La scuola di don Milani e l'immaginetta falsa che la sinistra se ne fa
L'inclusiva ministra Fedeli, che oggi Barbiana la chiuderebbe
Mons. Tirapani, nel 1954 vicario generale della diocesi di Firenze, lo definì in una lettera a don Daniele Pugi – il vecchio parroco di Barbiana – come un “tipo che nessuno vuole”. Don Lorenzo Milani è morto da cinquant’anni (giovane, aveva quarantaquattro anni) e ha continuato a essere un “tipo che nessuno vuole”, nel senso che raramente lo prendono sul serio nel suo radicalismo esperienziale. Ma che in molti tirano per la tonaca. Soprattutto a sinistra. Insomma ne fanno un’immaginetta. E lui non le amava. Ieri il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha ospitato una manifestazione, “Insegnare a tutti”, dedicata al priore di Barbiana e trasmessa in diretta sul sito di Rai Scuola. Cosa ancor più inedita, la ministra (con la a) Valeria Fedeli ha inviato una circolare a tutti gli istituti per invitare docenti e studenti a seguire la diretta e a rileggere (consigli per le letture estive?) l’opera dell’autore. Difficile alludesse ai due tomi dei Meridiani curati da Alberto Melloni e appena pubblicati. Più facile indicasse solo le Lettere a una professoressa. Che sono comunque una lettura importante, niente da dire.
Ma c’è da ragionare, a proposito di questa iniziativa più da MinCulPop che da Miur, per quanto dedicata a una personalità che ha esercitato a suo modo un magistero nell’educazione italiana. Fedeli ha insistito sul fatto che l’obiettivo di don Milani era quello di “avere una scuola aperta ed inclusiva… ed è l’impegno del ministero che mi onoro di dirigere. Aperta ed inclusiva significa anche capace di parlare a chi è più emarginato, a chi è a rischio dispersione. Dobbiamo dare a tutte le ragazze e a tutti i ragazzi, anche e soprattutto ai più deboli, gli strumenti per essere preparati ad affrontare il futuro”. Il che per un verso è vero, ovviamente. La Scuola di Barbiana era aperta apposta per tutti quelli che la scuola “normale” non accettava o ne erano stati cacciati. Ma ci sono delle differenze. A partire da quell’aggettivo, “inclusiva”, che forse il priore non ha mai pronunciato (ci rimettiamo a Melloni), ma che, di questo siamo sicuri, non ha mai usato con l’accezione pervasiva, ideologica, appiattente con cui viene teorizzata e abusata peggio del prezzemolo le mammane nella teoria pedagogista e nel linguaggio burocratico-amministrativo della scuola di oggi. E che significa sostanzialmente livellamento, asticelle abbassate e una camicia uguale per tutti, sotto una cappa di correttezza obbligatoria. La Scuola di don Milani era accogliente, ma tutt’altro che facile o non esigente. Richiedeva ai ragazzi un’applicazione quotidiana, una fatica. A Barbiana “non c’era ricreazione. Non era vacanza nemmeno la domenica. Nessuno di noi se ne dava gran pensiero perché il lavoro è peggio. […]. Lucio che aveva trentasei mucche nella stalla (da sconcimare ogni mattina) disse: ‘La scuola sarà sempre meglio della merda’”. Altro che crediti formativi. Non pensava, meno che mai, che il mestiere dell’insegnante fosse quello di un misuratore docimologico, di un facilitatore sociale. “Spesso gli amici mi chiedono come faccio a far scuola… sbagliano la domanda, non dovrebbero preoccuparsi di come bisogna fare scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola”. Sono le cose che la sinistra ha sempre evitato di prendere sul serio. Soprattutto, c’è una frase delle Lettere a una professoressa che inchioderebbe, se avessero il coraggio di leggerla, il pedagogismo e il tecnicismo che regge l’ideologia scolastica di oggi, Buona scuola compresa: “Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”. Dimenticavamo: era una scuola privata, senza programmi. Oggi la ministra Fedeli gliela farebbe chiudere.
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