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Cattivi scienziati

Negli Stati Uniti è cominciata la battaglia per l'università e la cultura

Enrico Bucci

La ridicolizzazione del sapere specialistico è uno strumento di governo della nuova Amministrazione: il risultato di un lungo processo di costruzione ideologica che affonda le sue radici nella diffidenza verso le élite e nella volontà di ridimensionare l'autonomia della ricerca

L'elezione di J.D. Vance alla vicepresidenza degli Stati Uniti è l’ultimo elemento che ha consolidato e radicalizzato una tendenza già presente nel panorama politico americano: l'anti-intellettualismo come elemento centrale della nuova amministrazione.Il disprezzo per l'accademia non è un fenomeno isolato, ma il risultato di un lungo processo di costruzione ideologica che affonda le sue radici nella diffidenza verso le élite culturali, nella critica al ruolo delle università come centri di potere e nella volontà di ridimensionare l'autonomia della ricerca scientifica. Il discorso di Vance del 2021, in cui dichiarava che "le università non trasmettono conoscenza e verità, ma inganni e menzogne" e che occorreva "attaccarle onestamente e aggressivamente", è stato l'anticipazione più esplicita della strategia che oggi è divenuta politica governativa. A questa dichiarazione si aggiunse un'affermazione ancora più esplicita: "I professori sono il nemico", un'espressione che condensa perfettamente la visione dell'accademia come un'istituzione da smantellare, non da riformare.

 

                    

Per Vance e per l'attuale amministrazione, le università non sono semplici istituzioni educative, ma veri e propri apparati di potere che agiscono per preservare il dominio culturale delle élite progressiste. Questa visione si nutre dell'idea che l'accademia abbia smesso da tempo di essere un luogo di ricerca neutrale per trasformarsi in un'arena di indottrinamento ideologico. La critica non è rivolta solo a specifici programmi di studio, come quelli dedicati alla teoria critica della razza o agli studi di genere, ma all'intero concetto di sapere specialistico come autorità indipendente. La battaglia politica della destra oggi al potere in Usa non è solo contro alcuni dipartimenti universitari, ma contro la stessa legittimità del sapere accademico come fondamento della governance e della società.

L'idea che la cultura accademica sia intrinsecamente corrotta ha permesso di giustificare una serie di misure senza precedenti: tagli ai finanziamenti per la ricerca in settori considerati ideologicamente ostili, aumenti spropositati della tassazione sulle università private ritenute centri di potere liberale, limitazioni alla libertà accademica e riforme nei curricoli universitari per ridurre l'influenza di discipline viste come inutili o dannose. L'amministrazione Trump ha portato queste misure al livello successivo, inserendole in una strategia più ampia volta a delegittimare il ruolo della scienza e del sapere accademico come guida per le politiche pubbliche. Il messaggio di fondo è chiaro: la verità non è più il prodotto di un'indagine oggettiva e collettiva, ma una questione di affiliazione politica.

Questa ostilità verso le università si inscrive in un fenomeno più ampio di sfiducia nei confronti delle istituzioni del sapere, che ha radici profonde nella cultura populista americana. La destra populista ha costruito il suo consenso sulla percezione che le élite intellettuali siano distanti e scollegate dai bisogni della gente comune, e che l'accademia sia un'istituzione autoreferenziale, incapace di offrire risposte concrete ai problemi del paese. In questo contesto, l'anti-intellettualismo non è solo una reazione alle politiche universitarie, ma un elemento chiave della narrazione politica che sostiene il potere dell'amministrazione attuale.

Il discorso di Vance del 2021 non è stato solo un attacco retorico: è stato il manifesto di un nuovo paradigma politico, in cui la conoscenza non è più un orizzonte condiviso, ma un campo di battaglia. La riduzione della complessità, il sospetto verso gli esperti, la ridicolizzazione del sapere specialistico sono diventati strumenti di governo, trasformando l'università da luogo di produzione del sapere a simbolo del nemico politico da combattere. Questa visione si è tradotta in azioni concrete, con conseguenze devastanti per la ricerca, per l'autonomia delle istituzioni accademiche e per il futuro dell'istruzione superiore negli Stati Uniti.

Di fronte a questa deriva anti-intellettualista, la comunità scientifica e accademica negli Usa ha iniziato a organizzarsi per contrastare le politiche dell'amministrazione. Una delle risposte più significative è stata la causa intentata da una coalizione di 22 stati contro l’amministrazione federale per bloccare i tagli ai finanziamenti del National Institutes of Health (Nih). La decisione della nuova amministrazione Nih di ridurre al 15 per cento i rimborsi per i costi indiretti della ricerca – che coprono spese essenziali come il mantenimento dei laboratori, i servizi IT e il personale amministrativo – ha suscitato una reazione immediata da parte di università, ospedali e centri di ricerca, che hanno denunciato l’impatto devastante di una simile misura. Il nuovo limite, riducendo drasticamente il sostegno ai costi operativi della ricerca, avrebbe trasferito l'onere economico direttamente sulle istituzioni, con il rischio di licenziamenti di massa, sospensione di studi clinici e blocco di interi programmi di ricerca. Mark Becker, presidente dell'Association of Public and Land-Grant Universities, ha denunciato il provvedimento come un "attacco diretto e massiccio alla ricerca medica salvavita", avvertendo che avrebbe compromesso il progresso nella lotta contro il cancro, il diabete e le malattie cardiovascolari.

L’amministrazione ha giustificato il taglio con la necessità di risparmiare 4 miliardi di dollari l’anno, sostenendo che la percentuale precedentemente destinata ai costi indiretti fosse eccessiva rispetto alle necessità della ricerca scientifica. Tuttavia, gli stati che hanno intentato la causa hanno contestato la legittimità del provvedimento, citando una legge bipartisan approvata dal Congresso nel 2017 che vieta al NIH di alterare unilateralmente i costi indiretti negoziati con le istituzioni. Il ricorso legale accusa il governo di violare l’Administrative Procedure Act, sostenendo che una decisione di tale portata non possa essere adottata senza un passaggio legislativo e senza un’adeguata valutazione dell’impatto sulle istituzioni accademiche e sulla ricerca scientifica.

Mentre la Casa Bianca ha cercato di minimizzare le preoccupazioni, affermando che il taglio ai costi indiretti avrebbe permesso di destinare più fondi alla ricerca diretta, la comunità scientifica ha risposto con allarme. Molti istituti, come la University of Florida, hanno immediatamente congelato nuovi progetti e sovvenzioni, incapaci di assorbire il taglio senza compromettere le proprie operazioni. Anche ospedali di ricerca come il St. Jude Children’s Research Hospital, già costretti a coprire con fondi privati le perdite derivate dalla partecipazione a studi clinici federali, hanno denunciato che la misura avrebbe causato una riduzione delle terapie sperimentali disponibili per i pazienti pediatrici affetti da malattie gravi.

Il 7 febbraio, il giudice federale Angel Kelley ha accolto il ricorso, bloccando temporaneamente l’entrata in vigore della nuova normativa nei 22 stati ricorrenti e fissando un’udienza per il 21 febbraio per valutare ulteriori misure. Questa decisione ha rappresentato un’importante battuta d’arresto per l’amministrazione, evidenziando i limiti legali della sua politica di smantellamento dell’ecosistema scientifico nazionale. La causa intentata dagli stati è solo il primo passo di una battaglia legale più ampia che potrebbe ridefinire il rapporto tra governo federale, istituzioni accademiche e ricerca scientifica negli Stati Uniti.

Non è detto, tuttavia, che i giudici e i tribunali riescano da soli a fermare il progetto di Trump e dei suoi accoliti; si è già visto molte volte come non sia questa una via che è in grado di fermare l’uomo e i suoi lacchè. È sempre più necessaria una rivolta diffusa della comunità scientifica – riviste, università, ospedali e altre istituzioni devono levare la propria voce – e dell’opposizione politica, che non deve pensare di poter usare semplicemente i tribunali. Ed è sempre più necessario rafforzare e proteggere istruzione, università e ricerca in Europa dalla marea montante che avanza, per farci trovare pronti, perchè “verranno a prendere anche noi”.

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