Cattivi scienziati
Censura e disimpegno: la strategia di Trump per la salute pubblica
Ritirarsi dall'Oms significa negare il ruolo determinante della cooperazione internazionale in ricerca e innovazione medica. Un modello politico pericoloso, inserito in un contesto più ampio di sfiducia nei confronti delle istituzioni scientifiche e di compiacimento verso frange cospirazioniste
La decisione unilaterale degli Stati Uniti di uscire dall’Organizzazione mondiale della sanità, annunciata nel giorno dell’inaugurazione del secondo mandato di Donald Trump, è un atto che sfida ogni logica e buon senso. Come discusso nel mio articolo di ieri, questa scelta non è solo idiota, ma tradisce profondamente il principio di solidarietà che dovrebbe guidare le politiche sanitarie globali. L’Oms rappresenta l’unico strumento internazionale realmente efficace per affrontare crisi che non conoscono confini, come pandemie e disastri ambientali. Ignorare questo dato di fatto è irresponsabile, oltre che pericoloso.
Gli Stati Uniti non possono sottrarsi a questo dovere. In un mondo interconnesso, la responsabilità di contribuire alla salute globale non è facoltativa, ma proporzionale al proprio impatto sul pianeta. Gli Stati Uniti, con la loro enorme impronta economica, sanitaria ed ecologica, hanno un peso maggiore di molti altri Paesi. Le loro scelte in materia di politiche ambientali, industriali e sanitarie influenzano la salute di milioni di persone ben oltre i propri confini. Ritirarsi dall’Oms significa non solo abbandonare questa responsabilità, ma anche negare il ruolo determinante che la cooperazione internazionale ha avuto nel costruire il loro stesso sistema di ricerca e innovazione medica. Gli Stati Uniti hanno beneficiato per decenni delle reti di collaborazione scientifica e sanitaria globale; interrompere queste connessioni equivale a segare il ramo su cui si è seduti.
Trump ha giustificato questa decisione affermando che gli Stati Uniti "pagano troppo" e che l’Oms “non funziona come dovrebbe”. Anche ammesso che ci siano margini di miglioramento, la risposta non può essere abbandonare il tavolo, ma impegnarsi per riformare l’organizzazione dall’interno. Un atteggiamento diverso manda un messaggio pericolosissimo: che chiunque possa ignorare i propri doveri collettivi per ragioni di convenienza politica. Questo approccio, oltre a essere ingiusto, mina la stabilità di un sistema multilaterale già fragile.
A questo scenario già disastroso si aggiungono le rivelazioni pubblicate il 21 gennaio dal Washington Post che descrivono un quadro inquietante all’interno delle agenzie sanitarie statunitensi. Secondo fonti interne citate dall’articolo, la Casa Bianca avrebbe ordinato un blocco immediato e indefinito della comunicazione pubblica da parte del Cdc e della Fda, impedendo a queste agenzie di diffondere autonomamente dati aggiornati su questioni sanitarie cruciali, come il monitoraggio delle epidemie, la gestione delle emergenze sanitarie e i progressi sui vaccini. Questo blocco include anche la sospensione di briefing regolari, conferenze stampa e rapporti pubblici, rendendo impossibile alla comunità scientifica e ai cittadini accedere a informazioni affidabili in tempo reale.
Le fonti suggeriscono che l’amministrazione stia utilizzando questa pausa comunicativa come una strategia per centralizzare il controllo delle informazioni sanitarie, con l’obiettivo di garantire che ogni dichiarazione pubblica sia preventivamente approvata e allineata alla retorica politica del governo. Non è ancora noto quanto durerà questa sospensione, ma ci sono timori crescenti che, una volta terminata, la comunicazione delle agenzie possa essere permanentemente trasformata in uno strumento propagandistico, incapace di fornire dati scientificamente accurati e indipendenti. Il tutto si inserisce alla perfezione in un contesto più ampio di sfiducia nei confronti delle istituzioni scientifiche e di compiacimento verso frange cospirazioniste. In un momento in cui è fondamentale una trasparenza assoluta – come di fronte all’attuale epidemia di influenza aviaria, che rappresenta una minaccia concreta e crescente – il blocco delle informazioni aumenta notevolmente i rischi per la salute pubblica. L’impossibilità di accedere a dati aggiornati rende più difficile coordinare interventi nazionali e internazionali, mentre l’assenza di una comunicazione affidabile potrebbe esacerbare il panico e alimentare la disinformazione.
Bloccare il libero flusso di informazioni scientifiche, per censura totale o per filtraggio deliberato, non è solo un errore tecnico: è un sabotaggio deliberato della capacità di rispondere alle emergenze sanitarie. Le decisioni prese senza trasparenza impediscono ai cittadini e alla comunità internazionale di accedere a dati cruciali per affrontare le sfide globali. Questo isolamento informativo non solo indebolisce la gestione delle crisi interne, ma crea anche ostacoli al coordinamento con altre nazioni; il tutto nell'obiettivo, ormai trasparente, di controllare le informazioni, in modo che eventuali conseguenze disastrose delle scelte di Trump e dei suoi accoliti sulla salute dei cittadini Usa siano il più possibile mascherate e non dimostrabili.
La decisione di uscire dall’Oms e di imbavagliare le agenzie sanitarie statunitensi rappresenta un modello politico profondamente pericoloso. Da una parte, si tratta di compiacere le frange antiscientifiche e cospirazioniste, sempre più vocali, che si oppongono a ogni politica sanitaria coordinata sia a livello nazionale che globale. Dall’altra, questa strategia sembra volta a nascondere gli effetti potenzialmente devastanti di scelte politiche rischiose.
L'approccio di Trump e della sua banda alla salute pubblica non solo non elimina i rischi, ma li amplifica, lasciando il mondo più esposto a crisi evitabili in assenza di una comunicazione chiara e credibile.
Del resto, a rischiare è il cittadino, degli Usa e globale, non certo l'élite dei super-ricchi - spesso fino a ieri con impeccabile pedigree democratico - che abbiamo visto tutti in parata ufficiale dopo aver versato il loro obolo al neopresidente.