Così Google ha tolto agli studenti l'esigenza di cercare maestri, rincoglionendoli
A scuola quasi nessuno fa più domande. Il racconto di un prof.
Insegno in un liceo dal 2001, cioè dall’anno di nascita di Wikipedia e dell’iPod, e in questo tempo di cose al mondo ne sono accadute, direi. Tutto è cambiato. Ma sono cambiati anche gli studenti? Si potrebbe rispondere con una pletora di considerazioni tanto ragionevoli quanto banali sostenendo che essi, in fondo, sono sempre gli stessi di ogni generazione, pur con modi di vivere e comportamenti declinati nei costumi correnti e quindi solo apparentemente diversi dal passato. E sarebbe una risposta accettabile. Tuttavia per ciò che personalmente osservo tutti i giorni, questa risposta non mi soddisferebbe. Secondo me qualcosa di grosso è cambiato per davvero. Mi riferisco a una consuetudine, un costume, un habitus, che non solo è cambiato, ma che è addirittura sparito dalle aule. Qualcosa che nel 2001 c’era e ora non c’è più. Come le Twin Towers, per capirci.
Fino a qualche anno fa, quando un professore di Lettere entrava in classe, in qualunque classe di qualsiasi scuola superiore, faticava a iniziare la lezione perché veniva letteralmente assalito da una serie di proposte del tipo: “Professore, facciamo una discussione sull’eutanasia?”, oppure: “Professore, ci spiega perché in alcuni paesi le droghe leggere sono legalizzate e da noi invece no?”, o ancora: “Professore, perché oggi non parliamo dell’attentato terroristico di ieri?”, eccetera eccetera. Si sa, spesso gli studenti le provano astutamente tutte per non essere interrogati o per saltare la lezione. E ci sta. Eppure vi assicuro che la maggior parte delle volte queste richieste erano leali, vere, sincere e soprattutto condivise da tutti i compagni. C’era curiosità, per non dire ansia, di confrontarsi sui temi di attualità e argomenti culturali, dai più delicati ai più semplici talks of the town. Ogni volta si percepiva in quei ragazzi la forte esigenza di conoscere, di interrogarsi, di capire le cose attorno a loro con l’aiuto di chi ne sa più di loro. Cercavano risposte (e domande) con l’aiuto e per mezzo di un maestro: c’era una voglia pazzesca di sentire cosa ne pensava lui, “il prof”. Ebbene, oggi tutto questo non c’è più. Si entra in classe e si notano silenzi pigri e apatici, sguardi disinteressati e indolenti, una passività totale, aria di supponenza a quintali. Mai la proposta di un confronto culturale, di un dibattito, di una discussione. Peggio: mai una domanda! Nessuno fa più domande al professore sul mondo che ci circonda, sui tempi che corrono, sui fatti di attualità. Quasi nessuno chiede più di capire. E questo, credetemi, accade nella quasi totalità delle classi e delle scuole. Provare per credere. Perché? I motivi sono tanti e non ho certamente la presunzione di liquidarne banalmente le innumerevoli cause offrendo risposte che non ho la certezza di possedere, tuttavia è pur vero che non mi è necessario partecipare a un convegno di sociologia e psicologia in età evolutiva per capire da me medesimo alcune situazioni concrete che osservo e in qualche modo studio quotidianamente da sedici anni. Non mi si dica che in parte la colpa è dei professori. Non ditemelo perché per certi versi potrei anche darvi ragione. Non ho mai difeso ideologicamente la mia categoria e onestamente condivido molte delle critiche che vengono mosse al nostro operato. Ma non basta. Sarebbe troppo facile e troppo comodo. Ci deve essere dell’altro. Deve pur essere accaduto qualcosa in questi ultimi anni che ha trasformato i nostri studenti in apparenti mummie sociali. Quella stessa cosa che ha trasformato in mummie sociali anche i loro genitori, i quali insegnano ai loro figli, direttamente o indirettamente, a deridere la sedicente autorevolezza culturale dei docenti (chi si credono di essere, costoro solo perché hanno una laurea specialistica del vecchio ordinamento?). Sì, ci deve essere dell’altro che ha mandato tutto a ramengo. E io so cos’è. Si chiama Google e oggi è nelle tasche di tutti. Questi giovani sono assolutamente convinti che un motore di ricerca online abbia tutte le risposte, tu chiedi e Google risponde, come quel personaggio di Fabrizio Fontana che a Zelig diceva: “Le so tutte!”. Intanto però l’aspetto più sano, profondo e formativo del rapporto culturale tra docenti e alunni (anche quello mediato dai peggiori insegnanti: da studente io ho imparato molto anche da pessimi docenti proprio perché paradossalmente mi sono misurato criticamente nella loro insipienza), è quasi completamente estinto. “I professori non servono più a niente, posso fare da me, tanto c’è Google!”, è molto più di uno stolido slogan, è una filosofia di vita che sta ammorbando e rincoglionendo la civiltà occidentale. Questa trasformazione in corso sui banchi di scuola infatti si è da tempo fatta veicolo di una pericolosissima regressione culturale e sociale che produce ogni giorno tonnellate di cripto-grillismo giovanile e post giovanile per cui ognuno crede di sapere ogni cosa solo perché l’ha letta qua o là, dopo averla cercata superficialmente su Google.
E così oggi si sentono tutti professori, medici, avvocati, giornalisti, in questa folle giostra ego-cyber-pauperistica che esalta e aizza sempre più il livore di costoro contro chi ha davvero lo spessore per proporsi come riferimento culturale. In questa terra di nessuno in cui vige il web-regime dell’auto-apprendimento simultaneo e superficiale, assistiamo alla demolizione permanente di certezze fino a ieri fondamentali. A partire da quella per cui abbiamo tutti un grande bisogno di maestri. Maestri veri, che sappiano spiegarci come stanno le cose secondo loro (che ne sanno più di noi), e non di motori di ricerca o capibastone semplificatori. Abbiamo tutti bisogno di persone che ci aiutino a problematizzare i fatti, a carpirne le sfumature, insomma a capirli. Mi torna in mente a proposito la famosa frase di Sciascia: “Sono democratico perché ho imparato, ma sono liberale perché ho capito!”. Perché è esattamente questo il punto. Capire è diverso da sapere. E la scuola, e i professori, e gli intellettuali, da sempre e per il solo fatto di esserci, aiutano a capire meglio le cose del mondo. Perché Google potrà anche dirci che strade si possono prendere, ma non potrà mai indicarci qual è la strada giusta. So, fuck Google, ask your teachers!
Il Foglio sportivo - in corpore sano