Almirante con una copia del Secolo d'Italia che celebra la vittoria del Movimento Sociale Italiano alle elezioni regionali in Sicilia del 1971 (foto Wikipedia)

Dopo via Almirante, via Raggi. Evitare che Conte sia il nostro Ventura

Al direttore - Caro Cerasa, in un’intervista di qualche giorno fa, Carlo Calenda è stato capace di centrare l’origine della crisi dei partiti tradizionali: “La competenza ha deluso e l’incompetenza è diventata sinonimo di purezza” (aggiungerei di onestà). Ma forse bisogna dirci chiaramente che invece (parafrasando Einstein), la vera crisi che abbiamo vissuto in questi anni è stata quella dell’incompetenza. L’incompetente rifiuta di confrontarsi, segue sempre la stessa strada perché ha paura della novità e di fronte alla diversità di situazione, reagisce rimanendo inerte, dimenticandosi però che l’inerzia è l’abdicazione della ragione. Ecco perché la crisi della politica, ampiamente sconfitta dal populismo, va vista come un momento positivo da cogliere e sfruttare. Come ci ricorda Einstein, “è nella crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie”. Ai partiti dico: sfruttate questa vostra crisi senza essere pigri nel trovare soluzioni, rivedendo i vostri obiettivi e i vostri apparati dimostrando agli italiani che la competenza può ancora essere sinonimo di abilità, onestà e merito.

Andrea Zirilli

Ai partiti diciamo: giusto discutere di via Almirante (unica scelte buona fatta da questo Consiglio comunale), ma ora discutete bene anche di un tema più importante, ovvero via Raggi. Diciamo questo e poi aggiungiamo: giusto discutere dei problemi del sindaco che non c’è, ma quando discuterete della sua alternativa non fate pasticci e il fronte repubblicano fatelo a Roma e per favore fatelo guidare a Carlo Calenda.


     

Al direttore - Non è stata fin qui proprio una pacchia quella consentita dalla Bce con il Quantitative easing (a meno che non si voglia evocare un implicito pendant con le dichiarazioni salviniane sulla presunta pacchia dei migranti). Ma certamente è stato uno scudo protettivo che – questo è un punto trascurato in tutti i commenti – la Banca centrale ha dovuto apprestare sia per evitare la disintegrazione dell’euro, sia per assolvere all’unico mandato, tassativamente conferitole dal trattato Ue, per il mantenimento della stabilità dei prezzi: non certo per salvare l’Italia, come infondatamente si dice. Se non lo avesse fatto, in presenza dei rischi di deflazione e, poi, di una bassa inflazione che ancora non ha raggiunto il target prefissato, avrebbe tenuto un comportamento illegittimo; avrebbe omesso di porsi il cogente obiettivo della stabilità monetaria. Ora, però, per quel che riguarda l’Italia, il caso ha voluto che proprio nel mese (ottobre) in cui inizia la riduzione a 15 miliardi mensili degli acquisti dei titoli a opera della Bce, si confeziona la legge di Bilancio, dopo aver valutato la Nota di variazione del Def. Sincronia migliore non vi potrebbe essere per una svolta nella politica economica e di finanza pubblica che tenga conto del mutamento della politica monetaria, la quale comunque resta accomodante, se si pensa alla stabilità dei tassi di interesse all’attuale livello, alla possibilità di effettuare, da parte dell’Istituto centrale, operazioni di rifinanziamento, al reinvestimento nei titoli in scadenza e, non per ultimo, alla condizionalità delle misure adottate, anche di quella relativa al Qe, in dipendenza soprattutto dell’andamento dell’inflazione. La Bce non si spossessa indefinitamente degli strumenti disponibili, anche di quelli non convenzionali che, all’occorrenza, potrebbero e dovrebbero essere richiamati in servizio. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia


     

Al direttore - Non tutti i guai vengono per nuocere. L’assenza degli Azzurri ai Mondiali di calcio in Russia ci risparmierà quanto meno la tortura del tricolore trascinato per vie e per piazze in strombazzanti cortei di macchine. Una pacchia per il “prima gli italiani” di Matteo Salvini. Dopo il cadeau di Macron, regalare al leader leghista anche lo sventolio della nostra bandiera, nel football spesso usata come simbolo primitivo del “noi-contro-loro”, sarebbe stato insopportabile. Un tempo tra la gente del nord comparivano altri fantasiosi stendardi, ornati di guerrieri bellicosi e spade sfoderate. Oggi i soldati del Carroccio marciano invece sulle note di una retorica patriottarda, che scarica ipocritamente sull’Europa l’eterna protesta e la congenita diffidenza dei cittadini verso lo stato, sentito come una realtà punitiva, estranea e usurpatrice. Paradossalmente, il sovranismo provinciale delle forze populiste ora al governo si nutre proprio di questo inguaribile malcontento e di un’atavica diseducazione civica, in cui l’arte del compromesso si scompone nella volubilità e nella furberia, si corrompe nella mancanza di princìpi, si avvilisce nel cinico egoismo. La cura del “particolare”, che una volta ci era concesso di frodo, chiudendo un occhio, adesso ci viene raccomandata e quasi prescritta come l’obiettivo stesso della vita nazionale. Del resto, quando troppo a lungo e impunemente il sistema politico produce inefficienza e corruzione, perché dovremmo meravigliarci se vengono meno i vincoli e i valori di solidarismo umano che tengono unita una società? Il successo della campagna per la chiusura delle frontiere ai migranti, orchestrata con grande spregiudicatezza dal ministro dell’Interno, non è forse ascrivibile proprio ai ritardi civili e ideali del paese, prima ancora che alle sue povertà materiali? Talvolta mi chiedo se non sia ormai tardi per riattivare il senso di una comune appartenenza storica, che sappia opporsi con efficacia a pulsioni plebiscitarie che rischiano di devastare la democrazia parlamentare. Sì, sono pessimista. Ma, come diceva Giovanni Sartori, il pessimismo è pericoloso solo se induce alla resa; altrimenti il male lo fanno l’ottimismo e il tranquillismo che inducono a non far niente.

Michele Magno

Purtroppo l’Italia fuori dai Mondiali è una metafora di molte cose ma prima di tutto è un’anticipazione plastica di quello che rischia di essere il nostro paese un domani se i campioni (politici) che oggi guidano il nostro paese dovessero essere coerenti con le proprie promesse: mettere fuori dal mondo non solo la Nazionale ma la nostra nazione. Un programma per farlo c’è. Speriamo mister Tria e mister Mattarella aiutino mister Conte a non essere ricordato come il Ventura della nostra nazione.

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