animale scattante, letale ma molto elegante. E intelligente. Finirà per essere il principale antagonista in “Jurassic Park” di Steven Spielberg.
Per altro Bakker sostiene di non essere il primo “eretico” in questa visione dei dinosauri come creature attive e scattanti. Cita non uno scienziato, ma un altro illustratore: Charles R. Knight, che nel 1897 aveva dato vita a una coppia di Laelaps – via di mezzo fra un raptor e un T-Rex – intenti a scagliarsi l’uno contro l’altro. Forse per gioco, forse per farsi davvero la pelle. Li dipinge agili, con lo sguardo attento e le membra muscolose. Ebbene, le voci dicono che con i suoi due predatori, Knight volesse rappresentare Marsh e Cope.
Al raptor di Bakker manca una caratteristica per essere davvero completo, qualcosa che solo ritrovamenti fossili successivi hanno potuto aggiungere alla rappresentazione: le piume. Queste arrivano negli anni 90, con ritrovamenti fossili in Cina che non lasciano dubbi: i raptor avevano le piume, così come probabilmente anche altri dinosauri teropodi, i bipedi carnivori ai quali appartengono anche Megalosaurus e il T-Rex. Sì, il re dei predatori, emblema del patriarcato giurassico, portava il boa di struzzo, gender fluid prima che andasse di moda. Questa nuova rappresentazione dei dinosauri, coloratissima e un po’ queer, sembra invece perfettamente al passo con i tempi.
Ma così torniamo all’inizio della storia, a Megalosaurus che ormai lucertolone non lo è più, e alla domanda che Buckland e Owen ponevano ai darwinisti: se tutte le specie evolvono, chi sono gli eredi dei dinosauri? Ecco la risposta: gli uccelli. Lo ha ipotizzato per la prima volta un allievo di Darwin, Thomas Henry Huxley, lo ha ribadito un secolo dopo John Ostrom, il maestro di Bakker, ispiratore del Rinascimento dei dinosauri e forte della ricostruzione di Deinonychus. I primissimi uccelli si sono evoluti nel Mesozoico a partire dai dinosauri teropodi, con i quali condividono le piume, gli artigli e il sangue caldo – avrebbero solo dovuto perdere i denti in favore del becco. E quando 66 milioni di anni fa un asteroide ha spazzato via i loro giganteschi progenitori dalla faccia della terra, gli uccelli sono sopravvissuti. Ricordiamocene quando serviamo il pollo in tavola.