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Cattivi scienziati

L'influenza aviaria non minaccia solo gli animali, ma la stabilità economica di un intero settore

Enrico Bucci

Pur essendo stati efficaci in passato, le misure di decontaminazione oggi mostrano tutti i loro limiti di fronte a un virus capace di superare le difese più sofisticate. Tra il sacrificio degli abbattimenti e il ricorso a un vaccino insufficente, investire in ricerca e sviluppo è più urgente che mai

Negli allevamenti di polli ed altri uccelli domestici di molti paesi è cominciata da tempo una guerra molto dura al virus dell’aviaria di tipo H5. A parte il pericolo costituito dal fatto che questo virus ha già infettato l’uomo ed altri mammiferi e sta sempre più migliorando il proprio adattamento, non credo che sia ben chiaro a tutti cosa implichino queste infezioni sempre più diffuse.

Immaginate di essere i proprietari di un allevamento di polli che si trova improvvisamente a fronteggiare l’insidia di un nemico invisibile: il virus. L’eventuale arrivo di questo patogeno all’interno del vostro allevamento costringe a prendere decisioni estreme e dolorose, come l’abbattimento massiccio dei polli per cercare di arginare la diffusione dell’infezione. In un allevamento industriale intensivo, anche un solo animale infetto comporta l’uccisione rapida di decine di migliaia, se non milioni, di volatili. Il sacrificio di animali a cui avete dedicato anni di impegno e passione rappresenta il primo segnale di una crisi che supera i confini della semplice gestione quotidiana: si tratta di un’emergenza sanitaria che minaccia non solo il benessere degli animali, ma anche la stabilità economica e la reputazione di un intero settore, tanto da costringere molti lavoratori a casa.

 

                 

In risposta a questa minaccia, negli anni sono state adottate misure di biosicurezza sempre più rigorose e investimenti ingenti in sistemi di decontaminazione, controlli sanitari e protocolli di accesso alle strutture. Questi strumenti, pur essendo stati efficaci in passato, oggi mostrano i loro limiti di fronte a un virus capace di adattarsi e superare le difese più sofisticate. Il metodo tradizionale dello “stamping-out”, che prevede il rapido abbattimento dei volatili infetti, rappresenta una soluzione immediata per tentare di contenere l’epidemia, ma il suo impiego comporta conseguenze economiche e emotive di vasta portata, incidendo pesantemente sulla produttività e sul morale degli operatori del settore.

Parallelamente, la proposta di ricorrere alla vaccinazione potrebbe sembrare, nonostante i costi, una possibile strategia di uscita. Tuttavia, il vaccino attualmente disponibile contro l’influenza aviaria H5 presenta una criticità fondamentale: non è in grado di prevenire l’infezione, ma limita esclusivamente la manifestazione dei sintomi. In altre parole, i polli sottoposti a vaccinazione appaiono sani durante i controlli sanitari, pur continuando a ospitare e a trasmettere il virus in maniera silente. Questo effetto di “mascheramento” complica notevolmente il rilevamento tempestivo dei focolai e rende arduo il monitoraggio dell’effettiva presenza del patogeno negli uccelli infetti.

Come conseguenza, gli allevamenti di grandi dimensioni si trovano a subire un ulteriore danno, se decidono di spendere per i vaccini: i prodotti derivanti da animali vaccinati – che comprendono carne, uova e derivati – rischiano di essere respinti dai paesi importatori e anche, in qualche caso, dalla grande distribuzione. In presenza del virus, infatti, si adottano normative estremamente rigide per prevenire l’introduzione di merci potenzialmente portatrici del virus, con i prodotti corrispondenti agli animali vaccinati considerati a maggior rischio di mascheramento del virus: il risultato è che interi carichi possono venire bloccati alle frontiere. Tale scenario, in grado di generare perdite economiche ingenti e di minare la fiducia nei confronti dell’intera filiera avicola, rende soprattutto i proprietari degli allevamenti più grossi preda di un dilemma quasi irresolubile: da un lato, vi è il rischio di perdere in pochi giorni tutti gli animali, se il virus sorpassa le misure di contenimento, mentre dall’altro l’unica arma efficace per proteggerne la vita – il vaccino – può portare a discriminare il produttore.

Inoltre, la presenza continuativa del virus in animali apparentemente sani rappresenta un terreno fertile per mutazioni e ricombinazioni con altre varianti (anche queste già osservate) che potrebbero rendere il patogeno ancora più virulento o capace di trasmettersi tra specie differenti, compresa quella umana, trasformando una crisi settoriale in una potenziale emergenza sanitaria globale.

La sfida posta dall’influenza aviaria H5 e i suoi sottotipi si configura come un problema multidimensionale, che richiede decisioni difficili e un approccio integrato. Da un lato, la necessità di abbattere gli animali infetti per proteggere la salute pubblica comporta sacrifici immediati e dolorosi per chi si dedica con passione all’allevamento; dall’altro, la scelta di adottare una strategia vaccinale basata su un vaccino incapace di bloccare la replicazione del virus comporta possibili ripercussioni economiche e commerciali di vasta portata

Per superare questo stallo, è urgente investire in ricerca e sviluppo, nonché rivedere i protocolli di biosicurezza, affinché si possano elaborare soluzioni innovative in grado di prevenire l’infezione e di garantire la sicurezza sia del comparto avicolo sia dei mercati internazionali. Solo attraverso un impegno coordinato e decisioni coraggiose sarà possibile contenere una minaccia che, se non debellata, rischia di trasformarsi in una crisi di proporzioni globali.

Certo, il fatto che proprio il paese maggiormente colpito finora, gli Usa, stiano abbandonando la condivisione dei dati epidemiologici e vedano il prevalere dell’irrazionalismo anche in sanità pubblica, non aiuterà. Ma l’Italia è dotata di ottime tradizioni nella veterinaria zootecnica, e dispone di una rete di istituzioni in grado di sviluppare monitoraggio e ricerca di livello elevato; visto che i focolai sono sempre più numerosi anche da noi, è il momento di rafforzare questa rete ed ascoltare i nostri veterinari, per questo ed altri virus che sempre più minacciano la salute animale e la nostra in una volta sola.

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