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Come salvare la scuola italiana prima che sprofondi nello statalismo

Mario Leone

Al di là delle riforme, quali sono le sfide per la prossima legislatura? Proviamo a elencarne alcune

A pochi giorni dalle elezioni, tutti i maggiori partiti, pur preferendo dibattere su tematiche legate alla sicurezza, all’immigrazione o all’economia, concordano nel considerare la scuola lo snodo cruciale per il futuro del nostro paese. Ci sono dei segnali evidenti in questo senso: una rinascita, in qualsiasi campo, passa dall’educazione e dalla formazione delle giovani generazioni. Anche sotto questo profilo, l’imminente tornata elettorale risulta particolarmente interessante: la legge 107/2015 (c.d. Buona Scuola) aspetta ancora di proseguire nella sua piena fase attuativa e tanti sono i cantieri aperti (dalla formazione iniziale degli insegnanti al sistema 0-6 anni fino ai temi dell’inclusione scolastica).

 

Ma al di là delle riforme, quali sono le sfide per la prossima legislatura? Proviamo a elencarne alcune.

 

Il sistema di istruzione italiano costa tra i 45 e i 50 miliardi di euro, un investimento enorme che però produce drop out e abbandoni scolastici tra i più alti d’Europa. Un precariato non ancora eliminato, con la conseguente mancanza di stabilità dei docenti sulle classi e una rara continuità didattica. Manca un’effettiva libertà di scelta educativa e i passi fatti sono ancora minimi. La Buona Scuola ha avuto alcune intuizioni positive, arenatesi di fronte all’ostruzionismo dei sindacati (per un ulteriore esempio si veda l’ultimo contratto collettivo nazionale scuola), oltre che per i limiti della stessa legge. Per capire la natura del problema e quindi porre in essere i provvedimenti più opportuni è necessario fornire qualche altro dato. A livello europeo siamo di fronte a una crisi identitaria (le famose radici dell’Europa), un’incapacità della nostra cultura di trasmettere un’esperienza significativa ai propri figli. Questo ha prodotto, tra l’altro, 3.700 giovani che negli anni compresi tra il 2011 e il 2015 hanno abbracciato la causa del terrorismo di matrice islamista. Non solo. In Italia non si fanno più figli (nel 2017 si conteggiano 464 mila nascite: dato che segna il nuovo minimo storico), si vive di più (ma non sempre meglio) quindi la popolazione è più vecchia. A questa situazione si aggiunga la trasformazione del mondo del lavoro (nascono nuove tipologie di lavoro e quindi nuove figure lavorative, ne spariscono altre), i flussi migratori e la crisi dello “Stato nazione”.

 

Cosa bisogna fare allora per la scuola? Non bastano “aspirine” o interventi di rifinitura. Occorre cambiare paradigma. Questo significa innanzitutto superare il centralismo amministrativo facendo sì che lo stato istituisca e governi il sistema d’istruzione, senza gestire direttamente le istituzioni scolastiche.

 

Allo stesso modo è necessario superare l’epoca otto-novecentesca della “scuola” al singolare, evocativa di un impianto distribuito in maniera uniforme sul territorio nazionale. Le scuole sono diverse e vanno seguite nella loro diversità. I protagonisti sono gli studenti, ma anche i docenti selezionati e formati seriamente. Il nostro paese ne ha tanti e bravi. Questi, come diceva Hannah Arendt, devono assumersi la responsabilità del mondo. “Di fronte al fanciullo [l’insegnante ndr] è una sorta di rappresentante di tutti i cittadini adulti della terra, che indica i particolari dicendo: ecco il nostro mondo”. L’insegnante trasmette (più o meno coscientemente) il suo sguardo sul mondo, “sguardo” che le famiglie devono poter scegliere liberamente soprattutto dove vi sono figli con disabilità. Il futuro governo del nostro paese avrà di fronte due possibilità: o cambiare paradigma, allentando i vincoli e la burocrazia, liberando così energie e creatività delle singole persone, oppure ripiombare nel più oscuro statalismo. Nel secondo caso ci permettiamo di riproporre una soluzione offerta da Pier Paolo Pasolini nel 1975 sulle colonne del Corriere della Sera, in materia di scuola e televisione: “In attesa di una tale radicale riforma, sarebbe meglio abolire (lo so che è utopistico, ma ne sono io stesso fermamente convinto) sia la scuola d’obbligo che la televisione: perché ogni giorno che passa è fatale sia per gli scolari che per i telespettatori”. (Mario Leone)

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