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Prisma/Universal Images Group via Getty Images
cattivi scienziati
Una mutazione che parla: il gene NOVA1 e l'evoluzione del linguaggio umano
Dai Neanderthal ai topi mutanti, gli scienziati svelano il ruolo di un gene chiave nella comunicazione, quello che ci ha resi sapiens. Una sola mutazione ha cambiato la connettività neuronale, distinguendoci dai nostri antenati
Una singola mutazione può cambiare la storia di una specie? Nel caso di NOVA1, un gene che regola il modo in cui sono processati gli RNA messaggeri nel nostro cervello, la risposta sembra essere sì. Gli scienziati stanno lentamente svelando il peso che una differenza minima, una sola mutazione in una sequenza di lettere del DNA, ha avuto nell’evoluzione della nostra specie, distinguendola dai suoi cugini estinti, Neanderthal e Denisoviani. Quella mutazione potrebbe aver contribuito a plasmare alcune delle nostre capacità più distintive, come il linguaggio.
Il punto di partenza di questa storia risale al 2021, quando un gruppo di ricercatori, guidato da Alysson Muotri dell’Università della California, decise di guardare al passato attraverso organoidi cerebrali, cioè dei “minicervelli” cresciuti in laboratorio a partire da cellule staminali. Il loro obiettivo era comprendere come il cervello dei Neanderthal potesse essere stato diverso dal nostro, sotto l’effetto di un diverso gene NOVA1. Per farlo, hanno usato la tecnica di editing genetico CRISPR-Cas9 per sostituire la versione moderna del gene NOVA1 con quella arcaica, tipica di Neanderthal e Denisoviani, in cellule staminali pluripotenti indotte umane. Da queste cellule hanno poi fatto crescere organoidi cerebrali, strutture tridimensionali in vitro che imitano lo sviluppo del cervello umano nelle sue prime fasi. Era la prima volta che qualcuno cercava di far rivivere, in laboratorio, un tratto genetico appartenente ai nostri antichi parenti per osservare come avrebbe influenzato la crescita del tessuto cerebrale.
Il risultato è stato sorprendente. Gli organoidi portatori della variante arcaica di NOVA1 mostravano differenze evidenti rispetto a quelli con la versione moderna. Crescevano in modo più lento e irregolare, con una superficie più complessa e pieghettata. Le cellule si organizzavano diversamente, e i neuroni formavano reti meno efficienti. Perfino l’attività elettrica appariva alterata. Sembrava emergere l’immagine di un cervello che seguiva un percorso di sviluppo divergente rispetto a quello della nostra specie, suggerendo che la versione moderna di NOVA1 avesse svolto un ruolo chiave nell’affinare la connettività neuronale e le capacità cognitive tipiche di Homo sapiens.
Ma la storia non finisce qui. Pochi giorni fa, un nuovo studio ha aggiunto un tassello fondamentale. Questa volta, i ricercatori si sono spostati dai cervelli in miniatura di laboratorio a organismi viventi. Utilizzando i topi come modello, hanno introdotto nel loro genoma la variante umana di NOVA1 per vedere se questa potesse influenzare comportamenti e abilità specifiche. E ancora una volta, i risultati hanno aperto scenari inattesi. I topi con la versione sapiens del gene emettevano vocalizzazioni diverse rispetto ai topi normali. Non solo il numero, ma anche il tipo e la struttura dei suoni risultavano alterati, così che la comunicazione vocale degli animali mutanti risultava estremamente più articolata e complessa di quella dei loro parenti normali. In altre parole, quella stessa mutazione che nei nostri antenati ha pesantemente influenzato il modo in cui il cervello si connette e comunica, sembra ora influenzare direttamente le modalità di espressione vocale in un altro mammifero.
Il legame con il linguaggio umano diventa inevitabile. Anche se il topo non parla, la sua vocalizzazione è comunque un’espressione complessa di attività cerebrale e controllo motorio. Il fatto che un’unica variante genetica sia in grado di modificarla suggerisce che il passaggio da Neanderthal a sapiens non sia stato solo una questione di volume cerebrale, ma abbia coinvolto cambiamenti sottili, capaci di migliorare la plasticità neuronale e il coordinamento tra cervello e apparato fonatorio. È qui che la mutazione di NOVA1 si colloca, come un possibile ingranaggio chiave nell’emergere di quel tratto così umano che è il linguaggio articolato.
Non è la prima volta che una variante genetica correlata al linguaggio sembra essere unica degli esseri umani moderni. Un caso emblematico è quello del gene FOXP2, spesso definito "il gene del linguaggio". Mutazioni in FOXP2 sono state associate a disturbi specifici del linguaggio e della parola negli esseri umani, influenzando lo sviluppo di circuiti neurali cruciali per la comunicazione verbale. Studi su modelli animali hanno dimostrato che alterazioni in questo gene possono compromettere le vocalizzazioni e l'apprendimento dei suoni, suggerendo un ruolo fondamentale di FOXP2 nell'evoluzione delle capacità linguistiche umane.
Tutto questo suggerisce che l’evoluzione della nostra specie sia stata, per una parte importante, un processo che ha accoppiato l’emergenza di varianti genetiche capaci di modificare finemente la struttura e la funzionalità del cervello con lo sviluppo di capacità linguistiche superiori. Le poche differenze fra specie arcaiche e la nostra per i geni NOVA1 e FOXP2 non sono dunque mutazioni qualsiasi, ma rappresentano letteralmente la “scintilla genetica” che ha innescato una transizione verso menti diverse e linguaggi più complessi – con quel che ne discende in ambito sociale e culturale.
Una transizione brusca, almeno per capacità accessibili ai nostri cervelli, dipendente da un singolo gradino: la storia del processo evolutivo e le sue possibilità appaiono sempre più sorprendenti, all’incrocio fra paleontologia, archeogenetica ed evoluzionismo.
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Cattivi scienziati