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Cattivi scienziati

Indizi di vita su K218b: il gran balzo dell'astrochimica

Enrico Bucci

La nuova scienza vede tracce di due marcatori che rafforzano l’ipotesi di un’origine biologica dei segnali. Diventa più concreta la possibilità di trovare un giorno forme inequivocabili di vita

Già nel 2023, quando i primi dati acquisiti con lo spettrografo NirSpec di Jwst indicarono deboli tracce spettrali riconducibili al dimetil solfuro (Dms) nell’atmosfera di K218b, la comunità astrobiologica si divise tra entusiasmo e cautela. Il livello di confidenza statistica si attestava intorno a 2 sigma, ovvero circa il 95 per cento di probabilità di un segnale reale, troppo basso per escludere definitivamente interferenze dovute al rumore di fondo o a processi abiotici. In quell’occasione, il Dms era stato considerato un candidato promettente tra le biofirme, grazie al suo legame quasi esclusivo con il metabolismo del plancton marino sulla Terra, ma mancava ancora una prova robusta.

 

           

 

Con le osservazioni realizzate nei primi mesi del 2025, lo strumento Miri (MidInfrared Instrument) di Jwst ha migliorato la sensibilità alle bande spettrali del Dms, registrando un picco a circa 3 sigma di confidenza. Parallelamente, per la prima volta è emersa una firma compatibile con il dimetil disolfuro (Dmds), composto strettamente correlato nella catena di reazioni biologiche che su Terra interconnettono Dms e zolfo organico. Questo avanzamento rappresenta un salto di qualità rispetto ai composti identificati in precedenza, perché introduce un secondo marcatore che, pur non bastando da solo a provare l’esistenza di microrganismi, rafforza l’ipotesi di un’origine biologica dei segnali.

Sulla terra, infatti, Dms e Dmds si osservano insieme nei processi di rilascio di zolfo da parte del fitoplancton, mentre in contesti abiotici la produzione di Dmds risulta molto meno efficiente rispetto a quella del Dms. Perciò, l’individuazione simultanea delle due molecole nell’atmosfera di un esopianeta costituisce un passo avanti nell’approccio multiindicatore, riducendo la probabilità di falsi positivi associati all’analisi di un solo gas. Resta tuttavia indispensabile verificare che le firme derivino davvero dall’atmosfera di K218b e non da processi di diffusione strumentale o riflessioni planetarie.

Per consolidare i risultati, i ricercatori hanno proposto di riservare a K218b ulteriori 16–24 ore di integrazione con Miri, allo scopo di raggiungere la soglia di confidenza di 5 sigma, spesso considerata il “gold standard” per escludere qualsiasi probabilità di falso positivo. Questo sforzo aggiuntivo ridurrà la probabilità di errore statistico a una frazione di punto per milione e permetterà di ottenere uno spettro ancora più nitido, capace di distinguere composti in tracce come solfuri e idrocarburi complessi.

In parallelo, i telescopi terrestri di nuova generazione – come il Giant Magellan Telescope e l’Extremely Large Telescope – dotati di ottiche adattative di ultima generazione, potranno fornire osservazioni complementari nelle bande del vicino infrarosso. Inoltre, la missione Ariel dell’Esa, programmata nei primi anni Trenta, offrirà una panoramica sistematica delle atmosfere esoplanetarie, misurando decine di molecole in alta risoluzione, fra cui Dms, Dmds e altri composti solforati, con un livello di precisione inedito.

Sul fronte delle origini abiotiche del Dms, laboratori specializzati hanno replicato in esperimenti fotolitici la formazione di dimetil solfuro irradiando miscele di gas analoghe alle atmosfere esoplanetarie, ottenendo quantità rilevabili di Dms anche in assenza di composti organici. Inoltre, le analisi della polvere cometaria effettuate da Rosetta hanno confermato la presenza di Dms su corpi ghiacciati come la cometa 67P, dimostrando che processi chimici prebiotici possono generare lo stesso marcatore senza vita. Accanto a queste evidenze, sono emersi modelli teorici che interpretano i dati di K218 b attraverso l’ipotesi di un oceano di magma sotto una spessa coperta di idrogeno. Secondo tali studi, in corso di revisione su arXiv, le interazioni tra roccia fusa e gas potrebbero produrre reazioni in grado di spiegare la scarsità di ammoniaca e il rapporto tra CO₂ e CH₄, riproducendo lo spettro osservato con livelli di confidenza simili a quelli del Dms, ma senza ricorrere al biologico.

Di fronte a queste molteplici linee di indagine, la comunità scientifica resta cauta ma fiduciosa nell’efficacia degli strumenti moderni. Lo sforzo congiunto di osservazioni spaziali e terrestri promette di affinare le diagnosi chimiche a distanza; nel contempo, un approccio interdisciplinare – che includa modellizzazione chimicoclimatica, sperimentazioni di laboratorio e campagne osservative coordinate – è ormai considerato imprescindibile per stabilire se i segnali di Dms e Dmds siano davvero il “respiro” di forme di vita aliene o la firma di processi esclusivamente chimici.

Ma quello che davvero ci lascia senza fiato è il salto compiuto dall’astrochimica: soltanto pochi anni fa era un campo tutto teorico, fatto di modelli al computer e fantasiosi esperimenti di laboratorio; oggi, grazie al James Webb, ai giganti terrestri dotati di ottiche adattative e agli algoritmi di intelligenza artificiale, l’astrochimica è diventata una vera scienza sperimentale. Possiamo “annusare” l’aria di un pianeta distante 124 anni luce, isolare spettri talmente deboli da sembrare sciocchezze e invece scoprire tracce di molecole complesse che un tempo esistevano solo nei nostri racconti fantascientifici. Questo ci spalanca le porte a un’indagine quantitativa e precisa dei processi chimici e geologici di mondi lontani, e ci regala la concreta speranza di trovare un giorno firme inequivocabili di vita. In pratica, siamo entrati in una nuova èra: quella in cui studiare un esopianeta è come esaminare un frammento di cosmo direttamente nel nostro laboratorio. Se domani leggeremo tra quelle righe spettrali un segno vivo, sarà la scoperta più straordinaria della storia umana; ma persino in caso contrario, sapere qual è la vera varietà della chimica dell’universo aiuta a capire come e perché, da quella chimica, si è arrivati fino alla vita e a noi.
 

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