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Come sono arretrati gli studenti italiani, che si limitano a picchiare i prof.

Ugo Cornia

Come si può smontare un'emergenza con un paradosso

Essendo insegnante bisogna che qualcosina lo dica sui recenti fatti di violenza che si stanno realizzando in questi giorni nella scuola. In primo luogo vorrei sottolineare quanto la scuola italiana sia in una situazione di arretratezza, sia sul piano umano che su quello tecnologico. In America un ragazzo, uno studente, entra in una scuola e spara a una ventina di studenti e professori. Sembra, così dice Sky Tg 24, che avesse addirittura dichiarato: “Diventerò un esperto di stragi scolastiche”. In Italia niente di tutto questo. Bisogna accontentarsi di uno studente che picchia una professoressa su un braccio oppure, addirittura, di un genitore che entra nella scuola del figlio e picchia il vicepreside. Le differenze saltano immediatamente agli occhi e non sono piacevoli. In primo luogo potrebbe infastidire il tipico stile naïf dello studente italiano: va a scuola e come tutti i giorni è assolutamente impreparato, secondo me fino a cinque minuti prima non sapeva assolutamente che cosa avrebbe fatto e neanche se avrebbe fatto qualcosa; poi la prof. gli dice una frase che non gli piace e lui, senza la minima progettazione di niente, picchia la prof. su un braccio. Paragoniamolo allo studente americano: se è vero quello che si dice, che voleva diventare esperto di stragi scolastiche, siamo davanti a un ragazzo che tutti i pomeriggi si immaginava la strage, la pianificava, comprava le armi adatte, imparava a usarle, eccetera. Possiamo dire che, anche se non agisce a fine di lucro, siamo alle prese con uno che si comporta come un professionista, è serio. Lo studente italiano invece è uno che si abbandona a pulsioni momentanee, quasi come un animale, e non ha la minima idea di passare i suoi pomeriggi a progettare qualcosa in modo serio. Lui al pomeriggio è uno che va a spasso con gli amici. Quindi, riassumendo: di qua dell’Atlantico la solita bolsa spontaneità naïf, oltre Atlantico progettazione, preparazione individuale e spirito di iniziativa. Ma è il secondo confronto tra le cose italiane e quelle americane che si rivela ancora più interessante. Lo studente italiano in questo secondo caso non picchia neanche il vicepreside di persona, ma conta su suo padre, è suo padre che lo picchia. Immaginiamoci se si comportassero così anche gli studenti americani: uno studente americano sogna di fare una strage a scuola e tutte le sere, quando torna a casa, inizia a dire a suo padre: “Babbo, a scuola mi trattano male sia il vicepreside che i compagni, non potresti comprare dei mitra e andare a scuola a far fuori venti persone?”. Come se uno non potesse far niente se non ci sono la mamma e il papà a aiutarti. E invece lo studente americano non è vittima del tipico ambiente o clima familistico italiano. E’ uno che da sempre in primo luogo ha stima nell’individuo, poi ha stima anche dell’individuo che è lui, non ha bisogno di far sempre riferimento alla mamma o al papà. Non essendo mammone, o in questo caso papone, sa che può farcela da solo. Da un po’ di tempo ha deciso di ammazzare diciassette persone nella sua scuola e, quando il padre gli dice: “ti vedo serio. C’è qualcosa che non va?” lui gli risponde subito: “no, no, papà, è una questione mia, ma adesso me la risolvo”. E infatti la risolve. Ma pensiamo anche al cinema: la strage di Colombine ha prodotto ben due film, entrambi premiati, e devo dirlo, avendoli visti entrambi si trattava di film molto belli. Adesso mettiamoci nei panni di un regista italiano (lo dico con tutta la più sincera solidarietà con i colleghi, infatti è da qualche giorno che chiedo ai miei studenti se qualcuno ha voglia di picchiarmi, che potremmo anche discuterne prima, ma per adesso negano), comunque mettiamoci nei panni del regista italiano che invece di venti morti, che di per sé sono molto spettacolari, si trova o una collega ferita in un braccio o un vicepreside malmenato dal padre di uno studente. Fare un film che non sia una commedia è molto difficile. E’ un po’ come voler fare dei documentari sulle tigri e avere a disposizione soltanto dei gatti verniciati.

Ugo Cornia

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